di Moni Ovadia – Il Manifesto
Le parole sono
importanti! sentenziava Nanni Moretti in una scena da culto di una sua
memorabile pellicola, dando ratifica all’affermazione con un sonoro
ceffone vibrato ad una giornalista colpevole di esprimersi con un
eloquio mediocre ed improprio. Dal tempo di quell’accorato grido di
dolore del geniale cineasta molta acqua è passata sotto i ponti. Abusare
perversamente le parole è diventata pratica comune che non provoca
reazioni di sofferenza; in questi giorni, il nostro capo del governo si è
prodotto in una tecnica di perversione del senso, sostituendo la parola
italiana condono con l’anglicismo di sonorità meno sconcia voluntary disclosure.
L’ordine del discorso e la scelta delle parole possono diventare
particolarmente insidiosi quando si parla di Israele, governo
israeliano, israeliani, ebrei e via dicendo. A me è capitato di
sentirmi apostrofare con il termine “antipatizzante” di Israele per
avere definito “colonie” le colonie israeliane della Cisgiordania invece
di descriverle con il più neutro “insediamenti”. Gli ultras
proisraeliani a prescindere, ma anche coloro che non sono estremisti del
campo – potremmo definirli i moderati di ogni schieramento –
manifestano un’immediata idiosincrasia nei confronti di un crudo
linguaggio di verità, qualora utilizzato nei riguardi di Israele.
Per queste sensibilissime persone, parole accettabili all’indirizzo
di qualsiasi altro paese occupante e colonialista del mondo, diventano
inascoltabili se utilizzate per criticare gli atti dei governi
israeliani. Questa ipersensibilità ha provocato l’ennesima crociata pro
Israele sulla stampa mainstream e nelle piazze, per denunciare
l’antisemitismo dell’Unesco a proposito della sua risoluzione sulla
Palestina occupata.
Nella traduzione integrale della risoluzione al comma 3 leggiamo:
“Affermando l’importanza che Gerusalemme e le sue mura rappresentano
per le tre religioni monoteiste, affermando anche che in nessun modo la
presente risoluzione, che intende salvaguardare il patrimonio culturale
della Palestina e di Gerusalemme Est, riguarderà le risoluzioni prese in
considerazione dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le
risoluzioni relative allo status legale di Palestina e Gerusalemme...”.
In apertura, la risoluzione riconosce che Gerusalemme e le sue mura sono sacre ai tre monoteismi e ai loro fedeli:
ebrei, cristiani musulmani. Non c’era dunque alcuna ragione di gridare
all’antisemitismo, di accusare la risoluzione di voler negare il legame
degli ebrei con quei luoghi. In realtà a me pare di intuire che la
reazione degli ultras pro Israele, senza se e senza ma, dipenda
piuttosto dal fatto che nei commi successivi la risoluzione si riferisca
ripetutamente ad Israele con la definizione di “potenza occupante” e ne
denunci la pratica violenta dei fatti compiuti sul territorio.
Ora, Israele è, piaccia o non piaccia, una potenza occupante e
lo è da cinquant’anni e questo secondo le risoluzioni dell’Onu, non
secondo i pro palestinesi. Ma attenti a dirlo! Diventereste illico et
immediate antisionisti, ovvero antisraeliani, ovvero antisemiti. Guai
all’Unesco che osa affermare che Israele è potenza occupante.
Invece, i politici israeliani di governo possono gridare ai quattro
venti che Gerusalemme è la sacra ed indivisa capitale dello Stato di
Israele nell’assoluto silenzio delle anime belle, e i leader dei partiti
religiosi possono sostenere impunemente che tutta la terra di quella
che fu la Palestina mandataria appartiene agli ebrei perché fa parte
della terra “donata” da Dio.
Gli zeloti che fanno parte dell’elettorato della destra
utrareazionaria sostenitrice di Netanyahu, possono farneticare di
distruggere le moschee per edificare al loro posto il “Terzo Tempio” e
compiere atti aggressivi nei confronti dei palestinesi, nessuno
scandalo. È scandalo invece se il documento dell’Unesco non riconosce
alle autorità israeliane e ai fanatici di Israele il diritto ad
esercitare il proprio arbitrio.
Forse disturba la mancata identificazione di ebrei e governo israeliano in carica.
Le anime belle della democrazia a popoli alterni sanno che le due cose
sono diverse, ma dà loro un incontenibile fastidio. Eppure il problema
di una precisa distinzione fra israeliani ed ebrei è ormai
incandescente.
Un recente articolo apparso sul quotidiano israeliano Ha’aretz a firma di Chemi Shalev titolava: “Trump mostra agli estremisti di destra come amare Israele ed odiare gli ebrei”
(alcuni estremisti di destra americani disprezzano gli ebrei
progressisti con lo stesso veleno con il quale la destra israeliana odia
gli ebrei di sinistra).
Eccolo il capolavoro che hanno edificato i nazionalisti e i
fanatici religiosi israeliani con la fattiva collaborazione degli ultras
pro sionisti e il benevolo sussiego di certi moderati che sono amici di
Israele a prescindere.
Grazie a loro, gli eredi degli antisemiti di ogni tipo possono
tornare ad odiare gli ebrei cominciando dai maledettissimi rossi e poi...
Poi si vedrà.
Massa d’urto religiosa di questa nuova ideologia sono i cosiddetti
cristiano/sionisti. Sono milioni, appartengono a chiese evangeliche
millenariste e avventiste, sono sostenitori del sionismo integralista,
rivendicano il diritto degli ebrei a possedere tutta la Terra Promessa e
auspicano il ritorno di tutti gli ebrei in Eretz Israel perché
secondo le loro profezie ciò provocherà la seconda parusia di Gesù e
l’Armageddon. E gli ebrei? Quelli che riconosceranno il Cristo saranno
salvi. E gli altri? Si fotteranno bruciando nelle fiamme dell’inferno!
(L’interpretazione è mia).
Fonte
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