Per la verità, non ricordo alcuna epica battaglia di questi esponenti del Pd contro la penetrazione della ‘ndrangheta a Milano -tanto per dirne una-. E nemmeno contro la valanga di reati finanziari che si è abbattuta su di noi negli ultimi dieci anni, da Tanzi in poi -per dirne un’altra-. Ma evidentemente, queste solerti vestali della Legge ritengono che sia ben maggiore la pericolosità sociale di un gruppo di giovani che occupa uno stabile sfitto.
Questa polemica segnala tutto il
distacco di questi esponenti politici dalla tradizione della sinistra
italiana che viene da una lunga storia di azioni illegali, per affermare
i diritti dei lavoratori: lo sciopero è stato a lungo un reato ma, non
ci fossero state quelle azioni illegali lo sarebbe ancora oggi.
Storie di più di un secolo fa? Si ma il
ricorso a forme di lotta illegali, quando necessario, fu pratica
corrente del Pci anche in tempi assai più recenti. Nel 1969 l’autunno
caldo venne combattuto a colpi di picchettaggi, occupazioni, cortei non
autorizzati -ed, in casi estremi, scontri con la polizia- che fruttarono
14.000 denunce contro decide di migliaia di sindacalisti, lavoratori,
studenti ed esponenti di partito. La sinistra politica ed i sindacati
(Cisl compresa) si batterono per una amnistia generalizzata -poi
ottenuta- che comportava una rivendicazione della piena legittimità di
quei comportamenti illegali. E, per la verità, ancora sino a tutti gli
anni ottanta (e nonostante i riflessi dell’avventura terrorista che
inducevano in senso contrario) il ricorso a forme di lotta illegali, pur
sporadicamente, continuò ad esserci, sempre in nome di una legittimità
sostanziale che prevaleva sulla legalità astratta. Ma il Pci somiglia al
suo lontano ed involontario erede, il Pd, come un cavallo di razza
somiglia ad uno scarafaggio.
Ormai si è fatta strada la convinzione
che legittimità e legalità coincidano sempre e perfettamente, per cui un
comportamento illegale sia di per sé illegittimo e, vice versa, la
legge sia sempre legittima, cioè giusta. Abbiamo perso completamente il
senso della coppia concettuale legalità-legittimità, un elemento di
pensiero politico che non appartiene solo e tanto alla tradizione
socialista e comunista quanto soprattutto a quella liberale: perché un
legge possa essere ritenuta conforme al principio di legittimazione, non
basta che sia stata approvata nelle forme codificate, occorre che
risponda a valori condivisi come quello di giustizia. E noi, per dirne
una, siamo in presenza di leggi che tutelano il privilegio più che il
diritto.
E veniamo al caso concreto delle lotte
per la casa qui ed oggi. Milano è una città in cui si avverte
pesantissima la mano della speculazione edilizia, i valori degli
immobili sono spropositatamente alti e, di riflesso, lo sono anche i
fitti. Sapete dirmi che senso ha, economicamente parlando, che il costo
per metro quadrato a Milano sia inferiore non di molto a quello di
Londra e quasi eguagli quello di Parigi?
Tutto questo è possibile anche perché
una fetta non piccola di immobili è tenuta volontariamente vuota per
sostenere artificialmente i prezzi e il loro utilizzo è essenzialmente
quello di valorizzare l’asset di banche e finanziarie. Nello stesso
tempo ci sono decine di migliaia di persone (sia migranti che cittadini
italiani) che non hanno casa, devo arrangiarsi nel peggiore dei modi,
mentre altre decine di migliaia da tempo hanno dovuto lasciare la città e
dirigersi verso i paesi dell’interno alla ricerca di abitazioni
economicamente più sostenibili.
E il problema non investe solo le
abitazioni ma anche il commercio: quanti esercizi commerciali sono stati
costretti a chiudere in questi ultimi tre anni, stritolati nella morsa
fra fisco, interessi bancari e costo del fitto? E quanto costa al
commercio milanese l’abbandono della città da parte di decine di
migliaia di famiglie? Ma la proprietà privata, mi direte, è garantita
dalla Costituzione. Già, ma la Costituzione (art. 42) la garantisce in
un quadro caratterizzato dalla sua funzione sociale, ce lo siamo
dimenticati?
Dunque, abbiamo un apparato di leggi
ordinarie che, pur senza essere in aperto contrasto con la
Costituzione, non garantisce, ed anzi ostacola, quella funzione sociale
e tutela solo gli interessi dei proprietari. Ma, mi direte ancora, le leggi
si possono cambiare, non c’è bisogno di ricorrere alle vie di fatto. E,
invece no: questa è una partita con i dadi truccati, nella quale
l’informazione è condizionata in gran parte da precisi interessi dei
ceti abbienti, la selezione della classe politica avviene con meccanismi
che premiano i miliardari ed i tangentisti e la possibilità di
legiferare in senso sociale è impedita da una fittissima ragnatela di
trattati internazionali (da quelli Ue a quelli legati al Wto) che, in
ossequio alla vulgata neo liberista, si preoccupano di garantire solo
la proprietà privata.
Ed in queste condizioni mi venite a parlare del totem sacro della legalità? Questa è perversione feticista.
E’ possibile che nell’agire dei centri
sociali e di alcuni comitati di quartiere ci sia dell’ingenuità,
aspettative eccessive sugli effetti della “azione diretta”, forse anche
del primitivismo politico da parte di alcuni: tutti peccati veniali
rispetto alla gravità delle tendenze in atto. Per cui, pur avendo un
forte senso della legalità in generale, mi scuserete, ma sto dalla parte
loro.
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