Combattente Houthi. Foto di Abdulrahman Hwais/EPA |
di Roberto Prinzi
I
recenti eventi in Yemen stanno spingendo il paese “verso una guerra
civile”. A dirlo è stato domenica l’inviato speciale delle Nazioni Unite
nel paese, Jamal Ben Omar. Intervenendo ad una riunione di
emergenza convocata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Ben Omar ha
dichiarato che se non vengono fatti “passi immediati, il paese scivolerà
in un conflitto ancora più violento”. Pertanto ha lanciato il suo
appello esortando “tutte le parti [del conflitto] a riconoscere la
gravità della situazione e a terminare le ostilità astenendosi dalle
provocazioni e dall’uso della violenza”. L’allarme è
inquietante, i tempi sono brevi: “se non si raggiunge al più presto una
soluzione politica, lo Yemen potrebbe diventare come la Siria, la Libia
e l’Iraq”.
Le valutazioni di Ben Omar non appaiono affatto
esagerate. Soprattutto se si considera che nelle stesse ore in cui
pronunciava queste parole, i ribelli houthi occupavano la città di Taiz e
il suo aeroporto dopo duri scontri con le forze fedeli al deposto
presidente Hadi. In un messaggio televisivo trasmesso domenica,
un preoccupato Hadi aveva invitato i suoi sostenitori a mobilitarsi nel
sud del paese (sua roccaforte) nel tentativo di fermare l’avanzata degli
houthi. Il presidente fuggitivo – qualche settimana fa è
riuscito a trovare rifugio ad Aden scappando dalla ormai ostile Sana’a
controllata dagli houthi – aveva sfidato le forze sciite definendo il
loro governo “un golpe contro la legittimità costituzionale”. In modo
provocatorio Hadi aveva implorato i suoi sostenitori ad alzare la
bandiera yemenita sulle montagne di Maran (un fortino degli houthi) e
aveva attaccato pubblicamente l’Iran perché, a detta sua e di molti
analisti, sostiene i ribelli (accusa negata, però, sia dagli houthi che
da Tehran) .
Ad una situazione ormai fuori controllo,
l’Onu ha provato ieri a porre un freno. Ben Omar ha annunciato, infatti,
che nuovi colloqui di riconciliazione tra le parti belligeranti si
terranno a Doha in Qatar in una data ancora da stabilire sottolineando,
però, che se un accordo sarà raggiunto, questo sarà siglato a Riyad.
Accordo che, al momento, resta una chimera.
Ieri il ministro degli esteri yemenita, in una intervista rilasciata
alla tv saudita al-Hadath, ha chiesto a gran voce un intervento militare
dei Paesi del Golfo arabo per fermare l’avanzata dei combattenti
houthi. Concetto ribadito e approfondito sulle colonne del
quotidiano as-Sharq al-Awsat: “chiediamo l’intervento delle forze del
Gulf Shield per fermare l’espansione dei ribelli sostenuti dall’Iran” ha
dichiarato facendo riferimento alla forza militare delle sei nazioni
(Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman e Bahrein) che
fanno parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). “Abbiamo
detto al GCC, alle Nazioni Unite così come alla comunità internazionale
che dovrebbe essere imposta una no-fly zone, e che debba essere proibito
l’uso degli aerei negli aeroporti controllati dagli houthi”.
A gettare benzina sul fuoco ci ha poi pensato
ieri Riyad con il suo ministro degli esteri Saud al-Faisal. Al-Faisal
ha affermato che l’Iran sta provando a “seminare un conflitto settario
nella regione” aggiungendo, pertanto, che gli stati del Golfo
prenderanno tutti i necessari provvedimenti per sostenere l’alleato
Hadi. “Se questa questione non si risolve in modo pacifico – ha
chiarito durante una conferenza – faremo di tutto per proteggere la
regione dall’avanzata [di Teheran]. Ci opponiamo all’intervento iraniano
in Yemen. E’ un atto di aggressione”. Ha quindi concluso con un
augurio/diktat: “desideriamo proteggere la sovranità yemenita, la
legittimità dello Yemen rappresentata da Hadi e speriamo che la crisi
possa essere risolta pacificamente”. Ma, qualora ciò non dovesse
accadere, “siamo pronti a rispondere a qualunque richiesta del
presidente [Hadi], [e a fare] qualsiasi cosa che lo sostenga”.
Al-Faisal, però, non è sembrato altrettanto
preoccupato dalla presenza sempre più minacciosa dei gruppi estremisti
islamici. Eppure al-Qaeda riunita sotto l’ombrello di Aqap (al-Qa’eda
nella penisola arabica) e gli affiliati dello Stato Islamico (Is)
guadagnano terreno nel Paese. Proprio l’Is ieri su Twitter ha
rivendicato l’attacco di venerdì contro le forze di polizie che ha
causato la morte di 29 persone. Come consuetudine del
“califfato”, la rivendicazione è stata affidata ad uno scarno
comunicato: “i leoni nel Lahj [provincia yemenita del sud, ndr] hanno
liquidato 29 apostati”. Dove per apostati si deve leggere sciiti.
Gli uomini del califfo al-Baghdadi si erano assunti
la responsabilità anche degli attacchi suicidi di venerdì contro due
moschee sciite della capitale Sanaa in cui hanno perso la vita 142
persone. Questi attentati sono stati i primi ad essere rivendicati in
Yemen da gruppi affiliati allo Stato Islamico. Finora, infatti, nel
Paese le formazioni qaediste non hanno avuto rivali nell’ambito del
radicalismo islamico. Le esplosioni e le uccisioni compiute negli ultimi
giorni dall’Is segnalano l’ingresso ufficiale nello scenario yemenita
degli uomini del “califfo”. Resta da capire come le due forze
fondamentaliste opereranno in Yemen: collaboreranno o, come accaduto in
Siria, si scontreranno violentemente?
La battaglia sul campo, intanto, non cessa. Da domenica gli houthi controllano Taiz (città di oltre tre milioni di persone a 256 km a sud di Sana’a) e hanno ormai una forte presenza nell’intero governatorato.
Circa 350 ribelli sciiti hanno preso il controllo dell’aeroporto
internazionale della città e – secondo il Yemen Times – anche di alcuni
importanti edifici governativi. Una fonte anonima delle Forze di
sicurezze vicine al gruppo houthi ha confermato la notizia
aggiungendo anche che i ribelli armati “stanno pattugliando alcuni
quartieri di Taiz e hanno allestito alcuni check point nelle aree di
Naqil el-Ebel e ar-Raheda che si trovano rispettivamente a 30 e 80
chilometri a sud di Taiz”. Secondo alcuni osservatori la caduta di Taiz potrebbe spianare la strada verso la conquista di Aden (città che ospita Hadi).
Un’avanzata che appare sempre più probabile e
imminente. Fadhel Abu Taleb, membro dell’ufficio politico dei ribelli
sciiti, ha infatti dichiarato ieri che i comitati popolari degli Ansar
Allah (gli houthi) continueranno ad avanzare anche negli altri
governatorati del paese per “ripulirli” da al-Qa’eda. Una scusa per fare
piazza pulita anche degli oppositori che strizzano l’occhio ai sauditi e
che si raccolgono intorno all’ex presidente Hadi.
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