Alla luce delle motivazioni pubblicate oggi dalla Cassazione, le lievi condanne comminate
ad alcuni dei responsabili delle efferate violenze contro i
manifestanti appaiono ancora più gravi e inaccettabili, soprattutto alla
luce delle abnormi condanne imposte a dieci capri espiatori.
Diaz, "la polizia agì con sconsiderata violenza"
Cinici,
sadici, violenti, odiosi, infedeli. E bugiardi. No, non esce bene la
polizia di stato nel ritratto impietoso degli ermellini, i giudici di
Cassazione che hanno appena depositato le motivazioni della sentenza
definitiva del 5 luglio scorso.
Checchino Antonini - Il Megafono Quotidiano 2 ottobre 2012
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pagine che confermano il giudizio espresso dalla Corte d'Appello di
Genova di «condotta cinica e sadica» da parte degli operatori di
polizia, che agirono con «sconsiderata violenza», non preceduta da alcun
«fitto lancio di pietre ed altri oggetti contundenti» di cui si parlava
nella comunicazione della notizia di reato firmata dai funzionari.
«Nessuna situazione di pericolo si era presentata agli operatori di
polizia, tanto che gran parte di essi stazionava nel cortile senza alcun
atteggiamento di difesa e lo stesso Canterini - uno dei funzionari
indagati, all'epoca capo dei celerini - non indossava il casco
protettivo». Nonostante questo «ha invece lasciato liberi tutti gli
operatori di usare la forza ad libitum». Nero su bianco si legge che si
trattò di indiscriminato e gratuito pestaggio di tutti coloro che erano
andati a dormire in una scuola assegnata ai manifestanti sfollati dai
campeggi dopo il nubifragio di 48 ore prima. E fu gratuita pure
l'aggressione degli operatori di polizia nei confronti di cinque inermi
persone che si trovavano fuori dalla scuola, tra cui il giornalista
inglese Mark Covell, che venne picchiato fino a perdere i sensi, fino a
restarci quasi secco. I giudici della Suprema Corte ricordano che 93
furono le persone arrestate illegalmente: di queste 87 rimasero ferite e
2 furono anche in pericolo di vita. Tra agenti di polizia e carabinieri
(questi ultimi incaricati solo della "cinturazione" degli edifici),
vennero impiegati 500 uomini. Molti di loro agirono travisati per
sfuggire alle molestie di qualche magistrato ostinato come i due pm che
hanno condotto l'inchiesta. E che all'inizio della requisitoria
spiegarono come processare un funzionario in divisa sia il cumulo delle
difficoltà che si incontrano quando un mafioso o uno stupratore vanno
alla sbarra: c'è da sfondare il muro di gomma dell'omertà e da evitare
che si criminalizzino le vittime. La Cassazione, sulla scia della Corte
d'Appello di Genova, ricorda l'odiosità del comportamento dei vertici.
«Di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari una
volta preso atto che l'esito della perquisizione si era risolto
nell'ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di
isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da
una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del
mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di
persistere negli arresti creando una serie di false circostanze». Prove
false (le molotov portate dalla questura), verbali menzogneri
«funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arresto di
massa». I 93 arrestati si trovarono cucita addosso l'accusa di
associazione sovversiva, furono smistati da Bolzaneto verso altre galere
del Nord e il pacchetto fu confezionato così bene da «indurre i
pubblici ministeri a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida
degli arresti», grazie alla «consapevole preordinazione di un falso
quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco
di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni e il deposito
degli atti in Procura. E, a proposito di prove false, la Cassazione
rileva che l'ex capo dello Sco, Gilberto Caldarozzi, «era consapevole
della falsità» perché «per sua affermazione, era entrato nella scuola e
si era quindi potuto rendere conto che nelle aree comuni non vi era
nulla del genere». Caldarozzi arrivò alla Diaz con Francesco Gratteri,
il più alto in grado quella notte, «mentre le violenze erano ancora in
atto». Gratteri, non è stato condannato «sulla base di un apodittico
“non poteva non sapere"» ma «sulla base di specifici elementi concreti a
suo carico, tutti ben delineati». E' stato proprio lui a dare «impulso -
scrivono gli ermellini - alla scellerata operazione mistificatoria».
Gratteri fu «la figura apicale di riferimento per gli appartenenti alle
squadre mobili» svolgendo un «ruolo centrale in questa vicenda
processuale». Oltre alla «partecipazione diretta ed attiva per tutta la
durata dell'operazione Diaz» la Cassazione gli contesta la richiesta a
Canterini «di redigere la relazione al questore» ed alla «richiesta di
certificati medici» su inesistenti lesioni subite dagli agenti. Perché
non ci fu proporzione tra forza usata e resistenza incontrata. Sia
Gratteri che Caldarozzi, videro il corpo «esanime in terra» di Mark
Covell. E ad un ufficiale dei carabinieri che glielo mostrava Caldarozzi
disse di continuare a svolgere il suo lavoro. «Altra figura in
posizione apicale», fu quella di Giovanni Luberi, anche lui consapevole
«dell'uso spropositato che era stato fatto della violenza» alla Diaz. Vi
fu «carta bianca preventivamente assicurata» in merito alle violenze da
"macelleria messicana": «Tutta l'operazione si è caratterizzata per il
sistematico e ingiustificato uso della forza da parte di tutti gli
operatori che hanno fatto irruzione nella scuola Diaz e la mancata
indicazione, per via gerarchica (da Canterini a Fournier e da questi ai
capi squadra, fino agli operatori), di ordini cui attenersi. Chi fece
irruzione alla scuola Diaz di Genova - durante il G8 del 2001 - si
scagliò «sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con
le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli e con calci e pugni,
sordi alle invocazioni di “non violenza" provenienti dalle vittime,
alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di “bastardi”». E
nessuno dei partecipanti alla mattanza ha mai mostrato «segni di
sorpresa o rammarico per l'esito dell'operazione». Il defunto prefetto
La Barbera, disse di aver notato un certo nervosismo tra gli agenti e
«subodorato che certamente le cose non sarebbero andate bene, perché
ognuno conosce gli animali suoi». Alle toghe del Palazzaccio non sfugge
che fu il capo della polizia a ordinare una retata cilena «anche per
riscattare l'immagine della Polizia dalle accuse di inerzia» e che il
blitz fu condotto con «caratteristiche denotanti un assetto militare».
Una scena di guerra che cozzava con «le ipotesi legittimamente
formulabili in riferimento ad una perquisizione». Alla Diaz non c'erano
armi mentre la polizia agì con un ''elevato numero di operatori. L'unico
dirigente della polizia al quale sono state concesse le attenuanti è
Michelangelo Fournier che, dopo il pestaggio, aveva espresso a Canterini
«la volontà di non lavorare più “con questi macellai qui”
Scuola Diaz, la Cassazione: “Massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia”
Durissime
le motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna di 25
poliziotti e ha portato alla rimozione di diversi alti gradi del
Viminale. "Odioso il comportamento dei vertici", che al G8 di Genova del
2001 avallarono un blitz deciso solo "per riscattare l'immagine della
polizia". In seguito alla "esortazione" dell'allora numero uno Gianni De
Gennaro
Il Fatto Quotidiano 2 ottobre 2012
“Un massacro ingiustificabile“, “una pura esplosione di violenza“. E’
il timbro finale della corte di Cassazione sull’irruzione alla scuola
Diaz condotta dalla Polizia di Stato durante il G8 di Genova del 2001,
conclusa con oltre 60 feriti su 93 arrestati. “La condotta violenta”
della polizia ha “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo
intero”, si legge nelle motivazioni, depositate oggi, della sentenza che
il 5 luglio scorso ha condannato 25 poliziotti presenti al blitz,
compresi diversi alti funzionari del Viminale poi decaduti dai loro
incarichi a causa dell’interdizione dai pubblici uffici sancita dai
giudici. Tra i condannati Franco Gratteri, capo della Direzione centrale
anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo del Servizio centrale operativo,
Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde.
Oltre a Vincenzo Canterini, allora comandante del Reparto mobile di
Roma, ormai a riposo. A questo proposito, la sentenza firmata dai
consiglieri Piero Savani e Stefano Palla mette in evidenza “l’odiosità
del comportamento” di chi, “in posizione di comando a diversi livelli
come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione
si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella
scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli,
dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla
Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli
arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie
di false circostanze”. Ce n’è anche per l’allora capo della polizia
Gianni De Gennaro, mai indagato nel processo principale sulle violenze
alla Diaz e assolto in un procedimento parallelo per induzione alla
falsa testimonianza. C’era “l’esortazione rivolta da capo della polizia
ad eseguire arresti” dopo due giorni di scontri fuori controllo,
scrivono i giudici, alla base della decisione di intervenire nella
scuola quando ormai il G8 era finito. “L’assoluta gravità – si legge
nella sentenza numero 38085 – sta nel fatto che le violenze,
generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate
contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in
atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro
posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni”. Per questo si
può affermare che si è “trattato di violenza non giustificata e
punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica
e mentale delle vittime”. E se questo è potuto succedere, è perché “la
mancata indicazione, per via gerarchica, di ordine cui attenersi” si è
tradotta “in una sorta di carta bianca, assicurata preventivamente e
successivamente all’operazione”. Tutti, insomma, erano liberi “di usare
la forza ad libitum”. I poliziotti che fecero irruzione, infatti, “si
erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero
immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti
‘tonfa’) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di ‘non violenza’
provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure
insultate al grido di ‘bastardi’”. La “sconsiderata violenza adoperata
dalla polizia”, va attribuita in particolare agli uomini del VII Nucleo
Antisommossa del Reparto mobile di Roma, al quale “era stata affidata
la prima fase di ‘messa in sicurezza’ della scuola, con caratteristiche
rimaste peraltro ignote”. Secondo i giudici, che richiamano anche una
consulenza dei carabinieri del Ris, “nessuna situazione di pericolo si
era presentata agli operatori di polizia”. La Cassazione condivide il
giudizio espresso dalla Corte d’Appello di Genova quando, nel 2010, ha
bollato l’attività della polizia come “condotta cinica e sadica, in
nulla provocata dagli occupanti la scuola, tanto che il comandante del
VII nucleo Michelangelo Fournier ha, con acrobazia verbale tanto
spudorata quanto risibile, dapprima parlato di ‘colluttazioni
unilaterali’, per poi finire con l’ammettere la reale entità dei fatti,
per descrivere i quali ha usato la significativa e fotografica
espressione ‘macelleria messicana’”. La ”gravità” dei reati commessi
dai funzionari della polizia, scrive ancora la Cassazione, come quello
della violazione “dei doveri di fedeltà” delle calunnie e dei falsi,
legittima il no “al riconoscimento delle attenuanti generiche” a favore
degli imputati. Che hanno commesso una “consapevole preordinazione di un
falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un
lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il
deposito degli atti in Procura”. Nonostante questo, nessuno dei
partecipanti al ha mai mostrato “segni di sorpresa o rammarico per
l’esito dell’operazione”. Ma perché i vertici della Polizia di Stato
decisero di intervenire nella scuola utilizzata come dormitorio da
diversi manifestanti la notte del 21 luglio 2001, quando il vertice G8 e
le manifestazioni di protesta sfociate in violentissimi scontri erano
ormai finite? La Cassazione smonta la versione ufficiale della normale
perquisizione: ”L’immagine della polizia doveva essere riscattata,
essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e
saccheggio che avevano riguardato la città di Genova, e il riscatto
sarebbe dovuto avvenire mediante l’effettuazione di arresti, ovviamente
dove sussistenti i presupposti di legge”. Sul fronte delle
responsabilità dei singoli imputati, la Cassazione rileva che l’allora
vicecapo dello Sco Caldarozzi “era consapevole della falsità del
rinvenimento delle molotov” all’interno della scuola, “perché, per sua
affermazione, era entrato nella scuola e si era quindi potuto rendere
conto che nelle aree comuni non vi era nulla del genere”. La corte
rileva che Caldarozzi arrivò alla Diaz con Gratteri, allora capo dello
Sco, “mentre le violenze erano ancora in atto”. Per quanto riguarda
Gratteri, merita la condanna per avere “dato impulso alla scellerata
operazione mistificatoria” ed è stata “la figura apicale di riferimento
per gli appartenenti alle squadre mobili”. Per quanto riguarda
Canterini, autore di un recente libro in cui in sostanza scarica le
responsabilità del massacro sui colleghi degli altri reparti, oltre alla
“partecipazione diretta e attiva per tutta la durata dell’operazione
Diaz” la Cassazione contesta la sua richiesta “di redigere la relazione
al questore” e di aver sollecitato certificati medici “attestati le
lesioni subite dagli agenti, per suffragare il giudizio contenuto nella
comunicazione della notizia di reato (la cui falsità è accertata) sulla
proporzione tra forza usata e violenza e resistenza incontrata”. Sia
Gratteri che Caldarozzi, ricorda la Cassazione, videro il corpo “esanime
in terra” del giornalista inglese Mark Covell, pestato a sangue da
diverse ondate di poliziotti fuori dalla scuola prima dell’inizio
dell’irruzione e recentemente risarcito dal ministero dell’Interno con
350mila euro. A un ufficiale dei carabinieri che gli aveva indicato il
ferito da soccorrere, “Caldarozzi disse di continuare a svolgere il suo
lavoro”. “Altra figura in posizione apicale”, aggiunge la Cassazione, è
quella di Giovanni Luperi, anche lui consapevole “dell’uso spropositato
che era stato fatto della violenza” alla Diaz.Nelle motivazioni della
sentenza, i giudici sottolineano che in Italia non esiste il reato di
tortura, e per questo non si è potuta evitare la prescrizione per i
reati di lesioni gravi. Ma è provato oltre ogni ragionevole dubbio ”il
ricorrere degli estremi fattuali della gravità e gratuità dell’uso della
forza”.
Fonte
Fa pensare il fatto che una Repubblica nata sulle ceneri (?) di uno tra i peggiori regimi totalitari del '900 non sì sia mai presa la briga di ascrivere la tortura nel proprio codice penale.
Viene proprio da pensar male circa il potere, i suoi metodi per perpetrarsi e alla bisogna imporsi.
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