Risulta
praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con
curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano
che il “Pd ha un programma innovativo” oppure che “Bersani ha superato
lo scoglio delle regole sulle primarie”. Si possono comprendere le
dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si
deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata
l’incapacità di capire che è finito un mondo. Quello in cui,
assieme al posizionamento entro il più importante partito dello
schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia
politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda
dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles
e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i
posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale.
Ma
che altro dire degli intellettuali mainstream della sinistra
istituzionale italiana? Da moltissimi anni, del numero si è persa la
memoria, hanno accettato di buon grado di vivere un percorso
intellettualmente docile in una Italia controriformata. Moriranno
quindi con quel mondo ammesso che siano ancora intellettualmente vivi. E
che dire, a questo punto, delle primarie del Pd? Che possiamo
descriverle come nelle vignette di Riccardo Mannelli, il più
interessante disegnatore di convention, convegni, eventi pubblici, di
situazioni da nonluoghi in Italia da almeno un paio di decenni.
Mannelli, che ha disegnato per diverse testate italiane, ha il pregio
di mantenere un doppio equilibrio di rappresentazione: disegnare volti e
corpi in primo piano senza perdere il senso della folla e sempre
all’interno una fisiognomica del grottesco, che non è solo caricatura,
che è anche informazione sulle relazioni sociali, sui codici simbolici,
sulla cifra antropologica di una parte di paese alla deriva.
L’atteggiamento
che si deve avere con le primarie del centrosinistra, per estrarci
qualcosa di cognitivamente utile, è proprio quello dell’equilibrio
presente nelle vignette di Mannelli. Perchè deve essere chiara una
cosa: il Pd, al contrario di quello che afferma Bersani, è il tessuto
connettivo di quella parte di paese che viaggia alla deriva rischiando
di trascinare con sè l’altra parte che non ne ha alcuna intenzione. Una
deriva politica (l’appoggio a Monti parla da solo), nella concezione
dell’economia (la naturalizzazione di dogmi sull’Europa, sulla moneta e
sull’impresa logori da prima della caduta del muro di Berlino) e
coronata da una notevole entropia culturale. E qui basti dire che il
concetto che si vuole nuovo per le primarie, ovvero quello di
rottamazione, proviene da una concezione dell’economia abbondantemente
superato e liquidato da un quindicennio. Ma stiamo parlando del nocivo
mondo a parte del centrosinistra dove un concetto cardine della vita
sociale di oggi e di domani (il riciclaggio) è sinonimo di corruzione e
carrierismo e dove un concetto superato, che favorisce una produzione
energivora e lo spreco di materie prime, (come la rottamazione) viene
assunto a simbolo di rinnovamento.
E
poi il grottesco: un segretario che all’assemblea nazionale grida,
modulando l’asserzione con un accento emiliano che lo trasforma
all’istante in maschera dialettale, “qui contano le regole”. Quando si
appresta a sospenderne una (l’articolo 18 dello statuto del partito),
non prima ma durante una campagna elettorale per le primarie. E’ stato
come cominciare una finale senza sapere cosa sarebbe accaduto in caso
di pareggio al novantesimo. Alla fine, nel centrosinistra, si stanno
mettendo d’accordo nell’intervallo, ad un mese e mezzo dalle primarie, e
pretenderebbero anche di dare manifestazione di serietà al paese con un
comportamento del genere. E cosa dire di un partito, il Pd, la cui
presidente, che statutariamente è una figura di garanzia al di sopra
delle parti, alla fine dell’assemblea prende il microfono per dire
“spero che vinca Bersani”. C’è solo da stupirsi che ben un quarto di
coloro che hanno già manifestato intenzione di voto alle agenzie di
sondaggi, ma attenzione c’è ancora un italiano su due che deve decidere
cosa fare, abbiamo indicato di preferire il Pd.
Essendo
saltati i nessi clientelari, con un Pd che non garantisce
materialmente che poche persone, davvero c’è un’Italia che ha
interiorizzato la società disciplinare tanto da votarne i presunti
rappresentanti ben oltre l’evidenza del grottesco. E’ un’Italia che va
liberata, prima di tutto dalla tendenza a comportamenti suicidi come il
voto al Pd, nell’interesse di chi è danneggiato in prima persona da
questi comportamenti. Ma, come sappiamo, la tendenza della sinistra del
centrosinistra è quella di entrare in queste dinamiche. La lezione
ricevuta dal Prc e dalla sinistra radicale prima e dopo la caduta del
secondo governo Prodi non è bastata.
Ecco
quindi che a queste primarie, le cui regole ancora oggi sono
tutt’altro che definite, si candida, come attendeva da anni, Nichi
Vendola. Lo slogan della campagna “oppure Vendola” è perdente fin
dall’inizio. Non indica un cambiamento, una forza egemonica della
sinistra, come lo stesso Vendola aveva teorizzato pochi anni addietro,
ma una certa equivalenza nella scelta tra candidati suggerita in prima
persona dallo slogan dello stesso governatore della Puglia. Il quale,
ormai in preda ad uno stadio supremo dell’ eclettismo politico,
afferma di voler fare la lotta contro il liberismo all’interno del
centrosinistra (è come voler lottare per il comunismo all’interno del
Pdl in quanto partito più votato dagli operai fino al 2010) ma anche di
rispettare una eventuale vittoria di Renzi alla primarie. Sarebbe il
capolavoro di voti antiliberisti messi a disposizione del programma più
sfacciatamente liberista e classista dalle elezioni del ’94 ad oggi.
Ma
con Bersani non andrebbe certo meglio: il rispetto del peggio delle
politiche di “rigore e crescita” chieste dal dispositivo, peraltro
difettosissimo, Bruxelles-Francoforte-Berlino è già stato garantito dal
segretario del Pd in caso di vittoria elettorale. Ma anche qui, dopo
gli interrogativi, si insinua subito il grottesco: Vendola si candida
urlando al mondo che in Italia “si comprimono i consumi e non si fa
girare il mercato”. Tutto vero, ed anche drammatico, ma per la seconda
lettera che Vendola rappresenta, la E di ecologia, tutto questo è
sintomo dell’esaurisi di un modello di sviluppo non più emendabile, non
di consumi e mercati da rilanciare. E un candidato che ha avuto un
approccio all’ecologia come quello tenuto all’Ilva di Taranto, quando
persino sul Manifesto sono apparsi articoli che inchiodavano il
governatore della Puglia alle proprie responsabilità, quando affronta
questi temi non si capisce se è più grottesco o inguardabile.
Il
centrosinistra confida quindi nell’appoggio di un'Italia minore, nella
quale si annidano settori di elettorato ormai sterile ed abituato a
tutto, ma per andare verso il niente. Perchè il pittoresco percorso
verso le primarie, in caso di vittoria alle politiche del candidato
espresso dalla consultazione interna al centrosinistra, non porta ad
alcun potere politico e nemmeno al governo del paese. L’Italia in quanto
paese periferico dell’area euro ha riformato la costituzione secondo
un tipo di politica di bilancio e di economia esterne alle esigenze del
paese (lo si è visto con la spirale tagli-contrazione del Pil del
governo Monti già prevista anche per il 2013) e se l’Europa entra a
regime si trova a non avere autonomia in materia di politica
industriale, fiscale, economica e di bilancio. Senza una sede reale dove
potersi far sentire in Europa, a parte le cerimonie pubbliche dove
tutti parlano e conta solo chi deve contare.
Non
solo, se nel 2013 l’Italia non taglia ancora, e a prescindere dallo
stato di recessione del paese, si trova pure ad essere formalmente
commissariata. Una cosina da nulla: lo SME approvato anche dal
parlamento italiano prevede l’autonomia giuridica dei commissari europei
che possono vendere beni e patrimoni del paese commissariato senza che
questo, legalmente, possa fare qualcosa. Questo è quello che Bersani,
Renzi e Vendola chiamano “vincere”: il disastro sociale, economico e il
niente politico. Un niente che è pure puntualmente registrato nel
mondo che conta: i quotidiani esteri, e le tv globali, sull’Italia sono
occupati da Monti e da Grillo. E’ anche possibile anche se per niente
scontato, vista la situazione politica inedita, che il centrosinistra
come è adesso arrivi al governo.
La
deflagrazione del Pdl e lo scarso appeal elettorale dei centristi
potrebbero favorire questa soluzione anche se è presto per dirlo. Ma
una cosa è certa. I dati del Fmi sulla recessione mondiale, prevista
nel 2013, il rallentamento delle aree guida dell’economia, la guerra
finanziaria permanente stanno creando per l’Italia una situazione
simile a quella che ha fatto esplodere il centrodestra. Che si è
trovato di fronte a problemi immensi accumulatisi velocemente a partire
da Lehmann ed è esploso con la crisi dei debiti sovrani dell’euro (con
lo spread come tormento quotidiano). La nuova ondata di crisi, che
contiene anche la radicalizzazione di quelle precedenti, scioglierebbe
come il burro, stavolta definitivamente, il centrosinistra al governo.
Non a caso qualcuno spera, e lavora, per una legge elettorale che
disinneschi il risultato delle primarie per non caricare troppo il
centrosinistra delle responsabilità future. Restano per adesso delle
primarie che sembrano fatte per le vignette di Mannelli, che ci
suggeriscono però un dato politico e antropologico di una coalizione
che, per il bene del paese, si può solo auspicare che svanisca senza
fare troppi danni.
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