Foto di Patrizia Cortellessa
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«Mio marito era venuto in Italia perché da noi, in Egitto, la situazione è molto difficile. Voleva dare una vita migliore ai nostri figli. Invece è stato vittima di quello che hanno definito, secondo noi ingiustamente, un incidente, mentre lottava per i diritti suoi e degli altri lavoratori. Non pensavamo che in Italia potesse accadere».
Jiahan è la moglie di Abd Elsalam, 53 anni, l’operaio egiziano e sindacalista Usb investito e ucciso da un Tir durante un presidio sindacale, il 14 settembre scorso, a Piacenza. Le indagini sono aperte, ma la Procura di Piacenza sostiene la tesi dell’incidente e dell’omicidio stradale. Per l’Usb invece si è trattato di un omicidio, tragico punto d’arrivo di un sistema di sfruttamento. Jahan è arrivata dall’Egitto per chiedere giustizia per il marito, nel giorno in cui gli è stata intitolata simbolicamente piazza San Giovanni. Usb ha invitato a partecipare alla sottoscrizione per sostenere la famiglia. L’Iban è IT 17 W031 2703 2010 0000 000 1801. Abbiamo incontrato Jiahan, in compagnia del figlio diciottenne, nella piazza dedicata a Abd Elsalam.
Perché suo marito è venuto in Italia?
Per dare un futuro dignitoso ai nostri figli. In Egitto era professore di agraria, ma lo stipendio non bastava a mantenere la famiglia. Così nel 2002 ha deciso di partire.
Che lavoro aveva trovato?
Per alcuni anni lavori precari, realtà di sfruttamento. Solo negli ultimi 6 anni alla Gls aveva avuto un contratto a tempo indeterminato.
Come si trovava nell’azienda?
Il suo lavoro era molto faticoso. A volte lavorava tutta la notte, dalle 8 della sera fino alle 8 del mattino. Però non poteva rifiutare, aveva bisogno di quell’impiego. Non voleva rischiare e cercarne un altro, perché alla Gls aveva un contratto indeterminato, indispensabile per rinnovare il permesso di soggiorno.
Nel giorno della tragedia stava lottando per i diritti degli altri operai, tra cui suo fratello...
Sì. Aveva un contratto indeterminato, ma era lì per stare accanto ai lavoratori precari. Scioperavano dal 2011, per chiedere la stabilità dei precari e il reintegro degli altri. Noi ringraziamo i colleghi e il sindacato che hanno appoggiato le sue lotte per la giustizia e i diritti. E ora io sono qui per chiedere giustizia per lui.
Lei non crede sia stato un incidente?
Colpisce che la Procura abbia parlato da subito di incidente. Non è così, come risulta dai racconti dei colleghi e da un video. Gli ordini dei dirigenti della Gls erano di intimidire i lavoratori e rompere il picchetto. Forse l’autista del camion non voleva arrivare a quel punto e uccidere Abd Elsalam, ma è stato pressato anche lui dall’azienda.
Quindi secondo lei l’autista, pur colpevole, è in parte anche lui vittima della ditta?
Sì, noi familiari non vogliamo dare tutta la colpa all’autista. È anche lui un lavoratore, è stato pressato, se non eseguiva gli ordini rischiava di perdere il lavoro.
Ha fiducia nella magistratura italiana?
Sì, sono qui per questo. Ho fiducia nel popolo e nella Magistratura italiana, anche se finora sul caso di mio marito ho avuto solo notizie negative. Non voglio perdere la fiducia nell’Italia, un Paese democratico, diverso dal nostro, l’Egitto, dove non ci sono diritti, e avvengono delitti come quello di Giulio Regeni. Proprio per chiedere verità e giustizia per Giulio, mio marito aveva manifestato a Piacenza.
Da chi avete ricevuto aiuto?
Dai colleghi di mio marito e dall’Usb. Non dalla Gls. Ci hanno fatto le condoglianze dopo una settimana.
Cosa vorrebbe ora dall’Italia?
Dopo la morte di mio marito, con i miei figli ci siamo trasferiti a Piacenza. Spero in un aiuto, che i miei figli trovino un lavoro... di poter ricominciare qui.
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