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02/07/2014

Tokio accelera lo scontro militare con la Cina. Manifestazioni e proteste

Ieri, il governo di Shinzo Abe ha approvato una revisione degli articoli della Costituzione imposti nel dopoguerra al paese dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale. La nuova formulazione permetterà ai militari di difendere gli alleati di Tokio e non meglio precisati altri partner “in stretta relazione” con il Giappone, in quella che con un eufemismo è stata definita “autodifesa collettiva”. Al di là delle formulazioni di comodo, le forze armate giapponesi potranno ora intervenire non più solo in caso di attacco diretto al territorio nazionale, ma anche in difesa di alleati sotto attacco e anche senza una minaccia immediata e diretta all'arcipelago. Saranno inoltre ridotte le limitazioni finora apposte alle attività militari giapponesi nel corso delle operazioni di cosiddetto "peacekeeping" sotto egida Onu, copertura che ha permesso a varie grandi potenze di invadere e occupare paesi in diversi continenti.
Abe ha detto che il cambiamento di lettura dell’articolo 9 della Costituzione che imponeva la rinuncia alla guerra – in equivalente all’articolo 11 della Carta italiana – sarebbe necessario per proteggere il popolo giapponese in un ambiente di sicurezza sempre più difficile. “Navi da guerra giapponesi sarebbero in grado di proteggere le navi statunitensi che difendono il Giappone”, ha detto Abe in un contorto ragionamento durante una conferenza stampa televisiva aggiungendo: “La pace non è qualcosa che viene donato, ma qualcosa che dobbiamo ottenere da soli”. In realtà nessuna reale minaccia militare mette in pericolo la pace in Giappone. Ma da tempo Washington ha sollecitato Tokyo affinché diventi un partner attivo in funzione anti-cinese. Contro Pechino infatti sia il Giappone che le Filippine e la Corea del Sud stanno aumentando l’accerchiamento militare, sostenuti e protetti dalla crescente presenza militare statunitense nel Pacifico. E così i nazionalisti di Abe, eletti a furor di popolo alla guida del Giappone e più recentemente della capitale nipponica, non si sono fatti sfuggire l’occasione per rivendicare la possibilità di un ruolo militare del paese nella regione in cambio di un sostegno – da pari a pari – alla strategia anticinese statunitense.

Il riarmo di Tokio ha però ampiamente diviso il Giappone, dove molti si preoccupano per la crescente potenza militare della Cina ma allo stesso tempo sostengono la clausola della Costituzione che impedisce al paese di promuovere azioni belliche e sono preoccupati di una possibile svolta verso il militarismo che portò già al coinvolgimento nipponico nella Seconda guerra mondiale.

Domenica scorsa, un uomo si è dato fuoco nei pressi di un affollato incrocio di Tokyo – una rara forma di protesta in Giappone – dopo aver denunciato la revisione dell’articolo 9. Ieri, mentre Abe parlava in televisione, circa 40 mila manifestanti, tra cui pensionati, casalinghe e impiegati hanno lasciato il lavoro e si sono riuniti nei pressi dell’ufficio del primo ministro portando striscioni e scandendo slogan come “Non distruggere l’articolo 9″, “Siamo contro la guerra” e “Mai più Abe”, chiamati a raccolta dalle organizzazioni pacifiste – alcune di stampo religioso – e dai comunisti. Circa 2000 persone hanno poi protestato direttamente davanti all’ufficio di Abe, affermando che qualsiasi modifica alla Costituzione dovrebbe essere fatta attraverso un referendum pubblico, non semplicemente con una reinterpretazione dell’esecutivo.
Per essere attuata, la revisione bellicista della Carta deve essere ora approvata dal parlamento e, nel processo di revisione legale, potrebbero essere imposte alcune restrizioni. Ma la corsa di Tokio verso lo scontro anche militare con la Cina sembra irreversibile.

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