di Giorgia Grifoni
Lo chiamano “disegno di
legge sulla sicurezza”, ma gli attivisti turchi sanno già che si tratta
di un pacchetto di misure volte ad annientare il dissenso e spingere
all’autocensura. In Parlamento le nuove norme, presentate tre mesi fa,
fanno ancora molto discutere: cinque deputati feriti sono il risultato
di una maxi rissa scatenatasi dieci giorni fa, dopo che una parte
dell’opposizione aveva tentato di posporre il voto sul pacchetto di
norme voluto dal partito di Giustizia e Libertà (AKP) del presidente
Recep Tayyip Erdoğan. E nonostante le proteste, tutti sanno che il
controverso disegno di legge quasi sicuramente passerà.
Per il governo le misure sono “necessarie” per “proteggere l’ordine e
la pace sociale”, perché “mirano a impedire esplosioni di violenza”
come gli scontri avvenuti lo scorso anno in Turchia e in Germania
durante l’assedio di Kobane tra curdi, sostenitori degli islamisti e
polizia, scontri che avevano provocato almeno 35 vittime. E per
farlo, l’AKP ha proposto di estendere i poteri delle forze dell’ordine
fino a farli combaciare con quelli dell’autorità giudiziaria. In sostanza, come spiega un report dell’Associated Press, le misure darebbero ai governatori – e non solo i pubblici ministeri e giudici – il diritto di ordinare arresti.
Secondo il disegno di legge, infatti, alla polizia sarà consentito utilizzare armi da fuoco in un maggior numero di casi,
ad esempio contro i manifestanti che lanciano bottiglie molotov fino a
quando il “pericolo non sarà neutralizzato”. Potrà inoltre cercare
persone o veicoli senza un ordine del tribunale e detenere
fino a 24 ore e senza il via libera del procuratore persone arrestate
durante una manifestazione non autorizzata (48 nel caso di
manifestazioni violente).
Gli agenti potranno anche tenere in stato di fermo un sospetto e
ascoltarne le conversazioni telefoniche per 48 ore senza dover chiedere
l’autorizzazione di un giudice nel caso un ritardo nelle intercettazioni
rischi di compromettere le indagini. Pugno duro anche sui manifestanti
che si coprono il volto con maschere e sciarpe durante le manifestazioni
violente: potrebbero essere condannati fino a quattro anni di carcere. Ma
il peggio è riservato ai sostenitori di quelle che il governo considera
“organizzazioni illegali”, come il Partito dei Lavoratori del Kurdistan
(PKK): chi canterà slogan e esporrà bandiere o striscioni potrebbe
rischiare dai 3 mesi ai 3 anni di prigione.
Un pacchetto controverso, che spaventa attivisti e cittadini. Metin
Feyzioglu, il capo dell’Associazione Bar turca, sostiene che dare ai
governatori locali anche limitati poteri di arresto senza aspettare
l’ordinanza del tribunale equivale a imporre la legge marziale. “Questo –
ha dichiarato all’AP – è uno sviluppo estremamente
pericoloso”. Tanto pericoloso che lo strapotere dato ad alcuni
rappresentanti dello Stato, come lamentano gli attivisti, potrebbe
spingere molti cittadini al silenzio.
Emblematica a tal proposito è la figura del sindaco di
Ankara, Melih Gökçek, membro dell’AKP noto per i suoi consigli dati
pubblicamente alle donne sull’uccidersi piuttosto che abortire e che,
come spiega il portale The Media Line, si vanta di aver denunciato 3 mila utenti di Twitter per averlo “insultato”.
Lo sa bene Eyüp Hanoğlu, attivista turco che lavora in Austria, citato
in giudizio da Gökçek per averlo chiamato “spudorato” dopo che il
sindaco aveva chiesto a una sostenitrice dell’aborto su Twitter se lei
avesse avuto molte interruzioni di gravidanza. L’attivista sa che è un
suo diritto criticare funzionari pubblici: “Questo non è stato un
insulto – ha dichiarato – questo non era un reato. Mi sono avvalso solo
del mio diritto di protestare”. Ma sa anche che le ulteriori misure
potrebbero metterlo seriamente in pericolo: “Prima – conclude – scrivevo
tutto quello che volevo. Ora ci penso due volte. E ho paura”.
Criticare il presidente Erdoğan , poi, può costare davvero molto. The Media Line
ha raccolto la testimonianza di Merve Büyüksaraç, designer industriale,
scrittrice ed ex Miss Turchia, accusata di aver insultato Erdoğan dopo
aver condiviso un poema satirico sul suo conto su Instagram: questa
settimana un procuratore ha chiesto di condannarla a due anni di
carcere. Oppure il giornalista Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet,
sotto processo con l’accusa di aver fatto “commenti che insultano il
presidente” turco durante un’intervista con Celal Kara, il pubblico
ministero che nel dicembre 2013 guidava l’indagine sulla corruzione dei
funzionari governativi di alto livello.
Se ogni mossa di noti attivisti e oppositori al governo è
scrupolosamente sorvegliata, sembra esserlo anche quella dei privati
cittadini, persino minorenni. Lo scorso dicembre, ad esempio, un ragazzo
di 16 anni è stato arrestato nella sua scuola a Konya con l’accusa di
aver insultato Erdoğan, per averlo presumibilmente chiamato “il leader
della corruzione e del furto” nel corso di una manifestazione: se gli
venisse inflitto il massimo della pena, dovrebbe scontare 37 mesi di
carcere. I dissidenti, quindi, sono avvertiti.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento