«E’ successo quello che non doveva accadere». Così inizia un’intervista di padre Zanotelli sulla vicenda dell’acqua a Napoli. E’ vero, prosegue poi il missionario, De Magistris è il sindaco che «per la prima volta in Italia, ha rispettato e applicato il volere popolare espresso in un referendum», uno che «ha portato l’ABC in azienda speciale», che «ha fatto approvare in Consiglio Comunale uno statuto molto bello», che ha messo in moto «uno dei processi di democratizzazione più alta» e che, per finire, ha lasciato «entrare nell’azienda persone che vengono dalle battaglie e dalle esperienze di lotte sull’acqua libera». Questa esperienza «è stata di per sé una cosa grande».
Dopo queste parole, tutto ti attendi, tranne i funerali di quella «anomalia Napoli», di cui Zanotelli è – o devo dire è stato? – tra i protagonisti. Il missionario non ci pensa due volte: «Quella a Napoli sull’acqua», afferma, «poteva essere una piccola grande goccia», forse «sarebbe annegata nel mondo del profitto e dell’indifferenza», ma poteva anche produrre «un effetto domino». Invece, dice il padre, niente acqua pubblica, niente democrazia, niente di niente. E mette fiori sulla tomba: «peccato aver perso quest’occasione. È stata un’esperienza molto espressiva che ha rafforzato la nostra idea: si scrive acqua si legge democrazia», ma «tutto è stato bruscamente interrotto».
Firmato il certificato di morte, ecco le cause del decesso: «Il motivo per me va sempre ricercato nella maledetta politica, perché il Sindaco in campagna elettorale per essere eletto aveva fatto una promessa in chiave elettorale a 107 operai di San Giovanni di assumerli in ABC». A questo punto il buon sindaco non c’è più. Da un giorno all’altro, c’è un patto scellerato, un meccanismo che non c’entra con la politica e pare piuttosto voto di scambio illegale. Poiché, infatti, soldi non ce ne sono, secondo Zanotelli, i lavoratori saranno assunti alzando le tariffe e mandando in crisi l’ABC. Il resto viene da sé: si privatizza l’acqua e – mi permetto di aggiungere – si rivela un’autentica vocazione al suicidio, perché è inutile girarci attorno: se uno alza la bandiera dei beni comuni, va in giro per il mondo con un fiore all’occhiello poi privatizza, si gioca la faccia e il suo futuro politico.
Mi scuserà, Zanotelli, ma io non credo che De Magistris pensi di privatizzare l’acqua e mi pare assurdo pensare che abbia preso voti che saranno «pagati» dai cittadini. Il Sindaco della bella esperienza napoletana, che il missionario stesso descrive all’inizio dell’intervista, non si è «inventato» difensore dei beni comuni per uno squallido interesse elettorale. L’ha fatto perché ci crede e non è così sprovveduto da non capire che, se privatizzasse, la sua credibilità sarebbe poi pari a zero. Tanto valeva allearsi subito col PD. Avrebbe avuto una vita più tranquilla e una posizione più solida. Col PD, però, non ci è andato.
Il nodo, secondo me, è più serio e molto più difficile da sciogliere. Riguarda la politica, che Zanotelli ritiene una iattura e che invece è una nobile e necessaria attività umana. Per non mettere l’acqua sul mercato, per tenere in piedi le scuole comunali, garantire l’assistenza ai disabili e via dicendo, come in fondo ha fatto e fino a prova contraria prova ancora a fare il sindaco, occorrono risorse, libertà di manovra, una maggioranza forte e coesa e il coraggio di rompere i vincoli imposti dal renzismo e da un europeismo alla rovescia, che sostiene le banche e cancella i diritti. Sperare che la soluzione possa venire da Roma è, a mio avviso, un’illusione pericolosa e qui va cercata la natura reale della questione, che non rientra nella categoria del «tradimento», ma conduce a un problema di fondo. Mentre costruisci una forza capace di andare allo scontro, puoi giostrare tra i capitoli del bilancio e affrontare singoli problemi, mettendo soldi qua e levando là. Ci puoi riuscire, però sai che sposti solo il problema in avanti e non lo risolvi; facendo graduatorie dei diritti, in base ai tre soldi che hai per difenderli, ti metti in contraddizione con te stesso. I diritti, o li difendi tutti e fai vivere così concretamente la «città ribelle», la costruisci e pratichi la disobbedienza, o alla fine non ne difendi nessuno. Tertium non datur.
La questione non si risolve scegliendo tra due mali: o assumo i lavoratori o difendo l’acqua. L’errore è già nelle parole, in quella «o», in quella congiunzione disgiuntiva che ti conduce a un’alternativa tra due mali e si traduce in una resa: uno dei due lo accetto. Quella che occorre, invece, è una congiunzione che colleghi tra loro i diritti in un’unica logica anticapitalistica e coerente con il programma proposto agli elettori in una competizione elettorale che ha avuto i crismi della legalità costituzionale. Non scelgo e non subisco criteri ultimativi, difendo l’acqua e il lavoro, assumo e metto in mora il governo, aprendo una vertenza forte con un potere che è fuori dalle regole costituzionali ed è illegale persino rispetto a una legalità formale che ignora la giustizia, soprattutto quella sociale.
Finora la congiunzione utilizzata è stata quella giusta, ma si fa una fatica crescente a tenere la barra. Mai come oggi, il momento per aprire lo scontro è però favorevole perché, mentre discutiamo di democrazia per un’Amministrazione come quella napoletana, una banda di abusivi mette mano alla Costituzione ed è possibile dare alla vertenza il valore enorme di autentico «contenuto» del no: un no per la Costituzione, certo, ma anche un no per la scuola, un no per il lavoro, un no per la salute, un no contro la guerra. Un no per diritti e principi che Renzi e i suoi trattano come se la Costituzione non esistesse. Sarebbe ribellione? Parlando alla Costituente, Dossetti, cattolico e uomo d’ordine, fu chiarissimo: «quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere dei cittadini».
Va bene trattare per rivendicare, quindi, avendo però fermo il principio: sappiate che non vi riconosco alcuna legittimità morale e politica. I soli, gli autentici clandestini sbarcati dalle nostre parti siete voi, che occupate da anni il Parlamento grazie a un imbroglio, a una legge truffa che la Consulta dichiara illegittima. Altro che Jobs Act, Buona Scuola e Costituzione. Mettetevi in regola e poi se ne parla, perché, se pure vincesse il referendum, siete e restate ladri di democrazia. Le vostre leggi e la vostra «nuova» Costituzione non varranno nulla e non le rispetteremo. Cominciamo dai soldi che non ci date, mentre li sperperate, mandando in giro illegalmente soldati e armi che ci costano un occhio della testa e calpestano la Costituzione: i fondi ce li prendiamo. Roma non manda un euro? Da Napoli non arriva un soldo e le tasse restano tutte qua. Gli accordi con l’Europa? Voi li fate e voi ve li gestite. Noi, no. Non vedo altra via.
Naturalmente ci sono mille modi e sulla forma si può discutere. Sulla sostanza no e non sono così cieco da non capire che, per giungere a questo strappo, che ritengo inevitabile, occorre un’autentica unità. Zanotelli ha ragione, quando dice che ci sono troppe divisioni, ma alla fine divide anche lui. Sull’acqua, come su tutto, si sarebbe dovuto discutere fino allo sfinimento, senza parlare di tradimento. Se l’ipotesi di fondo è condivisa, ci si può e ci si deve scontrare sul caso particolare, ma prima di rompere, si dovrebbe essere certi che non si metta così in discussione l’intero progetto.
Avrei preferito tacere e torno nell’ombra. Sto scrivendo un libro e voglio terminarlo, perché non so quanto tempo mi è dato e non mi va di buttare a mare anni di ricerca.
D’altra parte, parlo o sto zitto, non cambia nulla. Rappresento me stesso, non ho Comitati, non ho partiti, non ho e non cerco poltrone. Questa idea di una rottura radicale, per la quale ho speso due anni di una vita che tramonta, è solo mia, so che nessuno la condivide e non provo nemmeno a difenderla, anche se i fatti dicono che non è sbagliata. Il dibattito sull’acqua, assieme alla pessima maniera in cui si fa la campagna referendaria, che di fatto legittima chi non ha alcuna legittimità, annunciano perniciose sconfitte. Insistere non serve – gli dei accecano chi è destinato alla sconfitta – ma lo scrivo a futura memoria: se continua così, ci avviamo a un disastro. E non andrà meglio di come andò con il fascismo.
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