Al tavolo del negoziato sulla Siria previsto il prossimo sei aprile a
Mosca l’opposizione non ci sarà. Lo ha confermato sabato Anas el-Abdo,
portavoce del Consiglio Nazionale siriano, organo politico della
cosiddetta opposizione moderata in esilio in Turchia riconosciuta e
sostenuta dalla quasi totalità della Comunità internazionale.
Dopo aver discusso dell’eventualità di presenziare i colloqui, i membri
del Consiglio hanno decretato che “non vi è alcun motivo di partecipare
alla riunione di Mosca, soprattutto quando vediamo i tentativi da parte
degli alleati del regime, compresi la Russia e l’Iran, di porre di nuovo
al centro della scena Assad”.
Eppure, tutto faceva sperare che i colloqui sponsorizzati dalla
Russia, chiamati “Mosca 2”, potessero far sedere allo stesso tavolo le
due parti del conflitto siriano. L’opposizione, che aveva
rifiutato di partecipare al primo tavolo organizzato lo scorso gennaio
nella capitale russa, un mese fa aveva per la prima volta ammesso che la
caduta di Assad non era una precondizione al negoziato, smentendo un
mantra ripetuto ormai da quattro anni. “Insistiamo – aveva
detto il presidente della Coalizione Khaled Khoja – nell’obiettivo di
far cadere Assad e i servizi di sicurezza. Ma non è necessario avere
queste condizioni all’inizio del processo, sarà necessario alla fine del
processo, con un nuovo regime e una nuova Siria”.
Alle dichiarazioni di Khoja era seguito l’allineamento degli Stati
Uniti: prima il capo della Cia John Brennan aveva profetizzato che una
Siria senza Assad avrebbe decretato l’invasione totale dell’Isis. Poi la
Casa Bianca, per bocca del suo segretario di Stato John Kerry, una
settimana fa aveva aperto per la prima volta al presidente siriano:
Assad, aveva dichiarato Kerry alla CBS, deve essere parte della
transizione. Ma ora l’opposizione siriana sembra rimangiarsi tutto,
rifiutando qualsiasi transizione politica “che includa Assad”.
E nonostante la Coalizione nazionale consideri le ultime vicende
diplomatiche “un successo”, perché indicherebbe che un alleato-chiave di
Assad come la Russia ha “finalmente riconosciuto l’opposizione”, fa
sapere che il boicottaggio di Mosca 2 si rende necessario per “la
mancanza di un ordine del giorno chiaro, l’assenza di un chiaro punto di
riferimento per tutto ciò che potrebbe essere deciso e il rifiuto della
coalizione di impegnarsi in un dialogo con il regime, se questo non è
parte di un processo di transizione “.
La verità è che è l’intero asse sunnita nella regione ad aver improvvisamente cambiato rotta. Se
gli sviluppi delle ultime due settimane facevano pensare a un
rafforzamento dell’asse sciita grazie soprattutto ai successi delle
milizie di Teheran a Tikrit al fianco dell’esercito regolare iracheno contro
l’Isis, che avevano portato persino l’Arabia Saudita ad aprire ai
ribelli sciiti Houthi in Yemen, ora la situazione appare capovolta:
i contatti sarebbero stati interrotti, i ribelli avrebbero bombardato
la residenza del presidente defenestrato Hadi ad Aden e venerdì scorso
sarebbero stati ripagati con due kamikaze mandati dall’Isis a Sanaa che
hanno ucciso quasi 150 fedeli sciiti in due moschee. Inoltre,
Riyadh e Doha si sono riscoperti amici per la pelle, dopo la guerra
fredda dello scorso anno, e starebbero lavorando insieme per denunciare
il coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto siriano e far prendere
provvedimenti in merito alle Nazioni Unite.
Intanto, nel rifiuto più totale dell’opposizione persino a tentare il dialogo, in Siria si continua a morire. Almeno 25 persone sono rimaste uccise e 80 ferite sabato notte nella città nordorientale di Hasake,
quando un’autobomba è esplosa nel mezzo delle celebrazioni del Nowrooz
(capodanno curdo), una strage – secondo fonti locali – firmata Isis. E
sebbene il mondo si indigni solo per i massacri perpetrati dal Califfato
e dal regime siriano, l’opposizione amata e armata dall’Occidente non
sembra essere poi così “moderata”: un rapporto di Human Rights Watch
accusa i ribelli di agire “mimando la crudeltà del regime siriano e dei
suoi alleati”, portando avanti “attacchi indiscriminati” che hanno
provocato “numerose vittime tra la popolazione civile” e violato “le
leggi della guerra”.
L’organizzazione non governativa ha monitorato gli attacchi avvenuti
intorno a Homs e Damasco dal gennaio 2012 all’aprile 2014. Alcuni
attacchi, come spiega HRW, sono stati rivendicati da al-Nusra e dallo
Stato islamico, ma “l’Esercito siriano libero – come si legge
nel rapporto – e altri gruppi ribelli sembrano aver condotto attacchi
indiscriminati e mortali nelle aree popolate dai civili, soprattutto in
quelle dove vivono cristiani, alawiti, sciiti, drusi”. Human
Rights Watch ha quindi condannato l’atteggiamento dei ribelli, che
puntano il dito contro “le violenze commesse dal regime e dai suoi
alleati per giustificare le proprie violenze nelle aree ad alta
concentrazione di minoranze religiose”.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento