Al di là del giudizio sulle spinte decisioniste del governo alimentate da atteggiamenti parlamentari del tutto inopportuni tenuti da suoi esponenti, i punti sui quali poggia la svolta autoritaria effettivamente in atto risultano essere essenzialmente questi due:
1) Se il bicameralismo permane in materie e atti costituzionali quali le leggi che modificano la Carta Fondamentale (compreso l’articolo 138, ovviamente), l’elezione del Presidente della Repubblica e dei membri della Corte Costituzionale, non può essere possibile che i senatori, al di là del loro numero, siano nominati all’interno dei membri di altre istituzioni dagli altri componenti delle istituzioni stesse. Siamo di fronte ad una “circolarità” di presenza dello stesso personale istituzionale che non può che produrre un’autoperpetuazione di ceto con grave caduta della credibilità complessiva;
2) L’abnormità del premio di maggioranza previsto dall’Italikum per la Camera dei Deputati (al primo turno un regalo del 18%, all’eventuale secondo: chissà..??) rende concreta la possibilità per un solo partito (indipendentemente da quale esso sia) di eleggere il Presidente della Repubblica e modificare la Costituzione magari in senso presidenzialista.
Al di là delle considerazioni di carattere politico i problemi “tecnici” risiedono proprio in questi due punti.
Le similitudini con il post-legge Acerbo ci sono e possono essere così riassunte: un presidenzialismo (per ora senza regole, vedi nomina di Monti a senatore a vita per poi incaricarlo della formazione del governo) al posto della monarchia costituzionale; un Senato di “nominati”; la possibilità di avere alla Camera un solo partito in posizione dominante, com’era il PNF a Montecitorio al momento dell’intervento di Matteotti.
Questo esito va assolutamente evitato: servono maggiore coscienza e maggiore capacità di mobilitazione.
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