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15/06/2025

Il nucleare non è un problema solo dell’Iran. Le atomiche israeliane sono un fattore di asimmetria inaccettabile

Le ripetute, ossessive e inaccettabili dichiarazioni dei governi occidentali sul fatto che l’Iran “non deve avere la bomba atomica” e che Israele ha quindi diritto “di bombardarlo per difendersi”, evitano accuratamente di soffermarsi su un convitato di pietra che è invece l’architrave della questione: l’arsenale nucleare israeliano, sul quale da Washington a Parigi e da Roma a Londra fanno tutti i finti tonti.

L‘Iran è infatti membro dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) dal 1958. L’AIEA è un’organizzazione internazionale che promuove l’uso pacifico dell’energia nucleare e verifica il rispetto degli impegni di non proliferazione nucleare.

Tuttavia, il rapporto tra l’Iran e l’AIEA è stato spesso complesso, soprattutto a causa delle preoccupazioni riguardo al programma nucleare iraniano. L’Iran, diversamente da Israele, ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) ed è soggetto a controlli dell’AIEA, ma ci sono state tensioni per la mancata piena trasparenza su alcune attività.

Dopo l’accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA), l’Iran ha accettato maggiori ispezioni, ma con il ritiro degli USA dall’accordo nel 2018 e le successive tensioni, la cooperazione si è ridotta. Negli ultimi anni, l’AIEA ha espresso preoccupazione per la mancata collaborazione su alcuni siti nucleari iraniani.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica l’Iran ha aumentato notevolmente le sue scorte di uranio arricchito fino al 60%. Ma siamo ancora lontani dal livello del 90% circa necessario per le armi atomiche. Nel suo rapporto trimestrale, l’AIEA ha dichiarato che l’Iran ha una quantità stimata di 408,6 chilogrammi (901 libbre) arricchiti fino al 60% al 17 maggio, con un aumento di 133,8 chilogrammi (295 libbre) rispetto all’ultimo rapporto di febbraio.

La quantità totale di uranio arricchito dell’Iran supera ora di 45 volte il limite che era stato autorizzato dall’accordo del 2015 con le potenze mondiali ed è stimata in 9.247,6 chilogrammi (20.387 libbre). L’accordo in questione è stato fatto saltare dalla prima amministrazione Trump.

Ma se la stessa AIEA è in grado di sapere e dire molto sul nucleare iraniano, la stessa agenzia continua a non sapere nè dire nulla sul nucleare israeliano ad accetta il fatto compiuto che Israele non consente ispezioni nei suoi impianti nucleari militari.

Anche Israele ha aderito all’AIEA nel 1957, poco dopo la fondazione dell’agenzia stessa. Tuttavia, a differenza di molti altri Stati membri come l’Iran, Israele non è parte del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e non consente ispezioni complete delle sue strutture nucleari, tra cui il controverso sito di Dimona, dove si ritiene che Israele abbia sviluppato armi nucleari. Lo stabilimento di Dimona, nel deserto del Negev, è equipaggiato con tecnologie di estrazione del plutonio francesi che lo hanno trasformato da centro di ricerca civile in una struttura per la produzione di armi nucleari.

Secondo alcuni esperti, la produzione di plutonio si aggira attorno ai 40 chilogrammi all’anno, abbastanza per produrre 10 bombe. Negli ultimi sei anni al sito sono stati aggiunti ulteriori equipaggiamenti per realizzare componenti per dispositivi termonucleari. Il reattore da 26 Megawatt, anch’esso costruito dai francesi, è stato ampliato e probabilmente adesso opera ad un regime di 150 Megawatt che permette di estrarre più plutonio.

Nel marzo 2015 venne declassificato un documento del Pentagono, risalente al 1987 e composto da circa 400 pagine, in cui si analizzavano le elevate capacità raggiunte dai laboratori nucleari israeliani (in grado di produrre bombe all’idrogeno).

Nei primi anni 2000 la rivista specializzata britannica Jane’s Defence valutava che Israele avesse prodotto, fino a quel momento, circa 400 testate nucleari, impiegabili su diverse tipologie di vettori.

Il vettore principale delle armi nucleari israeliane è il missile balistico a medio raggio a propellente solido Jericho-2, con una gittata massima di 3.000 km e lanciabile da veicoli o silos fissi. Un altro vettore potrebbe essere il missile Shavit, sviluppato dal Jericho, è impiegato principalmente per lanciare in orbita i satelliti Ofeq, ma può essere armato con testate nucleari e ha una gittata massima di 7.000 km, quindi consentirebbe a Israele di colpire vaste aree dell’Africa e dell’Asia Centrale.

In un remoto passato ci sono state ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) presso il sito nucleare di Dimona in Israele, ma in modo molto limitato e non regolare come avviene per gli impianti nucleari in altri paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Ma Israele non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, quindi non è soggetto alle stesse ispezioni obbligatorie a cui sono sottoposti gli stati membri.

Israele mantiene infatti una politica di “ambiguità nucleare” (non conferma nè nega ufficialmente di possedere armi atomiche), sebbene sia ampiamente riconosciuto che abbia un arsenale nucleare sviluppato a Dimona.

Negli anni ’60, prima che Israele completasse il suo programma militare, l’AIEA condusse alcune ispezioni limitate a Dimona, quando il reattore era ancora ufficialmente presentato come impianto per la ricerca civile.

Dopo il 1969, Israele ha cessato ogni collaborazione formale con l’AIEA riguardo a Dimona, rendendo il sito off-limits per ispezioni internazionali regolari.

Occasionalmente, l’AIEA ha chiesto accesso a Dimona, soprattutto in relazione a preoccupazioni sulla sicurezza nucleare o su presunte attività non dichiarate, ma senza successo.

Israele permette un monitoraggio molto limitato solo per alcuni impianti civili (ad esempio, il reattore di ricerca Soreq), ma non per i siti militari.

Mentre l’AIEA ha avuto un accesso minimo a Dimona in passato, oggi il sito non è sottoposto a ispezioni internazionali. La mancata adesione al TNP permette a Israele di mantenere il suo programma nucleare militare al di fuori del controllo dell’AIEA, a differenza di paesi come l’Iran, che è soggetto a severe ispezioni proprio perché firmatario del TNP.

Se si fermerà l’escalation in corso e si vuole parlare di un serio accordo sul nucleare iraniano, sarebbe necessario coinvolgere Israele, quantomeno sul piano dell’adesione al Trattato di Non Proliferazione e di permessi all’AIEA per ispezionare gli impianti nucleari. Ogni pretesa unilaterale solo verso l’Iran costituisce un fattore di asimmetria inaccettabile nella regione.

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