I numeri smentiscono sempre i bugiardi al governo, ma bisogna saperli anche leggere. Il consuntivo sull'occupazione in Italia nel 2014, pubblicato poco fa dall'Istat, certifica che il tasso di disoccupazione è salito dal 12,1 al 12,7%. Mentre il numero degli occupati è leggermente cresciuto (+88.000 unità).
Non c'è alcuna contraddizione, perché la percentuale tiene conto del rapporto esistente tra popolazione in età da lavoro e alla ricerca di un'occupazione, quindi iscritta nelle liste di collocamento, e numero di quanti non sono riusciti a trovare un lavoro oppure l'hanno perso. Così, per effetto di un aumento delle persone in età da lavoro – grazie alla Fornero e al prolungamento dell'età pensionabile – anche il fatto che ci sia qualche occupato in più non arresta la salita del tasso di disoccupazione.
Ma anche a voler enfatizzare – come certamente faranno i renziani nel cervello – il dato “positivo” degli occupati in più, bisogna registrare che si tratta di occupazione precaria, altamente dequalificata e soprattutto non coinvolgente le generazioni più giovani e addirittura quelle di “mezza età”.
Prosegue infatti – spiega l'Istat – il calo degli occupati 15-34enni e dei 35-49enni (rispettivamente -148.000 unità e -162.000 unità), a fronte dell'incremento degli occupati con almeno 50 anni (+398.000 unità). Cosa significa? Che le imprese non hanno alcun interesse a perdere tempo con la “formazione” o “l'apprendistato”, anche se ovviamente preferiscono assumere con contratti precari che portano quella dicitura. Ma prendono al lavoro gente già esperta, che ha magari perso il lavoro per la chiusura della vecchia azienda; quindi ultra 50enni, col vantaggio di pagarli la metà di quanto non siano costretti a fare con loro coetanei assunti a tempo indeterminato.
La crescita dell'occupazione, dunque, interessa in misura contenuta i lavoratori a tempo indeterminato (+18.000 unità) e in modo più sostenuto i lavoratori a termine (+79.000 unità). Prosegue, invece, a ritmo meno sostenuto il calo degli indipendenti (-9.000 unità).
Più in dettaglio, l'occupazione cresce anche nel terziario (84.000 unità, pari a +0,5%). Ma a fronte dell'incremento nei servizi alle famiglie, negli alberghi e ristoranti, nella sanità e assistenza sociale e nell'istruzione, prosegue il calo di occupati nel commercio, nei servizi generali della pubblica amministrazione e nelle attività finanziarie e assicurative. Traduzione non difficile: aumentano i posti di lavoro meno solidi, più “stagionali” (ristorazione e alberghiero), mentre calano nei settori più esposti alla competizione internazionale e nel settore pubblico, stravolto dall'austerità.
Ma anche con riferimento alle tipologie contrattuali, scende ancora l'occupazione a tempo pieno (-35.000 unità, pari a -0,2%), mentre incrementa senza soste quella a tempo parziale (124.000 unità, pari a +3,1%). L'incidenza di quanti svolgono part time involontario sale dal 61,3% del 2013 al 63,6% del 2014. Magari il premier ce la rivenderà come “scelta individuale”...
Altro dato preoccupante, avente a che fare con i livelli salariali e il potere di ricatto delle imprese, cala l'occupazione della componente italiana (+23.000 unità), con il tasso di occupazione 15-64 anni che sale al 55,4% (+0,1 punti percentuali). Mentre aumenta l'occupazione straniera (+111.000 unità). Anche se il tasso di occupazione specifico torna a salire, dal 58,3% del 2013 al 58,5% del 2014, l'indicatore rimane invariato al 68,1% per gli uomini e cresce per le donne (dal 49,8% al 50,2% del 2014). Dati che potrebbero essere strumentalizzati dal fascioleghismo quando finge di interessarsi al mondo del lavoro.
In totale i i disoccupati sono aumentati di 167.000 unità (+5,5%), senza tante distinzioni di genere e territoriali. Soprattutto, come detto, riguarda i più giovani: in quasi sette casi su dieci riguarda quanti sono alla ricerca di prima occupazione. L'incidenza della disoccupazione di lunga durata (dodici mesi o più) sale dal 56,4% del 2013 al 60,7% del 2014.
In particolare, nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione arriva al 20,7%.
Il tasso di disoccupazione giovanile 15-24 anni cresce di 2,6 punti percentuali, arrivando al 42,7%, con un picco del 58,5% per le giovani donne del Mezzogiorno. Dopo quasi 30 anni di “politiche per i giovani”, i risultati si vedono, eccome!
Il rapporto completo dell'Istat.
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