di Sonia Grieco
Tra le diverse sigle che popolano il panorama dei gruppi combattenti in Iraq ha di recente fatto capolino la formazione Dwekh Nawsha.
Una milizia cristiana il cui nome in aramaico significa “pronti al
sacrificio”, composta in prevalenza da foreign fighters che arrivano da
Paesi occidentali, soprattutto da Nord America, Nord Europa e Australia.
È la risposta cristiana alla mattanza messa in atto dal sedicente
Stato Islamico contro gli infedeli, impregnata anch’essa di ideologia
religiosa, tanto che qualcuno di questi combattenti cristiani si
definisce un “crociato”. Lo afferma un 28enne statunitense, che si fa
chiamare Brett, arrivato nella cittadina settentrionale irachena di Al
Qosh da dove gestisce il reclutamento di altri “crociati” come lui.
Sinora è riuscito ad arruolare una ventina di persone, tutte con
trascorsi militari e quindi pronti a imbracciare le armi contro
l’autoproclamato califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, in aperta critica
con le poltiche poco interventiste, a loro dire, dei propri Stati e
governi.
Brett è un marine in congedo, è stato di stanza a Bagdad dal 2006 al 2007. Mostrando
le braccia tatuate - una mitragliatrice sul braccio sinistro e un Cristo
con la corona di spine sul destro -, ha spiegato al sito Middle East Eye di essere andato in Iraq per fare in modo che “le campane delle chiese continuino a suonare”.
Come lui, altri volontari si sono uniti alla milizia Dwekh Nawsha ed è
chiaro che per loro quella che hanno deciso di combattere è una guerra
santa.
Il settarismo religioso pervade l’Iraq da prima dell’Isis e del
califfato che di certo stanno esasperando queste divisioni. Ma neanche
il governo iracheno ne è stato immune e molti analisti, quando
l’espansione dell’Isis non era ancora iniziata, hanno puntato il dito
contro le politiche settarie messe in atto dall’esecutivo sciita dell’ex
premier Nouri al Miliki. La discriminazione dei sunniti ha creato
terreno fertile per il proliferare di gruppi estremisti. La stessa offensiva dell’esercito di Bagdad contro lo Stato Islamico nella provincia di Salahuddin,
iniziata due giorni fa, vede la presenza di milizie che si definiscono
in base alla propria appartenenza etnica e religiosa: le fazioni armate
tribali sciite e sunnite, le truppe curde, gruppi di volontari
filo-governativi della Unità di mobilizzazione popolare. Una
caratterizzazione etnico-religiosa che fa temere lo scontro settario e a
farne le spese rischia di essere la popolazione civile.
Le immagini della fuga degli yazidi dalla ferocia dei miliziani del
califfato, la caduta di Mosul nelle mani dell’Isis lo scorso giugno, le
notizie di decapitazioni, crocifissioni, esecuzioni sommarie, persino le
voci non confermate e probabilmente infondate di un traffico di organi
umani (di cristiani) gestito dai jihadisti hanno motivato l’arruolamento
di diversi combattenti cristiani. Ma il senso di persecuzione
che forse è alla base della scelta di andare a combattere in Iraq ha
radici lontane, nelle sofferenze patite dalle comunità cristiane, come
il popolo assiro, nel quadro del più noto genocidio degli armeni per
mano dell’impero ottomano.
Sul campo di battaglia la milizia Dwekh Nawsha non è determinante.
Si tratta di poche centinaia di combattenti dotati di armi leggere, che
pare abbiamo ricevuto sostegno, in termini di addestramento, dalle
Forze libanesi, le ex falangi cristiano-maronite che hanno avuto un
ruolo cruciale nelle guerra civile libanese tra il 1975 e il 1990.
Alcuni volontari cristiani, che si trovano nel Kurdistan iracheno,
l’unico luogo relativamente al sicuro dall’Isis, si sono uniti ai curdi
che invece stanno avendo un ruolo determinante in Iraq e in Siria contro
lo Stato Islamico. Sono stati attratti dalla lunga battaglia dell’YPG
(le Unità di protezione popolare curde) per la liberazione della città
siriana di Kobane, come tanti altri combattenti volontari stranieri. È
di oggi la notizia della morte in battaglia di un cittadino britannico,
Konstandinos Erik Scurfield, unitosi ai curdi dell’YPG. È stato ucciso
dall’Isis lo scorso 2 marzo nel villaggio siriano di Tel Khuzela.
Ma la caratterizzazione smaccatamente religiosa di Dwekh Nawsha non apre la strada a una collaborazione piena con i curdi. I “crociati” realmente impegnati in battaglia al momento sono pochi.
Lo scorso venerdì alcuni sono stati rispediti indietro dal fronte dal
servizio di sicurezza curdo e non è la prima volta che accade, stando a
quanto riferito dal un veterano statunitense Scott a Middle East Eye. “Sono
un mucchio di dannati rossi”, ha detto Scott riferendosi all’YPG,
affiliato al PKK che è nella lista delle organizzazioni terroristiche
stilata dagli Stati Uniti e dall’Europa, e ha un’ideologia di sinistra
che non incontra i gusti di tutti i volontari cristiani.
Secondo Jordan Matson, ex soldato Usa che combatte
nelle file dell’YPG, c’è una sorta di esodo di foreign fighters dalle
truppe curde. Per Matson alcuni non sono adatti a campi di battaglia
tipo Kobane, dove l’intensità e la modalità dei combattimenti non è
quella tipica a cui sono stati abituati.
Fonte
Nel cao siro-iracheno, mancavano giusto i fondamentalisti cristiani...
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