Continuano le esternazioni del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte dopo il suo viaggio in Cina di alcuni giorni fa, durante il quale aveva siglato vari accordi economici e commerciali con Pechino e annunciato la rottura della tradizionale alleanza con Washington.
E’ di nuovo nei confronti degli Stati Uniti che Duterte si è pronunciato nei giorni scorsi, chiedendo che le truppe statunitensi presenti in forze nell’arcipelago asiatico abbandonino il paese entro due anni. Duterte ha detto: "Voglio, magari nei prossimi due anni, il mio Paese libero dalla presenza di truppe militari straniere" riferendosi ovviamente alle truppe statunitensi. "Li voglio fuori e se dovrò emendare o abrogare gli accordi esecutivi, lo farò", ha aggiunto.
L’atteggiamento dell’ex sindaco di Davao rischia seriamente di mandare all’aria i piani di Washington in Estremo Oriente, in cui la presenza militare statunitense nelle Filippine rappresenta un elemento centrale nel tentativo di accerchiamento militare e diplomatico nei confronti del crescente attivismo cinese. Dopo una lunga trattativa, nel 2014 Obama era riuscito ad imporre all’allora leader filippino Aquino la firma del cosiddetto EDCA – Enhanced Defence Cooperation Agreement – un documento programmatico mirante a rafforzare la cooperazione militare tra i due paesi in continuità con il Mutual Defense Treaty del 1951. Una mossa che non era piaciuta al governo cinese, visto che nell’ambito dell’EDCA Manila aveva assicurato a Washington l’utilizzo di ben cinque basi militari – Fort Magsaysay, Basa Air Base, Mactan-Benito Ebuen Air Base, Lumbia Air Base e Antonio Bautista Air Base – che avrebbero consentito all’apparato militare statunitense di controllare una vasta porzione del Mar Cinese. Sono passati solo due anni dalla firma del documento ma sei mesi fa il populista Duterte ha stravinto le elezioni presidenziali e a Manila la musica sembra essere cambiata.
"Questi americani sono davvero matti. E' il loro stile, credono di essere qualcuno" aveva detto Duterte prima di partire per il Giappone per una visita di tre giorni dopo aver appreso dai giornali che l'assistente segretario di Stato Usa Daniel Russell ha sostenuto che la comunità di affari è preoccupato per la campagna antidroga, nella quale sono rimaste uccise dall'arrivo al potere di Duterte 3.700 persone, molte delle quali in esecuzioni extragiudiziali. Russel dice: 'I commenti di Duterte preoccupano la comunità degli affari'. Allora, fate i bagagli e andatevene. Noi ci riprenderemo, ve l'assicuro" ha replicato il capo dello stato filippino.
Poi Duterte è partito per Tokyo, allo scopo di sviluppare gli scambi commerciali con il paese, pari attualmente a vari miliardi di euro.
"Con il Giappone, uno dei principali partner delle Filippine, cercherò un sostegno e un ulteriore rafforzamento dei nostri importanti rapporti economici" ha detto all'aeroporto di Manila. "Voglio incontrare in Giappone – ha continuato – i più importanti imprenditori. Dirò loro chiaramente che le Filippine sono aperte agli affari".
Secondo vari commentatori, però, il premier nipponico Shinzo Abe tenterà di convincere il recalcitrante Rodrigo Duterte a ricucire con gli Stati Uniti, dopo le dure esternazioni del leader di Manila contro Barack Obama e la sua dichiarazione sulla "separazione" dei destini con lo storico alleato (in realtà potenza coloniale subentrata all’impero spagnolo nel controllo delle Filippine).
Secondo fonti del governo di Tokyo, riprese dall'agenzia di stampa Kyodo, Abe chiederà a Duterte di ritornare a un rapporto sereno con gli Stati Uniti, il che però allo stato appare abbastanza improbabile. Duterte ha più volte dato a Obama del "figlio di puttana" e apostrofato gli americani come "stupidi", arrivando nella sua recente visita in Cina a prospettare un rovesciamento dell'alleanza storica con Washington a favore di un nuovo asse con Pechino ed, eventualmente, con Mosca. Un approccio nuovo che l'ha portato a mettere da parte la disputa territoriale sul Mar cinese meridionale, rivendicato all'80 per cento dalla Cina, rispetto alla quale il suo predecessore Benigno Aquino aveva aperto una causa arbitrale risolta dalla Corte Internazionale dell’Aja con una sentenza favorevole a Manila ma non riconosciuta da Pechino.
Come era accaduto con la Cina, Duterte ha lungamente lodato il governo giapponese. "Il Giappone ci è stato davvero di grandissimo aiuto", ha detto, sottolineando la collaborazione sulla costruzione di un aeroporto e di alcune strade. "Il fatto è – ha continuato – che sono davvero gentili". Un modo questo, per attrarre nuovi investimenti nipponici visto il probabile calo di quelli statunitensi nel prossimo periodo. Al tempo stesso però l’endorsement di Manila nei confronti di Pechino potrebbe rappresentare un ostacolo nell’aumento dei rapporti economici con il Giappone, impegnato da tempo in un duro scontro proprio con la Cina. Forse per questo ci ha tenuto a rassicurare Abe che il rapporto tra Manila e Pechino ha un carattere esclusivamente economico: “Le Filippine – ha detto Duterte – continueranno a lavorare a stretto contatto con il Giappone su questioni di interesse comune nella regione e a sostenere i valori comuni della democrazia, dell’adesione alle leggi e della risoluzione pacifica delle dispute, inclusa quella sul Mar Cinese Meridionale.”
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