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05/03/2015

Turchia - La corsa al silenzio

di Giorgia Grifoni

Lo chiamano “disegno di legge sulla sicurezza”, ma gli attivisti turchi sanno già che si tratta di un pacchetto di misure volte ad annientare il dissenso e spingere all’autocensura. In Parlamento le nuove norme, presentate tre mesi fa, fanno ancora molto discutere: cinque deputati feriti sono il risultato di una maxi rissa scatenatasi dieci giorni fa, dopo che una parte dell’opposizione aveva tentato di posporre il voto sul pacchetto di norme voluto dal partito di Giustizia e Libertà (AKP) del presidente Recep Tayyip Erdoğan. E nonostante le proteste, tutti sanno che il controverso disegno di legge quasi sicuramente passerà.

Per il governo le misure sono “necessarie” per “proteggere l’ordine e la pace sociale”, perché “mirano a impedire esplosioni di violenza” come gli scontri avvenuti lo scorso anno in Turchia e in Germania durante l’assedio di Kobane tra curdi, sostenitori degli islamisti e polizia, scontri che avevano provocato almeno 35 vittime. E per farlo, l’AKP ha proposto di estendere i poteri delle forze dell’ordine fino a farli combaciare con quelli dell’autorità giudiziaria. In sostanza, come spiega un report dell’Associated Press, le misure darebbero ai governatori – e non solo i pubblici ministeri e giudici – il diritto di ordinare arresti.

Secondo il disegno di legge, infatti, alla polizia sarà consentito utilizzare armi da fuoco in un maggior numero di casi, ad esempio contro i manifestanti che lanciano bottiglie molotov fino a quando il “pericolo non sarà neutralizzato”. Potrà inoltre cercare persone o veicoli senza un ordine del tribunale e detenere fino a 24 ore e senza il via libera del procuratore persone arrestate durante una manifestazione non autorizzata (48 nel caso di manifestazioni violente).

Gli agenti potranno anche tenere in stato di fermo un sospetto e ascoltarne le conversazioni telefoniche per 48 ore senza dover chiedere l’autorizzazione di un giudice nel caso un ritardo nelle intercettazioni rischi di compromettere le indagini. Pugno duro anche sui manifestanti che si coprono il volto con maschere e sciarpe durante le manifestazioni violente: potrebbero essere condannati fino a quattro anni di carcere. Ma il peggio è riservato ai sostenitori di quelle che il governo considera “organizzazioni illegali”, come il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK): chi canterà slogan e esporrà bandiere o striscioni potrebbe rischiare dai 3 mesi ai 3 anni di prigione.

Un pacchetto controverso, che spaventa attivisti e cittadini. Metin Feyzioglu, il capo dell’Associazione Bar turca, sostiene che dare ai governatori locali anche limitati poteri di arresto senza aspettare l’ordinanza del tribunale equivale a imporre la legge marziale. “Questo – ha dichiarato all’AP – è uno sviluppo estremamente pericoloso”. Tanto pericoloso che lo strapotere dato ad alcuni rappresentanti dello Stato, come lamentano gli attivisti, potrebbe spingere molti cittadini al silenzio.

Emblematica a tal proposito è la figura del sindaco di Ankara, Melih Gökçek, membro dell’AKP noto per i suoi consigli dati pubblicamente alle donne sull’uccidersi piuttosto che abortire e che, come spiega il portale The Media Line, si vanta di aver denunciato 3 mila utenti di Twitter per averlo “insultato”. Lo sa bene Eyüp Hanoğlu, attivista turco che lavora in Austria, citato in giudizio da Gökçek per averlo chiamato “spudorato” dopo che il sindaco aveva chiesto a una sostenitrice dell’aborto su Twitter se lei avesse avuto molte interruzioni di gravidanza. L’attivista sa che è un suo diritto criticare funzionari pubblici: “Questo non è stato un insulto – ha dichiarato – questo non era un reato. Mi sono avvalso solo del mio diritto di protestare”. Ma sa anche che le ulteriori misure potrebbero metterlo seriamente in pericolo: “Prima – conclude – scrivevo tutto quello che volevo. Ora ci penso due volte. E ho paura”.

Criticare il presidente Erdoğan , poi, può costare davvero molto. The Media Line ha raccolto la testimonianza di Merve Büyüksaraç, designer industriale, scrittrice ed ex Miss Turchia, accusata di aver insultato Erdoğan dopo aver condiviso un poema satirico sul suo conto su Instagram: questa settimana un procuratore ha chiesto di condannarla a due anni di carcere. Oppure il giornalista Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet, sotto processo con l’accusa di aver fatto “commenti che insultano il presidente” turco durante un’intervista con Celal Kara, il pubblico ministero che nel dicembre 2013 guidava l’indagine sulla corruzione dei funzionari governativi di alto livello.

Se ogni mossa di noti attivisti e oppositori al governo è scrupolosamente sorvegliata, sembra esserlo anche quella dei privati cittadini, persino minorenni. Lo scorso dicembre, ad esempio, un ragazzo di 16 anni è stato arrestato nella sua scuola a Konya con l’accusa di aver insultato Erdoğan, per averlo presumibilmente chiamato “il leader della corruzione e del furto” nel corso di una manifestazione: se gli venisse inflitto il massimo della pena, dovrebbe scontare 37 mesi di carcere. I dissidenti, quindi, sono avvertiti.

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