A sinistra gli innamoramenti nei confronti della Fiom sono una costante. Essendo l’amore spesso un disturbo ossessivo compulsivo è, per sua natura, irrazionale, avulso da qualsiasi bilancio e analisi.
Landini infatti non è il primo dirigente FIOM che la sinistra dei convegni reincarna nell’uomo della provvidenza. Memorabile l’editoriale di Rossana Rossanda dal titolo “zipponi”. Estasiata dall’allora dirigente metalmeccanico bresciano, apparso il giorno prima in un dibattito televisivo, l’editorialista del Manifesto riportava nel titolo solo un cognome ad indicare un progetto politico.
Com’è finito il progetto politico “Zipponi” (Landini ante litteram) è scritto negli atti parlamentari.
Così come non è una novità che la FIOM cerchi spazi e interlocuzione nella/con la politica.
Una per tutte basti ricordare il 6 giugno 2012 quando promuove un incontro dall’impegnativo titolo “il lavoro prende la parola, è ora di scegliere”. Ma ancor più impegnativi sono i nomi degli interlocutori: Bersani, Vendola, Ferrero, Diliberto, Di Pietro. Questi i capi partito, poi vengono i noti intellettuali di riferimenti della FIOM: Rodotà, Revelli, Tronti, Flores d’Arcais. Oggi come allora la domanda che viene posta è “la Fiom si fa partito?” A farla è un amico della Fiom Loris Campetti.
Oggi la FIOM si trova in splendida solitudine perché Landini decise tre anni fa di rinunciare alla battaglia interna alla CGIL su scala confederale, sciogliendo la minoranza in CGIL, siglando un accordo con Susanna Camusso per un congresso unitario, sottoscrivendo quindi il documento del segretario generale CGIL. Unità che non arriva al congresso nazionale CGIL di Rimini. Solitudine che Susanna Camusso si è premurata in queste ore di evidenziare commissionando un articolo di rassegna sindacale nel quale i “notabili” CGIL sono chiamati a dissociarsi dalla FIOM. I nomi non sono presi a caso, perché, come Rossana Dettori segretaria generale della FP CGIL di area SEL e Carla Cantone segretaria generale SPI, spesso sono stati descritti come potenziali “fiancheggiatori” della Fiom.
Dopo tante premesse, indispensabili per contestualizzare ciò che sta accadendo, è bene arrivare alla analisi e al bilancio. L’analisi ci dice che quando si parla di FIOM è bene ricordare che stiamo parlando di una federazione della CGIL, per decenni prima categoria per numero di iscritti ed ora scesa al quarto posto fuori dal podio.
La FIOM esce da due congressi CGIL, dal 2010 ad oggi, nei quali è stata pesantemente sconfitta e l’attuale gruppo dirigente della FIOM non si è mai interrogato sulle cause di questa sconfitta.
Perché il progetto di Landini, sconfitto in CGIL, dovrebbe essere vincente in politica? Come può nascere l’idea di un soggetto politico avulso dalla rappresentanza sul terreno sindacale?
Nel frattempo la crisi e l’attacco padronale fanno sentire i loro effetti sul sindacato metalmeccanico della CGIL anche attraverso un sempre minore radicamento nelle fabbriche e con sempre maggiori problemi di bilancio economico.
Lo rammentiamo perché siamo profondamente convinti che in Italia vi sia la necessità di dare rappresentanza politica e sociale al mondo del lavoro dipendente. Ma la rinascita di un soggetto politico ha come presupposto indispensabile la rinascita di un soggetto di rappresentanza sociale del mondo del lavoro: il sindacato.
La Fiom “la butta in politica” ma a premessa non fa il suo mestiere, cioè contribuire alla costituzione di un sindacato di classe e conflittuale.
Paradossalmente nella nascente “coalizione sociale” manca il soggetto principale: il sindacato confederale, generale e di massa. E se mi è consentito aggiungerei anche di classe.
La coalizione sociale, senza radici ben solide nel mondo del lavoro, rischia di assomigliare ad un “sindacato dei cittadini”.
La Fiom omette nel proprio ragionamento di riconoscere che è parte integrante della CGIL. Questa condizione le impedisce di costruire un’alternativa organica al progetto di Camusso, al modello di sindacato figlio della concertazione e dell’accordo autoritario del 10 gennaio 2013 sulla rappresentanza.
Landini finge di non vedere che in tutte le categorie della CGIL il processo di normalizzazione è stato portato a compimento. Non c’è categoria che nella contrattazione quotidiana si opponga alla cancellazione dei diritti e non accetti la centralità dell’impresa. Peraltro la stessa Fiom, che parla di dittatura alla Fiat perché esclusa dal voto della RSU, si comporta in modo analogo, applicando l’accordo del 10 gennaio ed impedendo a USB di presentare le proprie liste nelle fabbriche (uno per tutti si veda il caso Alenia).
Il gruppo dirigente metalmeccanico vive da cittadella assediata lanciando dalla torre d’avorio proclami. Ma in fin dei conti si rende corresponsabile nell’ostacolare la realizzazione della crescita di quella massa critica in grado di accendere un ampio e diffuso conflitto sociale, ottenendo risultati concreti. Senza conflitto non ci sarà mai rinascita della sinistra.
Per conflitto intendo prioritariamente quello che nasce e si sviluppa dai luoghi di lavoro.
Lo sciopero CGIL del 12 dicembre, alla luce dei fatti, ha dimostrato in tutta evidenza non solo la sua inutilità ma quanto sia stato dannoso. Attuato dopo l’approvazione della legge 183 (Jobs Act) a cui non è seguita neppure una assemblea contro i decreti attuativi. La Fiom non ha minimamente preso in considerazione di unificare le lotte con USB o con i movimenti, ad esempio il 24 ottobre e l’11 novembre o in qualsiasi altra data.
Peraltro Landini non ha neppure risposto alla richiesta di incontro avanzata a settembre dall’esecutivo USB per discutere momenti di lotta comuni, nè tantomeno ci ha invitati all’incontro del 14 marzo. Scelte gravi per chi dice di unificare i movimenti e rifiuta di confrontarsi con l’organizzazione sindacale risultata la grande vincitrice delle elezioni RSU del pubblico impiego.
Oggi si preannuncia il referendum contro il jobs act? Noi pensiamo se ne possa discutere. Ma a che serve la raccolta di firme se prima, durante e dopo, non si “raccolgono” tante, ma tante, ore di sciopero e di lotta? Nel 2002 contro Berlusconi furono 34 milioni, nel 2012 con la Fornero 4 milioni. Oggi non arriviamo a due. (Quando si dice che chi tace acconsente!)
Non bastano scioperi e manifestazione dei soli metalmeccanici (che peraltro iniziano a diradarsi), perché lo scontro è generale e confederale. Landini questo lo sa, ma rinuncia alla battaglia sindacale generale e sposta l’asse sul versante della costruzione del soggetto politico. Emergency, Libera sono associazioni di tutto rispetto. Non danno però rappresentanza al mondo del lavoro. Sono nostri alleati, ma non possono fare il nostro mestiere, quello dei sindacalisti.
Agli entusiasti del “progetto Landini” vorremmo porre una domanda, partendo da una considerazione. E’ certamente un obiettivo comune quello di cancellare le leggi che hanno portato la barbarie nel mondo del lavoro. Il quesito da porsi è se risulta più facile realizzarlo attraverso la ripresa di lotte che partono dalle condizioni materiali vissute quotidianamente nei luoghi di lavoro, o conquistando il 51% del Parlamento? Chi ha un briciolo di onestà intellettuale, anche tra coloro che ambiscono alla conquista di una rappresentanza Parlamentare, non può che riconoscere che per un tempo non breve sarà possibile solo una opposizione istituzionale. Ipotesi di governo sono ipotizzabili solo a condizione di una abiura all’obiettivo in premessa.
Quindi, anche l’azione parlamentare, per essere efficace, dovrà essere sorretta da forze esterne al Parlamento stesso.
Questo solo per chiarire dove oggi vanno prioritariamente indirizzate le forze in campo.
Altrimenti, e questa è la mia percezione, è che si avrà solo qualche sindacalista in più nelle istituzioni, e meno sindacato nei luoghi di lavoro. E’ quello che abbiamo visto negli ultimi vent’anni con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Come per l’Arcobaleno, come per Ingroia, se va bene e non vi saranno divisioni sulla composizione delle liste, nascerà l’ennesima sommatoria di soggetti sociali e politici più o meno camuffati, ma non crescerà quello principale: il sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici.
Non abbiamo bisogno di illudere gli apolidi della sinistra che arriva il messia a liberarci dal giogo di Roma. Non ci sono scorciatoie. Anche in politica si vince se prima si conquista la “testa” della gente con una rinata presa di coscienza. Le mode, soprattutto se costruite nei dibattiti televisivi, passano, l’organizzazione dei lavoratori no. Per questo abbiamo la presunzione di credere, pur coscienti di non essere autosufficienti, che il progetto “USB” abbia radici molto più solide di quello di “Landini”.
Comunque sempre pronti a contribuite ad unire le forze. Ovviamente sindacali.
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