Finalmente, dopo tre mesi di sanguinose accuse fondate sul nulla, anzi sul falso, la Procura di Palermo può difendersi alla Corte costituzionale dal conflitto di attribuzioni scatenato dal presidente Napolitano.
La questione, come i nostri lettori ben sanno, nasce dalle telefonate
(quattro, si apprende ora) fra il capo dello Stato e Nicola Mancino,
indirettamente e casualmente intercettate sui telefoni di quest’ultimo,
coinvolto nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia.
Secondo il Quirinale, incredibilmente spalleggiato dall’Avvocatura dello
Stato, la Procura avrebbe dovuto procedere all’“immediata distruzione
delle intercettazioni casuali del Presidente” perché The Voice è
inintercettabile e financo inascoltabile. La Procura non le ha fatte
trascrivere né utilizzate, giudicandole penalmente irrilevanti, e si è
riservata di chiederne la distruzione al gip secondo la legge: cioè in
udienza alla presenza degli avvocati dei 12 imputati che possono
ascoltarle ed eventualmente chiedere di usarle per esercitare i diritti
di difesa. La cosa ha fatto saltare la mosca al naso a Napolitano e ai
suoi cattivi consiglieri, terrorizzati dal rischio che un avvocato, dopo
averle ascoltate, ne divulgasse il contenuto. Che, per motivi
misteriosi (almeno per noi cittadini), deve restare un segreto di Stato.
Di qui il conflitto con cui Napolitano, tramite l’Avvocatura, chiede
alla Consulta di censurare i pm di Palermo per un delitto da colpo di
Stato: “lesione” e “menomazione delle prerogative costituzionali del
Presidente della Repubblica” perpetrata sia con “la valutazione sulla
rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale
utilizzazione”, sia con “la permanenza delle intercettazioni agli atti
del procedimento”, sia con “l’intento di attivare una procedura
camerale” regolata dal contraddittorio tra le parti.
A lume di
Codice, ma soprattutto di logica e di buonsenso, abbiamo più volte
scritto che la pretesa del Colle è insensata. Ora l’insensatezza è
autorevolmente confermata dalla memoria della Procura, firmata dall’ex
presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani Alessandro
Pace e dagli avvocati Serges e Serio. I quali, prim’ancora di
avventurarsi nell’interpretazione delle presunte prerogative del Presidente,
dimostrano come il Quirinale e l’Avvocatura abbiano sbagliato
indirizzo: ammesso e non concesso che le telefonate andassero distrutte
subito, non poteva farlo la Procura, visto che quel potere è affidato in
esclusiva al giudice. Cioè: eventualmente il conflitto andava sollevato
contro il gip. Non solo: se, come ammette la stessa Avvocatura per
conto del Colle, le intercettazioni furono “casuali” quindi
involontarie, come si può sostenere che erano “vietate”? S’è mai vista
una norma che vieta qualcosa di involontario e casuale? Per questi due
motivi preliminari il conflitto è “inammissibile”, con buona pace della
Consulta che s’è affrettata a dichiararlo ammissibile.
Poi è anche infondato, per diversi motivi di merito. Intanto i pm dovevano valutare quel che diceva Mancino,
a meno di regalargli un’”immunità contagiosa” derivante dal fatto che
parlava con Napolitano. E poi nessuna norma costituzionale né
procedurale ha mai stabilito la non intercettabilità indiretta (e
nemmeno, in via assoluta, quella diretta) del capo dello Stato. Che non è un monarca assoluto, infatti è immune solo nell’esercizio delle sue funzioni.
Dunque la prerogativa invocata dal Colle non esiste. Ergo i pm non
hanno leso alcunché. Anzi avrebbero violato il principio costituzionale
del contraddittorio e i diritti delle difese se avessero obbedito al
Colle. A questo siamo: a un presidente della Repubblica (e del Csm) che
istiga la magistratura a violare la legge e la Costituzione. A sua
insaputa, si capisce.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento