di Francesca La Bella
Mentre la
situazione in Libia appare sempre più confusa e il governo di Fayez al
Sarraj di stanza a Tripoli cerca di riprendere le redini del potere con
la formazione di un nuovo governo di unità nazionale, un nuovo attore
appare nel teatro libico. La Cina, infatti, avrebbe previsto
l’investimento di 36 miliardi di dollari in Cirenaica.
Secondo quanto riportato dai media locali, il Paese asiatico, secondo solo all’Italia come partner commerciale dell’import-export libico, avrebbe scelto di finanziare un grande progetto infrastrutturale nell’area di Tobruk che prevederebbe la costruzione del più
grande porto del Paese in acque profonde, un aeroporto commerciale, una
ferrovia lungo il confine con l’Egitto in direzione Sudan, 10.000 case,
un ospedale con 300 posti letto e un’università. A questo
complesso progetto di rilancio infrastrutturale si dovrebbe aggiungere
un piano per lo sviluppo dell’esportazione di energia solare verso la
Grecia con la costruzione di una centrale energetica a Jaghbub, nel deserto libico orientale.
A tal proposito, il primo ministro del governo di Tobruk, Abdullah Al-Thinni, in un’intervista all’emittente televisiva Al-Hadath riportata dal Libya Herald,
ha dichiarato che l’ingente investimento, frutto di una cordata di
investitori cinesi, dovrebbe portare al compimento delle opere in un
periodo di soli tre anni con un effettivo impatto sull’economia locale
già nel breve periodo.
Il progetto, definito dallo stesso Libya Herald
come un ringraziamento della Camera dei Rappresentanti (HoR) alla città
di Tobruk, potrebbe avere una significativa rilevanza anche per le
relazioni commerciali libiche. Dopo la caduta di Muhammar Gheddafi e
l’inizio della guerra civile, sia le imprese sia i lavoratori cinesi
impegnati in Libia lasciarono il Paese e, negli anni successivi, il
capitale cinese non riuscì a trovare canali d’accesso per il Paese
nordafricano. Ad oggi, invece, in linea con un programma di penetrazione
imponente in tutto il territorio africano, Pechino potrebbe dare nuova
linfa alle relazioni commerciali sino-libiche.
Di riflesso, sul piano interno, questo
rinnovato slancio economico della Cirenaica, unito al programma di
esportazione petrolifera dai porti della mezzaluna petrolifera,
renderebbe Tobruk sempre più centro nevralgico dell’economia del Paese
con inevitabili ricadute dal punto di vista politico.
Parallelamente all’indebolimento del Gna, provato dal
tentativo di colpo di stato del 14 ottobre e dalle difficoltà
strutturali che ne frenano la ripresa economica, il fronte favorevole al
governo di Tobruk e al generale Khalifa Haftar sembra, dunque, sempre
più ampio. E’ notizia di poche ore fa la visita di Haftar negli Emirati
Arabi Uniti per discutere degli sviluppi della situazione libica con il
Ministro della Difesa Mohammed al Bowardi. L’incontro risulta tanto più
significativo in quanto segue di poche ore la visita ad Abu Dhabi di un
altro attore centrale nella vita politica libica: Martin Kobler.
L’inviato speciale Onu in Libia, prima di muoversi verso il Cairo per
nuovi colloqui con i rappresentanti dell’Unione Africana e della Lega
Araba sulla questione libica, ha, infatti, avuto un lungo meeting con il
ministro degli Esteri emiratino Anwar Mohammed Gargash.
Durante i colloqui il rappresentante Uae, secondo le agenzie di stampa locali, avrebbe ribadito il pieno sostegno degli Emirati Arabi Uniti all’azione di mediazione delle Nazioni Unite e al governo di accordo nazionale libico, sottolineando, però, la necessità di una soluzione che includa le istanze di tutte le parti libiche.
La debolezza del governo Sarraj si contrappone alla
solidità ed al radicamento delle forze di Tobruk e i numerosi attori
coinvolti nella contesa libica sembrano schierarsi sempre più a favore
di una riconciliazione tra Tripoli e Tobruk per garantire la stabilità
politica ed economica della Libia. L’intervento esterno, molto
spesso al limite dell’ingerenza internazionale, mira altresì a mantenere
un canale di dialogo preferenziale con la futura dirigenza del Paese.
In questo senso si legga il prolificare di meeting a
partecipazione variabile sulla questione libica come quello di Parigi di
inizio mese o quello previsto nelle prossime settimane in Arabia
Saudita dove Riyadh ha già dichiarato di non volere la partecipazione di
Qatar e Uae. A fronte di una produzione del petrolio in
continua ascesa che potrebbe minare alla base la validità dell’accordo
OPEC sul taglio della produzione e di uno Stato Islamico in lento
arretramento, la possibilità di una ripresa libica sembra essere ora
plausibile. La scelta dell’alleato interno diventa, dunque, per
le controparti d’area (ed internazionali) sempre più decisiva per
cercare di influire sulla collocazione della Libia nello scacchiere
internazionale.
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