Non è stato rapido, non è stato semplice. Il risultato finale sorprende solo chi legge le dinamiche politiche in termini di scontro sempre ultimativo. E invece la "politica", specie quella che si svolge tra stati, all'interno di una comunità cervellotica e autoritaria, è per forza di cose ricerca di una soluzione. Magari pasticciata, tampone, provvisoria, ma tale a non fa saltare in aria tutto il dispositivo.
Il vertice notturno tra i "diretti interessati" - i presidenti delle varie istituzioni europee, come Juncker, Dijsselbloem, Draghi, Tusk; il leader greco Tsipras più i leader dei "due paesi che contano", ovvero Hollande e soprattutto Angela Merkel (Renzi no, che ci volte fare...) - si è chiuso con una decisione inattesa, anche se sperata. Due miliardi freschi per Atene, che è riuscita a far capire ai presunti "partner" la gravità della "crisi umanitaria" provocata nel suo paese proprio dalle scelte dei suddetti "partner". In cambio, «Le autorità greche saranno le responsabili delle riforme e presenteranno una lista completa di specifiche riforme nei prossimi giorni».
Questo è quel che c'è scritto nel testo concordato, una decina di righe stringate e ovviamente interpretabili. Cosa vada inteso per "riforme" però, è ancora il cuore dello scontro continuo tra la visione "umanitaria" del governo Syriza e quella "ordo-liberalista" dell'Unione Europea. La Merkel è uscita dal vertice convinta di aver imposto il suo comando, dicendosi dunque "rilassata". Alle domande dei cronisti, però, non ha mancato di ribadire che non si parlerà di concedere nuovi aiuti finanziari ad Atene fino a quando la lista completa e dettagliata di riforme non sarà stata «approvata». In fondo, ha provato a minimizzare, «Quello che sta accadendo con la Grecia non è nulla di speciale. È la stessa procedura già applicata con Irlanda, Portogallo e Spagna». Paesi con i quali, però, non è stato necessario alcun vertice supplementare, vista la "cedevolezza" dei rispettivi leader (di destra, incidentalmente)...
Alexis Tsipras, al contrario, ne è uscito più "ottimista" sulle sorti del suo paese (non del suo governo, forte dell'80% dei consensi popolari, in questo momento), e convinto di poter gestire "sovranamente" le scelte di politica economica. «È responsabilità sovrana del governo greco decidere le riforme necessarie e il loro contenuto è affare del governo greco». «Non abbiamo discusso del contenuto delle riforme e non è stata esercitata nessuna pressione». «Questo governo greco cerca di fare il meglio per i greci, gli chiedo di esser fiduciosi e di confidare in noi. Restiamo calmi, chi fa giochi sulle nostre banche e sul nostro sistema finanziario, chi cercherà di minarlo, fallirà. Penso che i greci non diano più retta a chi cerca di spaventarli».
Un po' presto, però, per dire - come ha fatto - che non verrà più chiesta l'applicazione delle misure concordate dalla Troika con il precedente esecutivo di centrodestra guidato da Antonis Samaras e che pertanto «le misure recessive sono finite». Ma certo qualcosina deve essere accaduto.
I due miliardi concessi - l'equivalente del miliardo e 900 milioni che Atene chiedeva alla Bce come quota del guadagno ottenuto da Francoforte con l'acquisto e la vendita dei titoli greci - proverranno dalla riserva di bilancio dei fondi Ue non utilizzati. Sul modo di spenderli, ha spiegato Jean-Claude Juncker (il presidente della Commissione, che ha sbloccato l'impasse mettendo sul tavolo questi fondi), «non saranno trasferiti allo Stato greco, ma potranno essere usati per rafforzare l’azione a sostegno della crescita e della coesione sociale per fronteggiare la disoccupazione giovanile». La motivazione, come ricordato, sta nella «crisi umanitaria che ha bisogno di un aiuto che venga dal budget europeo». Si tratta comunque di un prestito, anche se con la riduzione del tasso di cofinanziamento dello Stato greco al 5%.
Cosa è accaduto, insomma? Che i "partner europei" hanno dovuto decidere, nella notte, se far esplodere la Grecia e con essa anche la costruzione comunitaria. Con un altro governo, probabilmente, avrebbero ottenuto una "resa" tale da non dover neanche cercare equilibri momentanei differenti. La cifra impegnata, peraltro, è davvero minima. Ma, in fondo, anche quando si scoprì che il governo di destra di Karamanlis aveva truccato i conti dello stato per poter rientrare nei parametri di Maastricht, si trattava di quattro spiccioli (10 miliardi appena). Solo che in quel caso Merkel pensò soprattutto a salvare le banche tedesche (e quelle francesi), pesantemente esposte in crediti ad Atene; nonché a "dare l'esempio" mettendo a ferro e fuoco un paese. Quei 10 miliardi sono diventati in poco tempo 240, messi sul conto dei debiti che lo stato ellenico deve pagare (anche se tutti sanno che non potrà mai farlo).
Ieri notte, invece, hanno tirato fuori un piccolissimo cilindro dal cappello, rinviando alla prossima riunione - quella in cui dovranno essere approvate o respinte le "riforme" presentate dalla Grecia - il tentativo di riportare un governo "eccentrico" nel novero degli obbedienti cagnolini del capitale multinazionale.
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