Come redazione di Senza Soste, insieme
ai sindacati di base e ad un collettivo di giovani del movimento che
lavorava sul tema della precarietà (Precari Autorganizzati) iniziammo ad
occuparci delle vicende di questi due nuovi templi della precarietà
dove non era tutto oro quello che luccicava: quasi tutti contratti part-time (20-24 ore settimanali e 700/800 euro al mese a dir tanto) e nel call center il 95% di contratti a progetto.
Se quello doveva essere il lavoro e il reddito per compensare i posti
persi in Cantiere navale o nell'industria, si era già capito che il
futuro non avrebbe potuto essere roseo.
In entrambi i luoghi di lavoro, però, la
grande infornata di giovani aveva portato con sé una visione diversa di
intendere il proprio lavoro e fare sindacato. Ed è proprio in questi
due luoghi di lavoro che il sindacalismo di base ha cercato di dare uno
sguardo e un approccio alternativo ai problemi, a volte riuscendoci
altre volte no, ma sempre cercando di dare una visione d'insieme. E in questi 10 anni le conquiste e l'avanzamento dei lavoratori sono stati costanti:
dai contratti a tempo indeterminato conquistati a Telegate (dopo una
vittoria in una causa intentata da una operatrice sostenuta dai Cobas)
alla capacità da parte dei lavoratori Ipercoop di resistere alla spirale
produttivistica e di consumo 7 giorni su 7 della grande distribuzione.
Infatti, a differenza che nella quasi totalità degli ipermercati e
supermercati delle zone limitrofe, a Livorno le aperture domenicali e
festive, le forme contrattuali dei dipendenti, gli obiettivi di
produttività ed altre scelte sui tempi di lavoro, vengono contrattate. Come è giusto che sia e grazie soprattutto ad una Rsu (Rappresentanza Sindacale Unitaria) a fortissima maggioranza Usb.
È storia di questi giorni però
che il call center rischi la chiusura il prossimo 31 maggio e che i
negozi Coop saranno aperti per la prima volta il 25 aprile. Due
problemi molto lontani tra loro come gravità, ma che sono accomunati da
un principio: quello del ricatto del lavoro e dell'ormai appiattimento
all'inevitabilità della dittatura del mercato e dei profitti.
Uno dei ruoli del sindacato dovrebbe
essere quello di tutelare i lavoratori e il lavoro, nel braccio di ferro
con il capitale; ma anche quello di spiegare, contestualizzare ed
emancipare i lavoratori in modo tale che prendano coscienza di una
situazione e la sappiano affrontare con una visione a 360 gradi.
Rimaniamo dunque di sasso quando
leggiamo le dichiarazioni di due dirigenti Cgil sulla situazione di
questi due posti di lavoro: Strazzullo, segretario generale provinciale
Cgil, su People Care e Franceschini, segretario Filcams-Cgil, su
Ipercoop.
Il
primo si scaglia contro l'azienda People Care, che ha certo la sua
buona dose di colpe ma non tutte, rea di voler rinunciare all'appalto
Seat, dicendo che la cosa più vergognosa è che lui era disposto a
rincorrerli per trattare sul costo del lavoro, ovviamente abbassandolo.
Naturalmente nella sua sfuriata non dice che con l'accordo già
firmato due anni fa a People Care non c'è ormai più niente da "grattare"
dai 700 euro che guadagnano gli operatori, perché con la
flessibilità massima e assoluta firmata in quell'occasione non ci sono
ormai più ore "straordinarie" da fare e gli operatori possono essere
mandati via anche dopo due ore, per poi recuperarle quando l'azienda
ordina gli straordinari (non pagati, ma a recupero) nei momenti di
maggior traffico. Gli unici che hanno un piccolo superminimo sono un
centinaio di "vecchissimi" operatori della prima ora, conquistato nel
passaggio dal contratto poligrafici a quello telecomunicazioni. Voleva
forse riferirsi al fatto che dopo 10 anni di lavoro questi lavoratori
dovrebbero perdere contratti a tempo indeterminato e anzianità ed essere
riassunti con il Jobs Act ripartendo da zero, senza anzianità di
servizio e con la possibilità di essere licenziati senza giusta causa da
un giorno all'altro?
Strazzullo nel suo rabbioso attacco non
accenna minimamente né al fatto che il mercato dei call center è ormai
in balìa di una vergognosa concorrenza al massimo ribasso, né che le
leggi italiane permettono ai grandi capitali le delocalizzazioni
nell'est europeo, né che Seat, quella che per lui è la parte
"buona" della vicenda, opera già in Albania per certi servizi e che
l'offerta che fino ad oggi ha fatto a People Care è roba proprio da
mercato albanese.
Se
qualcuno vuole parlare di proroghe e aziende tiri fuori i numeri e
faccia capire se con quei numeri si può lavorare dignitosamente. Sennò
sono solo discorsi a vanvera, fatti tra l'altro con l'atteggiamento di
uno che rincorre le aziende per calarsi le braghe prima che gli venga
chiesto. Ma forse, in Cgil, è un problema
parlare della cultura ormai turboliberista dell'amato Partito
Democratico, dell'assenza di tutela del settore da parte del governo e
del fatto che il Jobs Act complica maledettamente tutto negli appalti.
E allora è più facile scagliarsi addosso solo ad una parte,
salvaguardando governo e committente. Proprio quel governo che
attraverso il viceministro De Vincenti ha detto che questi
lavoratori non sono competitivi nel mercato del lavoro perché costano
troppo e sono troppo specializzati. Al di là che, come spiegato
nel paragrafo precedente (e come gli ha risposto giustamente un
delegato Cisl su Il Tirreno), queste affermazioni non sono vere, il
signor viceministro dovrebbe dire anche che se questi lavoratori e
lavoratrici sono fuori dal mercato è colpa del suo governo che con il
Jobs Act ha abbassato ulteriormente i livelli di tutela dei lavoratori
rendendo poco appetibili i lavoratori degli appalti in favore di qualche
nuovo schiavetto da assumere con tanto di sgravio contributivo. E
dovrebbe anche dire che il suo governo oltre che l'abbassamento dei
livelli salariali favorisce anche la concorrenza selvaggia. Ma non lo dirà mai. E quindi lo devono dire i sindacati.
Alla fine della fiera la colpa morì
fanciulla, anzi quasi quasi è dei lavoratori perché con il loro
stipendio da ben 700 euro costano troppo.
Di fronte a questo dramma che riguarda
450 operatori e operatrici (350 a tempo indeterminato e circa 50-100
interinali), pare uno schiaffo alla miseria dover parlare di Ipercoop e
della polemica sull'apertura del 25 aprile, ma così non è.
Link: "Il 25 Aprile non si tocca": lavoratori Coop Livorno contro i negozi aperti per la Liberazione
Diciamo subito una cosa. Il problema è
emerso per due motivi: il primo perchè all'Ipercoop di Livorno il
maggior sindacato è Usb. E loro fanno sindacato. Secondo perché la Coop
ha sempre cercato di giocare (e di fare profitti) sull'immagine di
un'azienda ad alto contenuto etico e di sinistra, e qui i nodi vengono
al pettine (basti pensare che lo scorso anno fecero una campagna dal
titolo "Chiusi per scelta" in occasione della chiusura 25 aprile.)
Ma le dichiarazioni del sindacalista Filcams-Cgil, Franceschini, su La Nazione di venerdì sono allucinanti. In poche parole per
il provinciale Cgil queste sono battaglie inutili e dannose che
sottopongono l'azienda ad uno svantaggio nei confronti della concorrenza,
e che alla fine la Coop può anche concedere qualcosa solo perché agisce
in regime di monopolio, ma se ci fosse stata Esselunga probabilmente
no.
Quindi? Quindi per Franceschini in sostanza la colpa è del sindacato Usb che (semplicemente) fa il sindacato: il mondo alla rovescia.
Un sindacalista come Franceschini, appartenente ad un sindacato
rappresentato in ogni catena di distribuzione, dovrebbe fare il suo
lavoro e adoperarsi affinché la sua organizzazione faccia ovunque
quello che ha fatto Usb alla Coop, così che non ci siano vantaggi di
concorrenza nel settore ma una situazione simile per tutti (e cioè il
rispetto delle festività). Ma loro non lo fanno, quindi è più facile dar
la colpa a chi lo fa.
Anche in questo caso secondo Franceschini, che (è bene ricordarlo) pare sia noto negli ambienti che apprezzi molto le politiche di Renzi,
la colpa è di chi reclama una giornata di chiusura per una festività
speciale, e dei sindacati che cercano di regolamentare un sistema sempre
più sottoposto alla deregolamentazione e all'apertura indiscriminata.
Benvenuti nel mondo alla
rovescia, dove De Vincenti, Strazzullo e Franceschini sono le punte di
diamante di un sistema che non è altro che una spirale verso il basso,
in cui ogni giorno è normale costare un centesimo meno del giorno
prima. Fino a quando poi arrivati a zero bisognerà pagare per lavorare.
Ah, scusate. In un call center romano è già successo nel 2000 e ora De Vincenti ci ha detto che torneremo 15 anni indietro. Grazie Renzi, grazie Cgil.
Redazione - 29 marzo 2015
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