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12/12/2018

Il 12 dicembre non sarà mai una data come le altre sul calendario

Siamo al quarantanovestimo anniversario della strage di Piazza Fontana, la strage con cui il 12 dicembre del 1969 gli apparati della borghesia italiana e statunitense scatenarono la “guerra di bassa intensità” contro il movimento operaio e la sinistra rivoluzionaria in Italia.

In questi anni, anche di fronte a indiecenti tentativi giornalistici di riscrizione di quella vicenda, abbiamo affermato che la verità giudiziaria sulla strage del 12 dicembre a Milano è ormai seppellita sotto due processi e la contraddittoria sentenza definitiva del secondo.

Quella sentenza afferma infatti che i colpevoli erano quelli che il primo processo aveva giudicato innocenti (Freda, Ventura etc.), mentre gli accusati del secondo (Zorzi, Maggi etc) sono stati scagionati. Ma i primi erano stati già giudicati e quindi non possono esser giudicati una seconda volta per lo stesso reato. Una lapide su ogni anelito di verità che potesse uscire dalle aule di un tribunale. Dunque, sulla strage di Piazza Fontana rimangono solo la verità storica e la valutazione politica per cercare di capire, spiegare e affermare un giudizio che resti nella memoria collettiva del paese e che lasci tracce sufficienti per le generazioni future.

Il quadro emerso dalla seconda inchiesta (condotta dal giudice Salvini, nessuna parentela con l’attuale ministro degli Interni, ndr) e dal secondo processo per la strage di Piazza Fontana, chiama direttamente in causa i servizi segreti militari USA nella strategia delle stragi, soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e gli stessi settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”.

L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri ha il nome di Joseph Luongo (insieme a lui c’era anche Leo Joseph Pagnotta) ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Longo si fa fotografare insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzate su cinque cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest.

L’inchiesta del giudice Salvini ha portato alla luce tutto o gran parte di quello che c’era da sapere dietro e dopo la strage di Piazza Fontana sul piano giudiziario. Ma la sentenza del 2005 per un verso, e la complice inerzia della politica (inclusi i partiti della sinistra eredi del PCI) dall’altro, hanno scientemente perseguito l’obiettivo di lasciare impunita la strage di Stato e di depistare l’attenzione su mille piste diverse che hanno confuso quella giusta. Un’opera di depistaggio continuata anche in anni più recenti attraverso libri e inchieste giornalistiche con ipotesi fantasmagoriche, con la stessa logica che vediamo utilizzare ad esempio sulla vicenda Moro.

Le audizioni del giudice Salvini davanti alla Commissione parlamentare d’Inchiesta sulle stragi, invocavano proprio questo pericolo e questa necessità. Sul piano giudiziario si era arrivati al massimo delle possibilità di ricostruzione con nomi, cognomi, dettagli, ma molti testimoni chiave nel frattempo erano morti. Toccava dunque alla politica trarre conclusioni che la verità giudiziaria non poteva affermare. Ma la verità sui mandanti era scomoda per il potere democristiano ed anche per l’opposizione che scelse allora il compromesso storico con la DC e la subalternità agli USA e alla NATO.

Quando nel primo governo Prodi (1996-2001) ci fu la possibilità di fare chiarezza (il Ministro degli Interni era l’ex presidente della Repubblica, Napolitano) prevalse invece la decisione di lasciare la verità seppellita negli archivi e in sentenze assolutorie. Di questo occorre essere consapevoli e da questo occorre partire per una battaglia di verità storica e politica sulla strage di Stato che non deve e non può fare sconti a nessuno.

Più recentemente un articolazione diversa di quello che abbiamo denunciato su tutta la vicenda della strage di Piazza Fontana, lo abbiamo rivisto nelle indagini e nei processi sulla trattativa tra Stato e mafia dopo le stragi del ’92 e ’93. Da essi emerge ancora una volta la naturalità con cui gli apparati della “ragion di Stato” non esitino a praticare il lavoro sporco per ottenerne dei risultati sul piano della stabilità. Ed a finire nei guai (o anche peggio) sono i magistrati che cercano di svelare queste pratiche, magistrati che vengono stoppati, isolati e talvolta tolti di mezzo dalla supremazia degli interessi dello Stato. La politica se ne rende complice e, pagando qui e lì qualche prezzo in termini di credibilità, non produce alcuno scostamento, al contrario contribuisce a eliminare i recalcitranti.

Picciotti o neofascisti, stragi, agenti dei servizi segreti e dei carabinieri a fare da tramite o copertura, ragion di Stato come mission strategica, fanno si che gli eventi di oggi rendano più nitidi anche quelli di ieri, strage di Piazza Fontana inclusa.

Se negli anni della “guerra a bassa intensità” (la stagione delle stragi) i fascisti sono stati usati come manovalanza dagli apparati dello stato e dai servizi statunitensi in funzione anticomunista, i fascisti del “terzo millennio” come amano definirsi, sembrano aver assunto un ruolo di “cerniera” tra il lavoro sporco legale e il lavoro sporco illegale (vedi lo spaccio di droga).

I fascisti, in tutte le loro espressioni, aspirano a sentirsi protagonisti di se stessi ma sono ancora manovalanza, come lo sono stati nei decenni precedenti. I poteri forti gli hanno fatto ponti d’oro in un alcune fasi e li hanno scaricati in altre. Oggi possono tornare utili alla parte peggiore di questo paese, un’ottima ragione per impedirgli di crescere e rafforzarsi.

Parlare della strage di Piazza Fontana quarantanove anni dopo, impone a tutti il senso di questa complessità e dell’intreccio tra storia, conflitto di classe e controrivoluzione reazionaria nelle vicende recenti del nostro paese, la “guerra a bassa intensità” appunto, come l’abbiamo definita in una nostra pubblicazione. Per questo la Strage di Stato non dovrà e non potrà mai essere condannata all’oblìo.

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Qui di seguito trovate i link di quattro capitoli della pubblicazione di Contropiano realizzata in occasione del quarantennale della Strage di Piazza Fontana:

– Italia. Una storia rovesciata
(http://www.contropiano.org/it/cultura/item/5676)

– Una strage lunga quarant’anni
(http://www.contropiano.org/it/cultura/item/5739)

– Gli “uomini neri” nell’Italia delle stragi
(http://www.contropiano.org/it/cultura/item/5785)

– La sinistra contro la strategia delle stragi
(http://www.contropiano.org/it/cultura/item/5837)

Fonte

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