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31/03/2013

Se me lo dicevi prima


C'è poco da fare, lo scoprire le cose belle quando ormai sono postume è un limite che quasi mai riesco a scrollarmi di dosso.

Saggezza extraparlamentare. Il pasticcio Napolitano

A chi lo avesse dimenticato, Mario Draghi ha ricordato che il vero governo risiede altrove. Non a Palazzo Chigi, non in rete, non nelle sempre meno solide pareti di partiti o "movimenti".

L'ha fatto con una telefonata a Giorgio Napolitano, non con una dichiarazione pubblica. Ma non deve essere stata una telefonata “privata”, visto che tutti i giornali sono stati debitamente informati sia dell'avvenuta conversazione che del suo contenuto.

Tema: le possibili dimissioni del presidente della Repubblica, un mese prima della scadenza naturale, in modo da accelerare la nomina di un successore dotato del potere che Napolitano non ha più: sciogliere le Camere e indire nuove elezioni politiche. Ipotesi che Draghi avrebbe sconsigliato con decisione, chiamando in causa la prevedibile reazione negativa – molto negativa – dei mercati finanziari. Mentre si contano i cadaveri della crisi dell'eurozona (la Slovenia sta per sostituire Cipro sulle prime pagine, mentre Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda sono solo momentaneamente in secondo piano; e anche Lussemburgo e Lettonia sono in lista d'attesa), non era il caso di presentare la terza economia dell'area come un paese senza più istituzioni in piedi. Quindi “tecnicamente” irresponsabile della propria evoluzione agli occhi dei partner continentali.

Quindi, suggeriva la voce da Francoforte, Napolitano doveva restare al suo posto fino a fine mandato o a governo formato. Nel frattempo Monti può proseguire la sua opera, secondo le indicazioni provenienti dalla Troika.

Ma la piccola “tempesta perfetta” nel bicchier d'acqua italiano, come spiegavamo già un mese fa all'indomani del risultato elettorale, non ha soluzioni costituzionalmente possibili. A meno di un cedimento clamoroso di una delle tre aree politiche principali (un sì grillino a un governo Pd, o un sì piddino a un'alleanza con Berlusconi, o tra Pdl e M5S).

La nomina di 10 “saggi” che dovrebbero individuare le riforme condivise, sul piano economico come su quello politico, è un insulto all'unica istituzione che dovrebbe rappresentare la sovranità popolare: il Parlamento. Se la “saggezza riformista”, infatti, può essere rintracciata solo fuori delle Camere, queste vengono duramente delegittimate proprio sul terreno loro proprio, quello legislativo (ovvero il “fare riforme”, possibilmente condivise ma anche no). Quanti inneggiano come sempre alla “fantasia politica” di Napolitano dovrebbero cominciare a fare i conti con la sua prassi, sempre al limite, e spesso oltre, della Costituzione. O perlomeno del suo “spirito”, mai come ora ombra di "Banquo”.

Il pasticcio pasquale dei “saggi lottizzati” – tra Pd, berlusconiani, montiani e persino un leghista – ha senso solo per prendere tempo. Da qui al 15 aprile, quando si aprirà come da procedura la fase dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Altrimenti si tramuterebbe in un vizio costituzionale invalidante, se davvero dovessero “elaborare” qualcosa che poi diventa vincolante per i partiti e il Parlamento.

Ma anche questo ennesimo “strappo” alle procedure costituzionali – al pari del cripto-totalitarismo grillino – segnala che la prassi della democrazia parlamentare non regge più la violenza degli interessi contrapposti. I costi della crisi vanno pagati da qualcuno, e qui si è aperta la partita, dando per scontato – e verificato – che il lavoro dipendente non ha più rappresentanza politica, culturale, ideale, programmatica.

E se il centrodestra si presenta come il bastione della conservazione di privilegi impresentabili (eredità delle vecchie rendite di posizione create e garantite dalla Dc), se il Pd tiene in vita i residui del “compromesso tra produttori” sbilanciato a favore delle imprese, il grillismo è andato a pescare nel mare magnum della precarietà esistenziale-occupazionale creato dai primi due fronti.

Non è la prima volta che si verifica una situazione sociale e istituzionale del genere, in cui a un pieno di risentimento e frammentazione sociale corrisponde un vuoto di progetti, credibilità, istituzioni. La “strategia” di Grillo ha una faccia retorica para-”rivoluzionaria” – “tutti a casa, comanderemo noi” – ma non controlla un movimento con disponibilità di “forza militare”. L'eventuale tracollo istituzionale, dunque, non sarebbe gestito da lui, ma di chi “la forza” ce l'ha ed è disposto ad usarla. Ma nell'Unione europea questa forza si esprime in forme sovranazionali, non banalmente golpiste da operetta.

La telefonata di Draghi è il richiamo all'ordine da parte di questi poteri. La primavera del conflitto sociale deve guardare – e contrastare – a chi comanda davvero, non alle povere figure che si agitano sulla scena. E che non significano nulla...

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Questo modello europeo non è più un tabù

Due editoriali nello stesso giorno per dire la stessa cosa: l'Italia deve rinegoziare i patti europei che rischiano di distruggere l'economia del paese. Confindustria ha rotto con la logica di Monti.

Alberto Quadrio Curzio e Pellegrino Capaldo si sono incaricati di argomentare - sia dal punto di vista politico-economico che da quello giuridico - le ragioni di questa possibilità-necessità. In buona sostanza, l'accusa a Monti e chi ha ragionato fin qui come lui è semplice: "rigorismo" indifferente all'economia reale, interpretazione "contabile" dei vincoli europei scritti nei trattati.
Ma la stessa critica viene rivolta alle istituzioni europee che in questi ultimi tre anni hanno affrontato la crisi soltanto dal lato del debito pubblico, come se fosse l'unica variabile suscettibile di portare benessere o disastri.
Ne consegue quindi un invito alla rapida formazione di un governo che possa "rinegoziare" in Europa meglio e con più "assertività" di quanto non abbia fatto Monti, apertamente accusato anche di aver smarrito il suo carisma "tecnico" con la sciamannata "salita in politica" improvvisata a Capodanno.

E' un cambio di marcia importante, fatto dal punto di vista delle imprese e delle banche, ma che enfatizza anche il "piano del lavoro" messo sul tavolo dalla Cgil e fin qui considerato - dal governo Monti e dai partiti in campagna elettorale - poco più che un libro dei sogni. Naturalmente ciò non avviene perché Confindustria sia diventata oggi "di sinistra", ma per il buon motivo che anche il "piano del lavoro" della Cgil assume come orizzonte gli interessi delle imprese, sotto la maschera retorica dell' "interesse del paese".
Da questo fronte arriva dunque un suggerimento chiaro: creazione di un fronte compatto Confindustria-sindacati (la Cgil è per loro più interessante che non Cisl e Uil, già arruolate da tempo tra i "complici" cui basta dare un ordine), in grado di produrre un "programma di governo" (e il personale politico necessario) che possa presentarsi in Europa per imporre - insieme a Francia e Spagna - quantomeno un "crono programma" di rientro nei parametri di Maastricht meno strangolante.
E' anche questo un segno della gravità della crisi a questo punto. Fin qui Confindustria aveva sposato la linea del rigore a testa bassa, chiedendo come sempre misure per le imprese e addebitando tutto il conto da pagare sulle spalle del lavoro. Ora si accorge che la restrizione ha generato crollo nei consumi interni e quindi ha aggravato - come inutilmente tanti, e noi fra questi, avevano facilmente previsto - la recessione, facendola avvitare in una spirale senza fine.
Vedremo già nei prossimi giorni se questa "svolta" confindustriale produrrà effetti anche politici. A noi, al momento, non resta che registrare che l'eurozona e le sue "regole interne" non sono più un tabù. E che, dunque, la nostra proposta - due monete diverse, rompendo l'attuale configurazione dell'Unione europea - dovrebbe risultare ora, anche a occhi fin qui fissi sull'intangibilità dell'euro, assai meno "fantasiosa".

I due editoriali del Sole24Ore:
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Il programma di Napolitano per un "governissimo" sotto altro nome

Un coniglio pasquale mai visto, fuori da ogni procedura costituzionale. Dieci "saggi" di area Pd e Pdl, che devono definire un "programma condiviso" che poi verrà applicato da un governo sostenuto dai loro voti.

Il "senso di responsabilità" è il coperchio che dovrebbe tenere insieme forze che ufficialmente si dichiarano indisponibili a stare fiancoa fianco nello stesso governo.
L'elenco dei "saggi", divisi in due gruppi di lavoro, chiarisce quello che la logica altrimenti rifiuterebbe. Per le "riforme economiche" ci sono Enrico Giovannini, presidente dell'Istat; Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato; Salvatore Rossi, membro del direttorio della Banca d'Italia, Giancarlo Giorgietti (senatore della Lega) e Filippo Bubbico (senatore del Pd), presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato, e il ministro Enzo Moavero Milanesi.
Per le riforme politiche toccherà invece a Valerio Onida (ex presidente della Corte Costituzionale), Mario Mauro (senatore montiano ex Pdl), il senatore Pdl Gaetano Quagliariello e Luciano Violante, anima nera del Pci-Pds-Ds-Pd.

Il governo, di conseguenza e a sentire tutte le reazioni ufficiali dei partiti, dovrebbe essere "politico-tecnico", tale da poter essere sostenuto con i voti di Pd, Pdl, Lega, e montiani. Ma anche tale da non dover essere necessariamente identificato con i partiti. Una sorta di "governo Monti", un po' più "politico",  ma egualmente "figlio di nessuno". Un pasticcio informe di cui l'unico tratto riconoscibile è la pervicace applicazione di un "format" consociativista ad oltranza, a prescindere da qualsiasi progetto.

Indirettamente è un regalo a Grillo, perché è facilmente descrivibile come la prova provata di "una classe politica che non vuole andarsene". Proprio quando la tattica grillina mostrava ampiamente la corda... Tra i saggi, infatti, non c'è e non ci può essere alcun rappresentante del Movimento Cinque Stelle.

A margine, è infine la fine della carriera politica di Pierluigi Bersani.

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Il futuro governo è ancora ben al di la da venire ma già si prospetta ancor più gattopardesco di quello Monti.
Ci sarà da stare in campana alla grande.

Autoscacco a 5 Stelle

Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il movimento 5 Stelle non aveva sbagliato una mossa. A parte le trascurabili defezioni sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato sul suo cammino. Aveva messo all’angolo il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità e a un’eventuale richiesta d’arresto di B. (spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto il Pd a rottamare i candidati di partito per le due Camere e a inventarsi in fretta e furia i nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta obbligati a esordire col taglio degli emolumenti che, per quanto modesto, avrebbe innescato l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta streaming e alla resa sul Colle camuffata da congelamento.

Intanto i dogmi pidini dei rimborsi elettorali e del Tav Torino-Lione venivano rimessi in discussione. Insomma, pur avendo vinto solo moralmente le elezioni, 5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un movimento nato appena tre anni fa avrebbe avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli benefici per gli italiani, visto che alcuni punti del programma pentastelluto, al netto delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe rimasto irrimediabilmente all’angolo.

Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in versione findus, era rimasto fermo all’asse con M5S, secondo la volontà dei due terzi degli elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente non può essere né a guida Bersani, né tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di una rosa di personalità che potessero incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.

Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma solo allusioni, anche perché Napolitano non vuole sentir parlare di nomi extra-partiti. Poi hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico. Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in giochi più grandi e inafferrabili. Paura infondata, visto che i partiti sono alla canna del gas e non sono più in grado di incastrare nessuno, se non se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese). É vero, come sospettavano i complottisti (che spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio: ma, a maggior ragione, la proposta di un governo Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla ritirata, non foss’altro che per non assumersi la responsabilità di aver bocciato il miglior governo degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta). Ora invece l’unica alternativa alle urne, che tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo con B., più o meno mascherato. Che magari era nella testa di Napolitano e dei partiti fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani. Bel risultato, complimenti a tutti.

il Fatto Quotidiano, 30 Marzo 2013

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Un collega di Travaglio sempre sulle pagine del Fatto ha commentato la situazione scrivendo che lo stallo conviene a tutti , Grillo compreso che avrebbe conseguito "Una vittoria tattica, al prezzo di una sconfitta strategica".
A mio modo di vedere tirare in ballo il tatticismo in questa fase d'impasse istituzionale è fuori luogo in quanto l'unica tattica che s'è dipanata come tale raggiungendo dei risultati è quella che ha consentito a Berlusconi di rinascere politicamente. Tutto il resto, al netto della capitolazione di Monti che non ha mai creduto nel risultato che gli è stato imposto di rincorrere, sono stati maldestri tentativi d'evitare lo sputtanamento tanto da parte del PD (che ha fatto di tutto per mostrarsi in antitesi all'orco Berlusconi rinfocolando il più possibile quella polarizzazione - berlusconismo vs. anti-berlusconismo - che gli ha consentito di sopravvivere politicamente negli ultimi 20 anni) quanto del M5S che s'è trincerato dietro un muro di no nel tentativo solo parzialmente riuscito di nascondere un'impreparazione istituzionale e politica che ha del catastrofico.

Auguri Italia.

Qualche risposta a proposito delle scelte del M5S

Immaginavo molte delle obiezioni che mi sono state mosse a proposito delle scelte del M5s a proposito del governo, ma, ovviamente, non potevo rispondere preventivamente. Vengo al merito, sostanzialmente le obiezioni sono:

a- il M5s si  è presentato e si ritiene alternativo all’intero sistema politico, per cui, come potrebbe allearsi con una qualsiasi delle parti di questo sistema senza tradire le assicurazioni date e, quindi, perdere credibilità?

b- più in particolare, il Pd ha un orientamento di politica economica tutto interno alle compatibilità decise dalla Bce e dalla Ue, mentre il M5s ha un orientamento completamente diverso, per cui, su cosa potrebbero accordarsi?

c- La scelta di allearsi al Pd farebbe allontanare gli elettori di destra del M5s (e sono molti, mi si precisa)

d- forse la rappresentanza politica e consiliare grillina non è sufficientemente preparata, ma diamogli tempo e si formeranno e comunque questo abbiamo a disposizione

e- i sondaggi hanno così clamorosamente fallito che qualsiasi cosa dicano non sono più credibili, per cui, se prevedevano il 14% al M5s che poi ha preso il 25%, vedrete che anche la prossima volta il risultato sarà al di sopra delle previsioni.

Rispondo punto per punto:

A- Alleanze: effettivamente il M5s si è presentato ed è un movimento antisistema (che poi riesca realmente a rappresentare un’alternativa ad esso è altro paio di maniche di cui parleremo in altra occasione) per cui, comprensibilmente esclude alleanze con una qualsiasi delle parti di esso. Sin qui nulla da obiettare. Ma la politica è fatta di sfumature e c’è modo e modo e tempo e tempo. Personalmente non credo all’opportunità di un’ alleanza organica e di lungo periodo del M5s con il Pd, magari con una partecipazione al governo. Sarebbe un suicidio insensato del M5s. Ma ci sono molte altre soluzioni possibili, oltre quella della chiusura totale: ad esempio limitarsi a far formare il governo (con una astensione o uscendo dall’aula al momento del voto) con un solo punto da realizzare, la riforma elettorale, per poi andare a votare nel tempo strettamente necessario. Un accordo parziale e temporaneo che, se mi permettete, è cosa ben diversa da un’ alleanza. Il punto è questo: se votiamo con questa legge elettorale orrenda siamo punto e da capo, perché nessuno prende la maggioranza dei seggi al Senato. Ed allora  che facciamo, votiamo per la terza volta in un anno?

Questa è una legge elettorale che ha un doppio handicap: da un lato è follemente disrappresentativa perché dà il 54% dei seggi ad uno schieramento che rappresenta anche meno del 20% del corpo elettorale, dall’altro è costitutivamente portatrice di instabilità, perché produce numeri diversi nei due rami del Parlamento.

Dunque, quantomeno, un accordo di pochi mesi per fare la legge elettorale sarebbe una misura di buon senso. Ma si può fare anche di più, ad esempio, se ci fossero le condizioni, si potrebbe concordare un pacchetto di provvedimenti (ad esempio legge sul conflitto di interessi, sulla corruzione, sul sostegno alle imprese in crisi, su forme temporanee di reddito di cittadinanza, o quello che vi pare) per poi votare entro un anno, insieme alle europee. Occorrerebbe vedere cosa offre la controparte e, per il resto, giudicare caso per caso sulle misure del governo, riservandosi, quando il disaccordo fosse troppo forte, di passare alla sfiducia facendo cadere il governo.

Questa soluzione –ove possibile, cosa da verificare- offrirebbe due vantaggi: permettere al M5s di “portare a casa” dei risultati, dimostrando come, pur senza andare al governo, esso ottiene misure sin qui rifiutate dal sistema (e, quindi, rafforzare il suo consenso) e, in secondo luogo, fare passi avanti nella preparazione di una classe di governo idonea al compito. Un anno sarebbe pochissimo, siamo d’accordo, ma meglio di nulla.

E questo non significa “sposarsi” ma solo sospendere temporaneamente le ostilità. In fondo, anche in guerra, non ci sono solo il momento del combattimento o il “cessate il fuoco”, ma c’è tutta una graduazione: l’armistizio, la tregua, la sospensione momentanea, magari per raccogliere i feriti sul campo ecc.

B- Le differenze programmatiche.
Anche qui sono d’accordo: la linea del Pd è compatibilista ed il M5s non lo è. Bersani al primo degli otto punti ha parlato di abbandono della linea del rigore a tutti i costi, d’accordo, ma è ancora poco per capire cosa significhi in concreto. Su questo però vorrei capire meglio anche quali sono le proposte del M5s al di là del generico rifiuto dell’Euro e delle sue compatibilità. Personalmente mi sono espresso contro l’Euro, sin dalla sua nascita, e penso da tempo che occorra uscirne, ma c’è modo e modo. Una uscita improvvisa e non guidata è possibile ma le conseguenze quali sarebbero? Anche dichiarare default potrebbe essere inevitabile, ma anche qui c’è modo e modo, ad esempio si potrebbe valutare l’ipotesi di un haircut concordato, oppure una discriminazione fra creditori interni ed esterni. Insomma, non è che si possa dire ai creditori “Non ti pago” e pensare che tutto finisca là. Ci sono conseguenze su cui occorre riflettere. Quindi, va bene che ci sono differenze programmatiche però entriamo nel merito per scoprire se non ci sia una fettina, magari piccola, di proposte condivise, ma, soprattutto, teniamo presente che non è una partita a due. Ci sono anche gli altri fuori e, soprattutto, il tetto può cascare in testa a tutti.

C- La fuga degli elettori di destra.
Verissimo: è un rischio che il M5s corre, ma, se è per questo, corre anche quello di un distacco degli elettori di sinistra, che sono anche di più. Ma questo è un rischio connaturale a un movimento come il M5s è: un momento di raccolta della protesta che mette insieme il leghista deluso che ha imparato ad apprezzare Grillo per le sue sparate anti immigrati, lo studente precario che, invece, vuole il reddito di cittadinanza, l’ex di Rifondazione che pensa che finalmente questo è il partito antisistema che cercava, il pensionato che vuole lo stato sociale, il commerciante brianzolo che odia lo stato sociale perché è stufo di pagare troppe tasse, la signora Maria di Voghera e il signor Alfio di Filicudi. Per quanto tempo pensate di tenere insieme questo minestrone? Il problema non è solo la fiducia al governo, perché divisioni del genere verranno fuori ogni giorno, che si tratti della legge sull’immigrazione o dei marò detenuti in India, della posizione da prendere sulla Siria o della nuova riforma degli studi universitari. Ogni movimento di protesta, prima o poi, si è trovato ad un bivio: trasformarsi in una forza politica con precisi connotati –e quindi amalgamare dei pezzi e perderne altri- o esplodere in mille schegge. Per ora questo caravanserraglio del M5s sta in piedi su due cose legate fra loro: la figura carismatica di Grillo e la protesta contro un sistema politico indecente.

A proposito: l’espressione di Battiato sul Parlamento era sgradevole perché si lasciava interpretare in senso misogino, quel che non era nelle sue intenzioni, ma, nel merito, vogliamo negare che questa classe politica ha una bella fetta di mercenari pronti a passare da una parte all’altra? La prossima volta, magari Battiato anzicchè dire troie dica lanzichenecchi, che fa più fino; però il vilipendio del Parlamento, il vero vilipendio, è quello di chi ci manda certa gentaglia.

Tornando al discorso principale: che si tratti della fiducia o di altro, il M5s deve mettere in conto che ha un elettorato vasto quanto disomogeneo e messo insieme in pochissimo tempo. Anche per questo, immaginare altre ondate plebiscitarie è poco realistico e, comunque, comporterebbero ulteriori problemi di gestione di un seguito sempre più disomogeneo.

D- i parlamentari grillini matureranno: speriamolo e se possibile facciamo qualcosa per aiutarli in questo senso, però diciamoci che la presentazione è un disastro, sia per la manifesta incompetenza, sia –consentitemelo- per alcuni tratti di rozzezza umana prima che politica. Sono rimasto trasecolato dall’uscita di Gessica Rostellato che ha rifiutato di stringere la mano a Rosy Bindi, dichiarando che “non è un piacere” e che lei è una persona “sincera”. A parte il fatto che la sincerità sta diventando l’alibi di una legione di selvaggi che si sentono autorizzati ai comportamenti più inurbani, il punto più grave non è il gesto in sé ma quello che sottintende. L’idea è quella di una superiorità morale in nome della quale  si rifiuta di riconoscere l’altro come pari: “Io sono una persona per bene e tu sei una merda alla quale non do nemmeno la mano”. In vita mia, a causa dei miei incarichi peritali o in commissione parlamentare o per delle interviste, mi è capitato di incontrare mafiosi, probabili stragisti ed accertati golpisti, truffatori dichiarati, ignobili depistatori, assassini acclarati,  tangentisti ed ogni altro genere di gentiluomini, ed ho sempre stretto la mano a tutti guardandoli negli occhi. Non “facendo finta di nulla” per un vuoto atto di cortesia formale, ma perché non mi sono mai sentito superiore moralmente a nessuno e non mi sono mai sentito il custode di alcuna virtù. E non ho mai pensato che l’ultimo delinquente, per il solo fatto di esser stato tale sino a cinque minuti prima, fosse predestinato a restarlo per il resto della sua vita. Nessuno è indegno di una stretta di mano. Tanto più se poi, questo rifiuto si basa non su qualche particolare comportamento personale, ma solo sulla appartenenza ad un partito. E’ questo che mi fa temere che dietro a questo rifiuto pregiudiziale di ascoltare l’altro ed aprire una qualche interlocuzione parlamentare ci sia, più che un giudizio politico, una qualità antropologica che non mi piace affatto. Sono sincero anche io: va bene?

Prendiamola per una dimostrazione di infantilismo e non facciamola troppo lunga, però non fateci più vedere cose di questo tipo. Dopo vedremo se e come riuscirete a fare il mestiere di parlamentari che, lo dice la parola stessa, presuppone il fatto che si parli con gli altri, non che li si copra di insulti. Le piazze sono le piazze ma il Parlamento non è una piazza, cerchiamo di ricordarlo.

5- I sondaggi non sono credibili: figuriamoci! Con me sfondate una porta aperta, anzi, una porta che non c’è. Però, attenzione: il sondaggio può truccare ma sino ad un certo punto. Poi c’è un’altra cosa: il sentire comune, per il quale l’opinione pubblica certe tendenze le coglie. Che Berlusconi fosse in caduta libera sino a dicembre, non c’era bisogno dei sondaggi per saperlo. Che poi abbia iniziato una rimonta preoccupante abbiamo iniziato a pensarlo tutti dopo la serata da Santoro e  bastava parlare con la gente al bar per percepirlo: il vecchio elettore del Pdl, che da un po’ di tempo stava muto e defilato, tornava ringalluzzito, vice versa, il vecchio pensionato militante del Pci, che sino a quel punto era certissimo della vittoria iniziava a mostrare qualche preoccupazione. E così si percepiva che la lista di Monti non stava affatto decollando, che la campagna elettorale del Pd era fiacca e che il M5s, invece, stava per avere un clamoroso successo. Ovviamente, nessuno era in grado di fare cifre, di dire di quanto il M5s sarebbe avanzato e di quanto Monti sarebbe affondato, ma le tendenze generali erano quelle.

Per capire dove soffia il vento mi basta parlare con la gente: al bar con i vecchi pensionati, in facoltà con gli studenti, dal barbiere o magari in taxi (i taxisti sono meglio della doxa, credetemi, perché parlano con un mare di gente ogni giorno). E la sensazione che sto ricevendo è che lo stato d’animo prevalente sia quello della preoccupazione per l’instabilità. La gente vuole un governo, comunque sia. Non dico che abbia ragione e che sia la cosa migliore da fare, registro solo un umore ogni giorno più forte. Mentre trovo pochissime persone disposte a prendere sul serio l’idea di un incarico per formare il governo ad un esponente del M5s. Persino fra elettori cinque stelle spesso sento dire che è una trovata propagandistica, magari per presentarsi alle elezioni, ma non ci si crede. Ci sono poi segnali di malumore di tutti i principali testimonial di Grillo: da Fo a Battiato, da Celentano alla Mannoia, tutti invitano Grillo a “non esagerare”. E non è poco.

Ma su tutto dovremo tornare ancora a lungo.

Aldo Giannuli

Fonte

Il pragmatismo, quando si parla di vicende politico-elettorali, scorre sempre vigoroso nelle vene di Giannuli, questa ne è l'ennesima prova.
Tuttavia, a mio parere sì può affermare che le sue considerazioni erano ampiamente prevedibili se non scontate a partire dal momento in cui il M5S decise di gettarsi nella disputa elettorale.
Una disputa che il movimento ha vissuto sulla cresta dell'onda ma che ha consegnato al Parlamento una forza esageratamente gonfiata nei consensi rispetto al risibilissimo spessore politico ed umano dei suoi appartenenti.
Senza nulla togliere all'abnegazione della militanza a 5 stelle, lo spessore politico che il movimento ha espresso sino a questo momento è stato totalmente deficitario e il presumì da "noi siamo meglio del resto dell'universo" che è fondamentale per esaltare il proprio morale in campagna elettorale, diventa tremendamente squalificante quando si entra nella stanza dei bottoni, anche perché tutti quelli che hanno votato Grillo a questa tornata e quelli che mediante il movimento sono finiti a rappresentare i cittadini in Parlamento, cinque anni fa s'abbeveravano alla stesse fonti che ora tanto disprezzano.
Personalmente mi auguro d'assistere a un colpo di coda, quasi certamente calato dall'alto, che sia in grado di sorprendere e sorprendermi, tuttavia ascoltando i recenti deliri di Grillo - che sembra sempre più un nerd scollato dalla realtà - sto maturando la convinzione che dietro tanta incazzatura e voglia di fare, non ci sia alcuna idea in merito al cosa fare.
Parafrasando i Sex Pistols il M5S sa cosa vuole (ma anche su questo frangente ho qualche dubbio) ma non ha la minima idea di come ottenerlo.

30/03/2013

Riassunto

Uno sta fuori dal giro per poco meno di due settimane e si ritrova davanti un mondo che staticamente perde pezzi da ogni dove.
Se sul personale questo marzo è stato una merda, devo dire che il contesto non ha tenuto botta meglio di me.
In questo mese siamo stati spettatori de:
  • il nuovo papa piacione ma con qualche scheletro nell'armadio di troppo che mi pare si ponga nell'ottica di diventare il nuovo Wojtyla, cosa che non mi garba per nulla;
  • la morte del capo della Polizia di Stato Manganelli, con tutto lo strascico di retorica - fuori luogo - per un servitore dello stato indubbiamente con la schiena dritta, anche quando l'avrebbe dovuta rispettosamente piegare;
  • la morte di Mennea, un nome con cui sono cresciuto anche perché vidi in diretta Michael Johnson che fermava di un soffio il cronometro sotto il record dell'italiano;
  • le manfrine in Parlamento tra le forze politiche e i discorsi da bar dell'elettorato fuori palazzo, tutti egualmente del cazzo perchè incentrati su un tema, la governabilità, che non ha alcun senso d'essere trattato quando non contempla il nodo cruciale della crisi europea: l'assetto stesso dell'Unione;
  • il caso dei marò in India... beh una Caporetto del genere credo sia il degno requiem  per un governo tecnico che è riuscito nell'impresa d'essere il più devastante ed impresentabile di tutta la storia repubblicana, e cazzo con i pezzi da 90 delle rabbinate che abbiamo avuto in sto paese ce ne voleva di talento per fare peggio di tutti!
  • il degenero internazionale. Di come sia macabramente deragliata la Primavera Araba - unica eccezione parziale la Tunisia - ho scritto più volte, ma lo sfascio ignobile che sta vivendo la Siria non l'avrei sognato nemmeno nei miei incubi peggiori. A questo si sono aggiunti l'improvvisa escalation di tensione in Corea, gli Stati Uniti a un passo dal fiscal cliff e il Giappone sempre più anticamera del fallimento verso cui tutto il capitalismo mondiale si sta dirigendo col vento in poppa.
Mentre scrivo apprendo anche della dipartita di Jannacci e Califano, insomma, c'è veramente di che stare allegri.
Personalmente tento di tenermi a galla allargando i miei orizzonti sonori, gli unici che concedono di spaziare ancora senza difficoltà eccessive.

Le recensioni di Frusciante - Raimi


Quest'uomo mi fa morire!

La logica dell'esproprio

L'Unione Europea, stanotte, ha fatto un deciso passo avanti verso la propria "rimessa in discussione".


Naturalmente l'ha fatto, per apparente paradosso, proprio per evitare che la crisi bancaria di un piccolissimo paese si potesse concludere con la sua uscita dall'eurozona. Determinando così una crepa nell'edificio continentale e un precedente.

Non evocheremo il fantasma di Mao quando sentenziava che “i reazionari sono degli stupidi, sollevano le pietre sopra la testa per poi lasciarsele cadere sui piedi”. Ma la tentazione è forte.

I reazionari che guidano l'Eurogruppo – Schaeuble e la Bundesbank, validamente supportati dal giovane e disinvolto collega olandese Jeroen Dijsselbloem – hanno infranto un limite fin qui invalicabile: l'esproprio di capitali privati per operazioni economico-politiche.

Naturalmente dei comunisti non ci trovano nulla di scandaloso. Ogni rivoluzione fa questo, in fondo; accompagnando questa scelta con il rifiuto di pagare il debito estero.

Ma qui non c'è nessuna rivoluzione in corso. Anzi, l'esproprio serve a irrobustire i capitali privati più forti a scapito di quelli meno rilevanti. Eppure un tabù capitalistico è stato infranto. Con leggerezza, protervia, imprudenza. L'articolo con cui IlSole24Ore saluta e critica l'iniziativa è denso di informazioni sulle conseguenze. Che di fatto si riducono a una: fine della “fiducia” nel fatto che la proprietà privata – mobiliare, intanto, ossia finanziaria – sia intangibile.

Un'economia di mercato non potrebbe subire un colpo più duro. Se un soggetto economico di qualsiasi entità può venire espropriato in qualsiasi momento per “ragioni superiori” - senza che ci sia nemmeno una guerra in corso (o sì?) - si interrompe quella libera circolazione di capitali in cerca della migliore allocazione. Si blocca la base stessa del normale “essere” del capitale.

In particolare, questa decisione indica “ai mercati” che le banche dei paesi deboli dell'eurozona sono un rifugio troppo incerto, nell'attuale tempesta. I “porti” migliori sono quelli dei paesi forti, è lì che i soldi in cerca di sicurezza devono andare.

Se questo fosse un fenomeno “naturale”, se questi spostamenti di capitali dal Sud al Nord avvenissero per il normale gioco dei “ritorni attesi”, ci sarebbe un problema da affrontare. Troppi squilibri rendono un'area politica e monetario più difficile da gestire.

Ma se questo accade per “decisione politica” – e l'Eurogruppo è, nonostante gli idioti che lo compongono, un'istituzione politica sovranazionale – allora l'Unione Europea non ha più senso. O meglio, non lo ha per i paesi deboli. Entrati nell'eurozona per accedere finalmente ai livelli di benessere, regolazione e civiltà di un continente ricco, si vedono infatti ridotti al ruolo di donatori di sangue (finanziario, certo, molto più importante di quello vero) a vantaggio di quelli “forti”.

La crisi della Ue ha insomma fatto un passo avanti, forse irreversibile. Perché ha reso plasticamente evidente che non c'entrano nulla i livelli della spesa pubblica di ciascun paese, “i vizi” di questo o quel sistema politico, i “difetti caratteriali” di questo o quel popolo. L'Unione disegnata a Maastricht e inchiavardata dai patti di stabilità più recenti (fiscal compact, six pack, two pack, ecc) ha come unica funzione quella di concentrare la ricchezza finanziaria e la potenza industriale in quei paesi che già ce l'hanno. È un disegno idiota, naturalmente, perché i più grandi “clienti” per la produzione tedesca o finlandese sono proprio i paesi che si è deciso di dissanguare. Quindi il boomerang non tarderà ad invertire la rotta (e già la Germania comincia ad accorgersene, ma stupidamente reagisce accentuando la “stretta” sui suoi contoterzisti). Ma così è.

Il precedente è stato stabilito, il Rubicone è stato passato. Espropriare si può. Il fine è “soggettivo”, non “scientifico”. Se si può farlo per “ristrutturare le banche”, si può farlo anche per “ridisegnare un paese” (o un continente, o una sua parte) e i suoi equilibri sociali. Certo, l'euro è ancora un limite. Ma se la Germania sta preparando un “piano B” per agire anche in uno scenario dove la moneta unica non c'è più, non si capisce proprio perché l'insieme dei paesi che ne stanno soffrendo le peggiori conseguenze non possano fare altrettanto, e in direzione opposta.

Sta a noi agire per rovesciare il segno. Ma un incantesimo si è rotto.


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Il piano per Cipro? Un assist alla fuga dalle banche dei Paesi a rischio (a favore di quelle tedesche)

di Fabio Pavesi
I conti da pagare alla crisi di Nicosia saranno almeno due. C'è quello immediato che finirà per pesare - dopo aver alzato l'asticella del sacrificio sopra i 100mila euro - su qualche ricco oligarca russo e su qualche benestante commerciante locale. E c'è un conto occulto assai più salato e gravoso che rischia di avere effetti più dirompenti.

Ed è il conto della fiducia. Quella fiducia che va ad evaporare grazie alla avventata cura della Trojka, che, come nel caso della Grecia, finisce per far ricadere sui creditori privati il prezzo del presunto salvataggio. Se si toccano i conti correnti dentro le banche e questa diventa una delle vie dei possibili salvataggi futuri dei Paesi, allora si ottiene un gigantesco effetto collaterale. Che è quello della fuga dei depositi dalle banche dei paesi considerati a rischio. E non c'è peggior male per una banca che veder erodere la sua base di disponibilità finanziaria. Ci si avvita e si fallisce in un battibaleno.

In fondo è un copione già terribilmente visto e che purtroppo non ha insegnato nulla alle autorità politiche europee. Come non ricordare che dalle banche greche sono fuggiti man mano che la crisi si manifestava capitali per almeno 70 miliardi. Come non ricordare l'emorragia dai conti correnti delle banche di Madrid che hanno visto defluire oltre 60 miliardi in pochi mesi. E senza andare troppo lontano come non ricordare che anche dall'Italia nel pieno della crisi tra il 2011 e l'estate del 2012 decine di miliardi di depositanti stranieri hanno preso la via di casa. Il problema è che quei soldi una volta usciti da un sistema bancario di un paese fragile non tornano più. Una prova? Tuttora, secondo i dati dell'Abi, mancano all'appello nelle casse delle banche italiane almeno 40 miliardi di depositanti esteri. Per fortuna, per le nostre banche, ha tenuto la fiducia dei risparmiatori italiani che hanno più che compensato l'abbandono degli sportelli da parte della clientela straniera.

È questa in estrema sintesi quella che i tecnici chiamano la balcanizzazione del sistema bancario, una frammentazione pericolosa che porta le banche del Sud Europa a veder impoverite le proprie casse a favore delle banche del Nord Europa, Germania in testa. Già perchè quei capitali escono dagli istituti dei paesi a rischio per andare a gonfiare gli attivi delle banche del Nord. Quel fenomeno gigantesco che, come ha mostrato l'Fmi, ha visto uscire da Italia e Spagna nell'acme della crisi la bellezza di quasi 500 miliardi di euro, si è ora ridimensionato. Grazie alle manovre di Draghi e alla decisione della Bce di predisporre la rete di sicurezza dell'Omt, gli acqusiti di bond di paesi in crisi dal parte di Francoforte. Ma se l'emorragia si è arrestata, il dramma è che la divaricazione tra Nord e Sud Europa è ormai un fenomeno strutturale. Basta vedere le posizioni nette tra creditori e debitori all'interno dell'eurozona che vedono la periferia dell'eurozona debitrice per 820 miliardi e la Germania in saldo attivo per 620 miliardi.

Una situazione che finisce per avere un effetto collaterale pesante. I capitali usciti dalle banche dei paesi fragili alimentano i depositi delle banche tedesche, finlandesi, olandesi che possono permettersi una potente leva sui prestiti a tassi tra l'altro bassissimi. Ciò finanzia l'economia reale di quei paesi. Al contrario la penuria di depositi esteri sulle banche italiane e spagnole le costringe ad abbassare i prestiti a imprese e famiglie strozzando la già fragile congiuntura economica della periferia dell'eurozona. I dati sui prestiti sono infatti inequivocabili. In Italia il calo è stato, solo nel 2012, del 3%; in Grecia del 7%; in Spagna del 4%, mentre in Olanda la crescita dei prestiti è stata del 6% e in Germania del 3%. E così ci si ritrova con un'Europa delle banche spezzata in due. Floride, anche grazie all'apporto dei depositanti in fuga prima da Grecia e Spagna e domani da Cipro, nei paesi de Nord e fiaccate nei paesi dell'eurozona.

Se non si ricompone la balcanizzazione del sistema bancario, la stessa tenuta dell'euro è a rischio e la cura per Cipro non è certo la medicina più adeguata. Al contrario. Crea le premesse per una ulteriore frammentazione dei sistemi del credito. Eccolo l'autogol dell'Europa a Cipro.

da IlSole24Ore

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Anche questa volta l'editoriale di Contropiano è sul pezzo con una puntualità e chiarezza disarmanti.
Da persona qualunque dispiace che queste analisi, questi punti di vista non siano minimamente contemplati nei salotti che macinano milioni di ascolti così come sulle pagine web che raccolgono palate di "mi piace" da ogni angolo di un Paese in cui i discorsi sono stupidamente cementati sulla governabilità, il senso di responsabilità istituzionale dei grillini, la polemica Travaglio-Grasso e via discorrendo.
La politica vera, nel frattempo, erode il nostro futuro come uno schiacciasassi.

Muos Niscemi, Crocetta revoca l’autorizzazione alla costruzione dei radar

L'8 febbraio scorso il governatore aveva già bloccato il cantiere. Oggi lo stop definitivo. Prevista per il 30 marzo la manifestazione nazionale dei movimenti No Muos. Allerta tra le forze dell'ordine per la possibile presenza di gruppi di anarco insurrezionalisti pronti a scatenare disordini durante il corteo

L’8 febbraio scorso il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, aveva bloccato i lavori del Muos (Mobile user objective system), il sistema di comunicazione satellitare in costruzione a Niscemi, comune in provincia di Caltanissetta. Oggi lo stop definitivo: “Si è concluso il procedimento e l’assessorato al Territorio e ambiente della Regione Sicilia ha revocato definitivamente l’autorizzazione per la realizzazione del Muos a Niscemi”. Prevista per il 30 marzo alle 14.30 la manifestazione nazionale dei movimenti No Muos.

L’annuncio, nel corso di una conferenza stampa a Palermo, è avvenuto alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso. Si conclude così la vicenda della costruzione del sistema satellitare della Marina militare Usa, la cui costruzione era prevista in contrada Ulmo a Niscemi e che aveva scatenato anche le ire degli ambientalisti. Un progetto da sempre contestato da comitati civici che temono per i rischi alla salute dovuti alle onde elettromagnetiche. Sulla vicenda, nell’ottobre del 2012, era intervenuta anche l’autorità giudiziaria di Caltagirone con la decisione della Procura che aveva ottenuto dal gip il sequestro preventivo dell’area e degli impianti.

Lo stop è stato anche fortemente voluto dal Movimento 5 stelle che aveva addirittura bloccato il Documento di programmazione economico finanziari (Dpef). Nei giorni scorsi i rappresentanti del M5s, accompagnati dal console americano Donald Moore, hanno visitato la base militare di Sigonella per prendere visione proprio di alcuni documenti che riguardano il Muos,

E proprio sulla manifestazione prevista sabato 30 marzo le forze dell’ordine hanno espresso preoccupazione perché gruppi di anarco-insurrezionalisti si starebbero preparando a ostacolare e contrastare la polizia anche con oggetti pericolosi per creare disordini prima e durante l’evento. Già aperto un fascicolo contro ignoti per l’ipotesi di reato di attentato alla sicurezza dei trasporti, porto di oggetti pericolosi atti ad offendere, minacce e oltraggio a pubblico ufficiale. Gli agenti durante ripetute perlustrazioni effettuate in questi giorni lungo il percorso del corteo hanno sequestrato in un terreno incolto alcuni sacchi contenenti una ventina di assi di legno chiodate, preparate artigianalmente, e centinaia di chiodi a tre punte ricavati da pezzi di reti elettrosaldate, con l’evidente intenzione di forare le gomme agli automezzi diretti o provenienti dal presidio militare. I poliziotti hanno rimosso cumuli di pietre ai margini della carreggiata pronti per essere messi di traverso sulla strada al momento opportuno e una barricata fatta di assi di legno.

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Chissà come mai quando sono calendarizzate certe manifestazioni spunta sempre fuori il pericolo anarco-insurrezionalista.

29/03/2013

Il liberismo ha i giorni contati


Il comunismo è giovane



C'è sempre più urgenza, per la sinistra italiana, di guardare al Sud America per capire come bisognerebbe far girare le cose.

Cucchi, Ferrulli, Uva: “basta persecuzioni”. Oggi in piazza a Ferrara

Alcune parenti di vittime di "malapolizia" dicono basta al vero e proprio "stalking istituzionale" che colpisce chi si batte per ottenere verità e giustizia. Oggi pomeriggio manifestazione a Ferrara in solidarietà con la famiglia di Federico Aldrovandi.

''Qualcuno può fermare questo scempio? Questo stalking istituzionale in danno di Patrizia Moretti? Come si può tollerare che un sindacato di polizia vada sistematicamente a manifestare sotto le finestre di Patrizia per rappresentare la propria solidarietà a coloro che le hanno ucciso il figlio?''. Lo scrivono in una lettera aperta Ilaria Cucchi, Lucia Uva e Domenica Ferrulli, tre donne che come Patrizia Moretti si stanno battendo da anni per avere verità e giustizia sulla morte di loro familiari mai usciti vivi da caserme e commissariati.
''Bravo il Sindaco – dicono in riferimento al primo cittadino di Ferrara, Tagliani - che interviene civilmente per porre termine ad una vera e propria violenza morale cui viene sottoposta quella madre coraggiosa ma terribilmente provata. Viene allontanato a male parole con atteggiamenti chiaramente intimidatori. Intollerabile. Incivile tutto ciò''. ''Patrizia, Donna con la D maiuscola - aggiungono -, prende la terribile foto del volto sfigurato di Federico dai colpi assassini inferti e la mostra ai poliziotti manifestanti ed alla gente disgustata da quanto stava accadendo sotto i loro occhi. Patrizia non riesce a trattenere le lacrime, ma i poliziotti di fronte a quella foto si girano. Le voltano le spalle. Patrizia li osserva, con rabbia, ferita. Noi chiediamo a gran voce: perché? Perché? Che senso ha tutto questo? Quali sono i motivi di questa ennesima violenza tipicamente maschile su quella madre? Forse perché è stata troppo forte nello sfidare tutto e tutti con il suo avvocato ed è riuscita per una volta a far emergere la verità? Questore, capo della polizia, ministro, possono non rendersi conto della violenza continuata e persistente di questi ripetuti atti di vera nuda e cruda provocazione? O ritengono anch'essi che sia il momento di fare capire a tutti che anche se si ottiene eccezionalmente giustizia, per i cittadini normali contro gli abusi di Stato non vi potrà mai essere pace? Questa lezione dovrebbe esser data anche per noi?''.

Intanto oggi sono moltissime le forze sociali, politiche e territoriali, i comitati e le associazioni che scenderanno in piazza a Ferrara per stringersi attorno a Patrizia Moretti e alla sua famiglia. L’appuntamento è in Piazza Savonarola, la stessa dove i "sindacalisti" del Coisp hanno realizzato la loro provocazione, a partire dalle ore 18. ''Venerdì ci riappropriamo di una piazza che è della città con un sit-in di solidarietà alla famiglia Aldrovandi, senza bandiere e striscioni. Con le nostre facce e la nostra dignità'' si legge nell'invito di convocazione dell’iniziativa.

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Il punto zero della politica italiana

Il "laboratorio degli orrori" italiano sta partorendo un nuovo mostro. Ancora non ha un nome, ma molti padri a madri. La paralisi prima del collasso della "seconda repubblica", nata storta e cresciuta gobba.
L'editoriale di Michele Ainis, ieri, sul Corriere della Sera, è un fermo immagine perfetto del cul de sac in cui è infilata da decenni "la politica" in Italia. Manca l'analisi dei processi - storici, economici, culturali e dunque anche politici - che hanno portato a questo punto. Ma il fatto è colto.

A noi conviene invece ripensare al prima e cercare di individuare "il dopo", perché solo degli stupidi cresciuti beatamente dentro l'eterno presente possono pensare di "governare il cambiamento" senza alcuna cognizione dei processi, ovvero quella semplice considerazione per cui quello che farai domani dipende da cosa hai fatto ieri e da come lo stai preparando oggi.
La fine della Seconda Repubblica è decisamente simile alla sua nascita: paralisi della vecchia classe politica, travolta dagli scandali e dalla "fine delle ideologie", discesa in campo della "società civile" (con nuove migliaia di affamati di potere e prebende al posto di quelli vecchi, ma almeno "professionali"), retorica del "merito" e della "tecnica" come sostituti dei progetti e delle concezioni del mondo, retorica del "paese" senza differenze sociali in luogo del conflitto sociale riconosciuto e regolato anche sul piano istituzionale.
Da questo punto di vista siamo fermi a venti anni fa. Stessi discorsi e stesse parole d'ordine, con un pizzico di novità solo per quanto riguarda le "tecniche" - appunto, visto che si sono evolute - per cui un imbecille qualsiasi può dire che si può mandare avanti un paese senza governo, tanto basta fare sondaggi su internet per approvare questo o quel provvedimento. Se pensate che la definizione di "un imbecille qualsiasi" sia troppo forte, chiedetevi semplicemente "chi" presenta i provvedimenti da mettere ai voti? "Chi" li elabora? Entro quale disegno generale, dentro quale strategia di sviluppo, ogni provvedimento è stato scritto?
Dire "i parlamentari" ovviamente non basta, perché in questo modo scompaiono del tutto i processi reali in base a cui determinate "esigenze" si trasformano in progetti di legge. E non serve neppure pensare alle potenti lobby che stazionano dentro e fuori le aule parlamentari per capire che nessun provvedimento di governo è mai neutrale, semplicemente "tecnico".
Tanto più in una situazione in cui gli unici vincoli ferrei posti all'azione del governo italiano - o greco, spagnolo, cipriota, ecc - sono quelli esterni. I trattati che sottraggono di fatto il controllo del bilancio pubblico al parlamento nazionale hanno anche svuotato "la politica" della sua funzione principale. Non a caso il trattato di Maastricht, che pone i primi vincoli che porteranno poi all'euro, coincide anche temporalmente con la dissoluzione dei partiti politici della Prima Repubblica.

E ora? La dissoluzione interna è evidente. Così tanto che persino chi, come il Corriere della Sera, l'aveva in vario modo caldeggiata e accompagnata (da qui vengono i primi e più famosi libellisti contro "la casta", poi sorpassati dai grillismi) ora ne è spaventato.
Solo i "vincoli esterni" tengono, solo le indicazioni della Troika sono "programma di governo". E, in effetti, per eseguire piattamente un compito assegnato altrove, non c'è un gran bisogno di avere un classe politica autorevole, esperta, progettante e lungimirante. Bastano degli schiaccia bottoni.

O almeno questa è la tentazione. E qualcuno infatti propone di abolire anche i sindacati, in nome di un'idea di "cittadino" senza connotazioni sociali. Ovviamente è tutto molto più complicato, perché il conflitto sociale – fin qui tenuto a freno soltanto da una triade sindacale che aveva costruito se stessa come “cinghia di trasmissione” dei partiti di riferimento (Pci, Dc, Psi-Psdi, nella Prima Repubblica) – va gestito, sedato con misure attive, deviato anche sul piano ideologico, altrimenti sfugge di mano. E non bastano telecamere e droni... né consultazioni in rete.


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Il bersaglio immobile
Michele Ainis – Corriere.it

Ho fatto un sogno. Bersani torna al Colle (meglio tardi che mai) e ci torna a mani vuote. Senza un «sostegno parlamentare certo» al proprio tentativo, come gli aveva invece chiesto il presidente. Sicché quest’ultimo lo accompagna alla porta, sia pure con rammarico; e si prepara a sparare un secondo colpo di fucile. Subito, perché di gran consulti ne abbiamo visti troppi, e perché di tempo non ce n’è. Dunque Napolitano individua un nuovo vate, ma nel mio sogno pure lui incespica sui veti, pure lui torna al Quirinale senza voti.

Perciò arriviamo più o meno al 5 aprile, quando mancano quaranta giorni all’insediamento del prossimo capo dello Stato. Ma intanto il vecchio presidente non ha più cartucce da sparare, né tantomeno può usare l’arma atomica, lo scioglimento anticipato delle Camere. Non può perché è in semestre bianco; il colpo di grazia, semmai, spetterà al suo successore. E nel frattempo? Stallo totale, blocco senza vie di sblocco. I partiti si danno addosso l’uno all’altro, mentre i mercati infuriano, le cancellerie s’allertano, le imprese fuggono, i disoccupati crescono, le piazze rumoreggiano. L’Italia si trasforma in un bersaglio mobile (anzi no, immobile). Il mio sogno si trasforma in incubo.

No, quaranta giorni così non li possiamo proprio vivere. Sarebbe da pazzi, un suicidio nazionale. Ma sta di fatto che il seme della follia ha ormai attecchito nella nostra vita pubblica. Il Pdl accetta patti col Pd se quest’ultimo patteggia il Quirinale: lo scambio dei presidenti. A sua volta, Bersani inaugura una singolare forma di consultazioni: le consultazioni al singolare. Ossia con singoli individui (Saviano, Ciotti, De Rita), oltre che con il Club alpino e il Wwf. Nel frattempo il suo partito discetta sull’ineleggibilità di un uomo politico (Silvio Berlusconi) già eletto per sei volte. La minuscola pattuglia di Monti viene dilaniata da lotte intestine: la scissione dell’atomo. Il Movimento 5 Stelle disdegna tutti i partiti rappresentati in Parlamento: l’onanismo democratico. E per sovrapprezzo il ministro dimissionario d’un governo dimissionario (Terzi) si dimette in diretta tv: le dimissioni al cubo.

Come ci siamo ridotti in questa condizione? Quale dottor Stranamore ha brevettato il virus che ci sta contagiando? Perché il guaio non è più tanto d’essere un Paese acefalo, senza un governo sulla testa. No, la nostra disgrazia è d’aver perso la testa, letteralmente. Stiamo in guardia: come diceva Euripide, «quelli che Dio vuole distruggere, prima li fa impazzire». Eppure in Italia non mancano intelligenze né eccellenze. C’è un sentimento d’appartenenza nazionale che non vibra unicamente quando gioca la Nazionale. C’è una domanda di governo che sale da tutti i cittadini. E a leggere i programmi dei partiti, i punti di consenso superano di gran lunga quelli di dissenso, come la legge sul conflitto d’interessi: sicché basterebbe lasciarla in quarantena per un altro po’ di tempo, in fondo la aspettiamo da vent’anni.

Una cosa, però, dovrebbe essere chiara. Se fallisce il governo dei partiti (quello incarnato da Bersani), c’è spazio solo per un governo del presidente, votato in Parlamento ma sostenuto dall’autorità di Giorgio Napolitano. Anche se quest’ultimo a breve lascerà il suo incarico, anche a costo di sperimentare l’ennesima anomalia istituzionale: il governo dell’ex presidente.

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28/03/2013

Giocala


Pezzo di ottimo spessore.
Grande dedica osso!

La vendetta di Marx: come la lotta di classe plasma il mondo

Non tutto è condivisibile nell’articolo pubblicato il 25 marzo dal settimanale Time. Ma è assai significativo che un illustre magazine internazionale scriva esplicitamente che “Marx aveva ragione”.

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Karl Marx avrebbe dovuto essere morto e sepolto. Con il crollo dell'Unione Sovietica e con il “grande balzo in avanti” della Cina nel capitalismo, il comunismo è finito a fare da sfondo in un film di James Bond o in un mantra deviante di Kim Jong Un. Il conflitto di classe che Marx credeva determinato nel corso della storia, sembra svanire nell’era della prosperità del libero mercato e delle liberalizzazioni delle imprese. Il potere della globalizzazione, che lega l’angolo piu remoto della terra alla finanza e la produzione senza frontiere offre a tutti ampie opportunità di diventare ricchi. L’Asia negli ultimi decenni ha ottenuto risultati sorprendenti nell’alleviamento della povertà, i più soprendenti forse nella storia dell’umanità, tutto grazie al capitalismo e agli investimenti stranieri. Il capitalismo sembrava tener fede alla sua promessa - quella di migliorare il livelli di vita e di welfare.

O almeno così si pensava. Con l'economia mondiale che si trova in una crisi senza precedenti che i lavoratori di tutto il mondo stanno pagando con disoccupazione, debiti crescenti e redditi stagnanti, in altre parole ciò che Marx criticava del sistema capitalista (che il sistema è sostanzialmente ingiusto e autodistruttivo). Marx teorizzava che il sistema capitalista avrebbe inevitabilmente impoverito le masse e che la ricchezza
si sarebbe concentrata nelle mani di pochi potenti, e che questo avrebbe portato a crisi economiche e all’inasprimento del conflitto tra ricchi e classi lavoratrici.

“L’accumulazione della ricchezza per alcuni, provoca allo stesso modo accumulazione di miseria, agonia di fatica, schiavitù, ignoranza, brutalità per altri” ha scritto Marx.

Oggi molti fatti sembrano dimostrare che Marx potrebbe aver avuto ragione. E' purtroppo fin troppo facile trovare statistiche che mostrano che i ricchi diventano sempre più ricchi mentre la classe media e povera non vive alcun miglioramento della propria condizione. Uno studio pubblicato lo scorso settembre dal Economic Policy Institute (EPI) di Washington ha osservato che il reddito medio annuo di un lavoratore a tempo pieno, (lavoratore di sesso maschile negli Stati Uniti nel 2011), è di 48.202 $, meno rispetto al 1973. Tra il 1983 e il 2010, sempre secondo l’EPI, il 74% dei guadagni in termini di ricchezza negli Stati Uniti è andato al 5% più ricco, mentre il 60% ha subito un calo. Non c'è da stupirsi se qualcuno ha ripensato per un attimo al filosofo del 19°secolo. In Cina, Yu Rongjun è stato ispirato dagli eventi del mondo per scrivere un musical basato sul classico di Marx, Das Kapital. "È possibile trovare molte corrispondenze tra la realtà e ciò che è descritto nel libro", ha detto il drammaturgo.

Questo non vuol dire che la tesi di Marx era del tutto corretta. La "dittatura del proletariato" non ha funzionato come previsto. Ma la conseguenza di questa disuguaglianza è proprio quello che Marx aveva predetto: la lotta di classe è tornata. La rabbia dei lavoratori di tutto il mondo sta crescendo, e sono sempre più i lavoratori che richiedono la loro giusta parte nell’economia globale. Eventi politici ed economici sono stati caratterizzati ultimamente da crescenti tensioni tra capitale e lavoro in misura mai vista nemmeno durante le rivoluzioni comuniste del 20° secolo. Può questa lotta influenzare la direzione della politica economica globale, il futuro dello stato sociale, la stabilità politica in Cina, e in tutti i governi da Washington a Roma? Che cosa dire di Marx oggi? "Alcune variazioni di: 'Te l'avevo detto", afferma Richard Wolff, un economista marxista alla New School di New York. "La differenza di reddito è la produzione di un livello di tensione che non ho mai visto in vita mia."

Le tensioni tra le classi economiche negli Stati Uniti sono chiaramente in aumento. La società è stata percepita come divisa tra il "99%" (la gente normale, che lotta per tirare avanti) e "l'1%" (i super-ricchi e privilegiati). In un sondaggio del Pew Research Center pubblicato lo scorso anno, i due terzi degli intervistati ritiene che gli Stati Uniti soffrano di "forte" o "molto forte" tenore del conflitto tra ricchi e poveri, e il 19% ritiene che questo sia il principale problema della società.

Il conflitto domina la politica americana. La battaglia partigiana su come correggere il deficit di bilancio della nazione è stata, in larga misura, un'espressione di lotta di classe. Ogni qualvolta il presidente Barack Obama parla di aumentare le tasse ai più ricchi americani per ridurre il disavanzo di bilancio, i conservatori denunciano che sta lanciando una "guerra di classe" contro i ricchi. Ma i repubblicani sono impegnati in una lotta di classe che sta dalla loro parte! Il piano del GOP per la salute fiscale fissa efficacemente l'onere dell'aggiustamento sulle spalle delle classi economiche più povere attraverso i tagli ai servizi sociali. Obama ha basato gran parte della sua campagna per la rielezione nel dire che i repubblicani sono insensibili alle classi lavoratrici. Mitt Romney, aveva solo un punto nel suo piano di governo per l'economia degli Stati Uniti - "per fare in modo che la gente in alto sia governata da un altro set di regole”.

Ci sono segnali che questo nuovo classismo americano abbia spostato il dibattito della politica economica della nazione. David Madland, direttore del Center for American Progress, con sede a Washington, ritiene che la campagna presidenziale 2012 abbia portato ad una rinnovata attenzione sulla ricostruzione della classe media, e la ricerca di un ordine del giorno diverso per raggiungere tale obiettivo. "L'intero modo di pensare l'economia è in fase di stravolgimento", dice. "Sento un cambiamento fondamentale in corso."

La ferocia della nuova lotta di classe è ancora più marcata in Francia. Lo scorso maggio, quando la crisi finanziaria e i tagli al bilancio hanno reso il divario ricchi-poveri più netto, è stato eletto François Hollande, che una volta aveva proclamato: " Non mi piacciono i ricchi". Lui si è dimostrato fedele alla sua parola. Punto chiave per la sua vittoria è stato l’impegno di tassare di più i ricchi per mantenere lo stato sociale della Francia. Per evitare il taglio drastico della spesa, altri politici in Europa hanno stabilito di chiudere il deficit di bilancio, mentre Hollande ha pianificato di aumentare il prelievo sul reddito fino al 75%. Anche se questa idea è stata bocciata dal Consiglio Costituzionale, Hollande sta tentando di introdurre una misura simile. Allo stesso tempo però, ha usato la decisione impopolare del suo predecessore per aumentare l’età pensionabile, portandola a 60 anni per alcuni lavoratori. Molti in Francia vorrebbero che Hollande andasse ancora oltre. “la proposta sulle tasse di Hollande deve essere il primo passo di un governo che sa che il capitalismo nella sua attuale forma è diventato decisamente non funzionale e rischia di implodere senza profonde riforme” ha dichiarato Charlotte Boulanger, responsabile dello sviluppo delle ONG.

Le sue tattiche, tuttavia, stanno scatenando la reazione dalla classe capitalista. Mao Zedong avrebbe insistito sul fatto che "il potere politico nasce dalla canna del fucile", ma in un mondo dove il Capitale è sempre più mobile, le armi della lotta di classe sono cambiate. Piuttosto che destituire Hollande, alcuni ricchi della Francia stanno abbandonando il Paese – facendo quindi mancare il lavoro e gli investimenti. Jean-Emile Rosenblum, fondatore di Pixmania.com, sta trasferendo la sua attività negli Stati Uniti, dove il clima per gli affari è molto più favorevole. "L’aumento del conflitto di classe è una conseguenza normale di una crisi economica, ma il suo sfruttamento politico è demagogico e discriminatorio", dice Rosenblum. "Piuttosto che investire sugli imprenditori che creano aziende e posti di lavoro di cui abbiamo bisogno, la Francia li sta mandando via dal Paese”.

Il divario tra ricchi e poveri è forse più “volatile” in Cina. Ironia della sorte, Obama e il presidente appena eletto della Cina comunista, Xi Jinping, affrontano la stessa sfida. L’intensificazione della lotta di classe non è solo un fenomeno alla crescita lenta e indebitata del mondo industrializzato. Anche in Paesi in rapida espansione economica la tensione tra ricchi e poveri sta diventando una preoccupazione primaria per i politici. Contrariamente a quanto molti americani ed europei credono, la Cina non è un paradiso dei lavoratori. La "ciotola di riso di ferro" - la pratica di Mao per garantire posti di lavoro stabili – è sfiorita con il maoismo, e durante il periodo delle riforme, i lavoratori hanno avuto pochi diritti. Anche se il reddito salariale in Cina sta crescendo notevolmente, il divario tra ricchi e poveri è estremamente ampio. Un altro studio del Pew ha rivelato che quasi la metà dei cinesi intervistati considera il divario tra ricchi e poveri un problema molto grave, mentre 8 su 10 sono d'accordo sull'affermazione che i "ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri".

Il risentimento sta raggiungendo livelli altissimi nelle città-fabbrica cinesi. "La gente da fuori vede la nostra vita come molto altruista, ma la vera vita in fabbrica è molto diversa", dice l’operaio Peng Ming nella zona industriale a sud di Shenzhen. Di fronte a turni di lavoro massacranti, aumento del costo della vita, dirigenti indifferenti e spesso pagamenti del salario in ritardo, i lavoratori stanno iniziando a suonare come vero proletariato. "Il modo in cui i ricchi diventano tali si regge sullo sfruttamento del lavoro” afferma Guan Guohau, un altro dipendente della fabbrica di Shenzhen. Se il governo continua così "i lavoratori si organizzeranno" prevede Peng. "Tutti i lavoratori devono essere uniti."

Questo di fatto sta già accadendo. Gli esperti dicono infatti che il livello di conflittualità in Cina è in aumento. Una nuova generazione di operai - meglio informati rispetto ai loro genitori, grazie a Internet - è diventato più esplicito nelle sue richieste di migliori salari e migliori condizioni di lavoro. Finora, la risposta del governo è stata ambigua. I politici hanno aumentato il salario minimo per aumentare i redditi, inasprito le leggi sul lavoro per dare ai lavoratori una maggiore protezione e, in alcuni casi, ha permesso loro di scioperare. Ma il governo attacca ancora l’attivismo indipendente dei lavoratori, spesso con la forza. “Il governo pensa molto più alle aziende che a noi” dice Guan. Se Xi non riformerà l’economia così che i benefici dei cinesi siano maggiormente a favore dei cinesi, la tensione sociale rischierà di aumentare.

Marx avrebbe potuto prevedere un tale esito. Non appena il proletariato si sveglia e si unisce sui suoi interessi di classe comuni, il sistema capitalistico ingiusto rischia di essere abbattuto e sostituito con una nuova e socialista forma di governo. I comunisti dichiarano apertamente che i loro fini “possono essere raggiunti solo con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente", scriveva Marx. "I proletari non hanno nulla da perdere che le loro catene." Ci sono segnali che indicano che i lavoratori del mondo sono sempre più impazienti. Decine di migliaia sono scesi per le strade di città come Madrid e Atene, protestando contro la disoccupazione e le misure di austerità che stanno rendendo le cose sempre più difficili.
a rivoluzione di Marx , però, deve ancora concretizzarsi. I lavoratori possono avere problemi comuni, ma non sono organizzati insieme per risolverli. Il tasso di appartenenza alle Unions (sindacati, ndr) negli Stati Uniti, per esempio, ha continuato a diminuire durante la crisi economica, mentre il movimento Occupy Wall Street sembra svanito. I manifestanti, dice Jacques Rancière, un esperto di marxismo presso l'Università di Parigi, non mirano a sostituire il capitalismo, come Marx aveva previsto, ma soltanto a riformarlo. "Non stiamo vedendo le classi che protestano chiedere un rovesciamento o la distruzione dei sistemi socio-economici in atto", spiega. "Quello che il conflitto di classe esprime oggi è la richiesta di riformare il sistema in modo che diventi più sostenibile per il lungo periodo, ridistribuendo la ricchezza creata."

Nonostante questi sforzi, tuttavia, l'attuale politica economica continua ad alimentare tensioni di classe. In Cina, gli alti funzionari hanno detto a parole che avrebbero ridotto il divario di reddito ma in pratica hanno schivato le riforme (lotta alla corruzione, la liberalizzazione del settore finanziario). Il debito che appesantisce i governi in Europa ha prodotto la riduzione dei programmi di assistenza anche se la disoccupazione è aumentata e la crescita si è fermata. Nella maggior parte dei casi, la soluzione scelta per riparare ai danni del capitalismo è stato più capitalismo. I politici a Roma, Madrid e Atene sono sotto pressione da parte degli obbligazionisti per smantellare la tutela dei lavoratori e poi deregolamentare i mercati nazionali. Owen Jones, l'autore britannico parla così della demonizzazione della classe operaia, e la chiama "una guerra di classe dall'alto".

L'emergere di un mercato del lavoro globale ha prodotto sindacati in tutto il mondo sviluppato. La sinistra politica, trascinata a destra dall’assalto di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, non ha messo a punto nessuna alternativa credibile. "Praticamente tutti i partiti progressisti o di sinistra hanno contribuito ad un certo punto alla crescita dei mercati finanziari, e alla distruzione dei sistemi di welfare, al fine di dimostrare che erano in grado di fare riforme" osserva Rancière. "Direi che le prospettive dei socialisti al governo e non solo riguardano oggi molto più la riconfigurazione, e molto meno il ribaltamento, del sistema capitalistico."

Questo lascia aperta la possibilità che non solo Marx avesse diagnosticato i difetti del capitalismo, ma che ne avesse previsto anche l'esito. Se i politici non troveranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche, i lavoratori di tutto il mondo si uniranno presto. Marx può ancora avere la sua vendetta.

di  Michael Schuman - Time

Traduzione a cura della Redazione di Contropiano

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Grillo, Bersani, Napolitano e il gioco delle parti

Il governo non c'è ancora e fra gli elettori e i cittadini si fa fatica a capire la situazione. La faccia buona e propositiva di Bersani cerca di lasciare il cerino in mano a Grillo che rimanda al mittente con tanto di offese. Berlusconi, invece, cerca di aggrapparsi al governo per evitare una Craxi strategy. In verità stiamo assistendo solo ad un gioco delle parti, ad un copione che ognuno deve recitare per evitare di essere danneggiato in vista delle prossime elezioni.

Il post elezioni sembra la fotocopia della campagna elettorale. Si continua a girare intorno ai problemi senza affrontarli e continuando a recitare un copione buono solo per eludere la realtà: la casta, gli 8 punti di Bersani, i processi di Berlusconi, il corvo Renzi e le manovre per l'elezione del Presidente della Repubblica. Non che siano argomenti da poco, visto che la massima carica dello stato e il governo sono elementi istituzionali prioritari per il funzionamento del sistema per cui il 75% degli aventi diritto ha votato, ma non rappresentano il centro della questione.

Come abbiamo scritto nell'editoriale di ieri in Italia il governo servirebbe solo per innescare il pilota automatico (come lo ha definito Draghi) cioè un governo, anche debole, che pensi solo a ratificare quello che è già deciso, quindi un governo di ordinaria amministrazione di regole e decisioni già prese altrove e verso cui l'Italia si è già impegnata. Stop. Questa è la democrazia per i poteri burocratico-finanziari europei e questo è quello per cui un governo è chiamato ad operare.

Se abbiamo chiaro questo quadro, e finché non è chiaro è inutile parlare d'altro, possiamo ora analizzare cosa sta succedendo fra le forze politiche in ballo in queste consultazioni per formare il governo.

Molti elettori del M5S si stanno scagliando contro Grillo e i capigruppo a camera e senato per la loro chiusura a priori verso un "governo di scopo" come proposto da Bersani. In particolare parliamo di quelle persone ex elettrici di Prodi, Pd, Di Pietro o sinistra varia che hanno votato Grillo con la speranza di un affossamento definitivo della vecchia classe dirigente e con la speranza della definitiva cancellazione di Berlusconi e che in questo momento sono frastornati. Temono le nuove elezioni, vorrebbero bastonare il can (Berlusconi) che affoga e vorrebbero realizzare quel sogno che da anni indirizza il loro voto: tirare il centrosinistra per la giacchetta e condizionarlo.

Per questo le reazioni, anche offensive, di Grillo verso gli 8 punti proposti da Bersani hanno fatto crollare sogni e certezze inseguite da una vita. La caccia a Grillo è quindi iniziata a partire dai suoi stessi elettori e rinfocolata dagli elettori di centrosinistra che sotto la spinta del Gruppo l'Espresso individuano ora Grillo come il colpevole di tutto e il traditore che non vuole affossare Berlusconi e dare un governo al paese in questo momento di crisi.

Ma perché Grillo e il Movimento 5 Stelle hanno scelto questa linea di chiusura oltre che di interlocuzione aggressiva verso Bersani?

La risposta è semplice. Grillo e Bersani stanno giocando un'amichevole estiva, cioè stanno cercando di recitare un ruolo che non danneggi il proprio movimento o partito per il futuro. Quindi Bersani non può fare il governo con il PdL e Grillo non può fare il governo con Bersani. Ne andrebbe della stessa essenza del proprio motivo di esistere.

A Grillo, quindi, non rimane altro che continuare la cantilena contro la casta perché non ha ancora deciso cosa fare rispetto all'Europa. Nella retorica di Grillo infatti sono scomparsi gli attacchi a banche, istituzioni europee, Fiscal Compact, Fondo Monetario internazionale e perfino anche la Germania. In una situazione internazionale del genere sa bene che è meglio non urtare agenzie di rating e Bce. Ma sa anche che fare un governo con il Pd sarebbe un suicidio politico anche perché, forse molti non lo sanno e nessuno lo dice, a fine primavera ci sarà da votare una finanziaria aggiuntiva. E chi la voterebbe un'altra finanziaria lacrime e sangue? I grillini dopo un mese che sono in parlamento? Mica sono scemi!

Forse qualcuno non ricorda che nel 2012 Monti, Bersani ed Alfano hanno firmato parecchie cambiali in bianco con l'Europa che impegnano il paese in un solco, allo stato dei fatti, già tracciato (Fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione, spending review). Grillo sa bene che se non si modifica questo solco, il paese si può governare solo con l'austerità e la mannaia.

Bersani invece gioca per mettere con le spalle al muro il Movimento 5 Stelle, dimostrando che non è affidabile e non sa governare. Ha proposto 8 punti rispetto ai quali i governi di cui ha fatto parte, hanno sempre agito al contrario. E Bersani sa bene che queste sono amichevoli estive in cui si gioca per far conoscere la squadra al pubblico e per prepararsi alle partite vere.

Quando inizierà la partita vera? Inizierà quando uscirà il nome che farà a breve Napolitano. Su quel nome si spenderanno tavoli e strategie alle quali parteciperà anche Monti, finora defilato, per dare un governo al paese.

Quindi diamo un consiglio a tutti coloro che si infervorano sui social network, nei circoli, nei bar, sui treni o sul sito di Beppe Grillo e che vorrebbero il governo M5S-PD-SEL: sappiate che vi state logorando il fegato per una partita amichevole, per di più estiva, in cui tutti i giocatori in campo sanno che il risultato non conta. Come si suol dire, sono chiacchiere sotto l'ombrellone.

per Senza Soste, Franco Marino - 28 marzo 2013
 
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27/03/2013

Vita spericolata


Com'era diversa l'Italia 30 anni fa, ma soprattutto com'era diversa la percezione degli artisti rispetto alla vita.
Lo scollamento odierno non era forse nemmeno pensabile in quegli anni.

L'etica tedesca e lo spirito dell'euro

Una lettura - davvero molto interessante - della "crisi di Cipro" e del ruolo della Germania. Nonché degli imbrogli e delle incomprensioni generati dal "buttare in etica" una campagna elettorale...

Quando le elezioni politiche tedesche si saranno finalmente svolte in settembre finirà la piùlunga campagna elettorale del dopoguerra, che dura da non meno di tre anni.
Tra i molti mali che questa lunghissima campagna avrà scatenato bisognerà contare, forse al primo posto, il ritorno massiccio della morale in politica. Pareva che la riunificazione tedesca, tanto caparbiamente voluta e preparata in silenzio da uomini poco interessati alla ribalta, come il ministro degli esteri Genscher e persino il Cancelliere Kohl, fosse da citarsi come il trionfo della realpolitik, basata su una apparenza di motivazioni ideologiche e nei fatti ben ancorata agli interessi elettorali di Kohl e alla necessità di espansione dell’industria tedesca.

Al contrario, il costo enorme dell’annessione dei sette laender orientali, sebbene sopportato anche dai paesi dell’Unione Europea, che acconsentirono che l’operazione di annessione fosse finanziata come se si trattasse dell’entrata nella Ue di uno stato sovrano, fu accettato in  silenzio dagli altri stati membri. Ma la gran parte della ricostruzione della Germania Est per portarla agli standard dell’altra Germania, distruggendone allo stesso tempo l’industria con un tasso di cambio proibitivo, l’hanno dovuta finanziare i cittadini della Germania Ovest con le loro tasse.

La mancanza di trasparenza della gigantesca operazione ha ispirato nei tedeschi dei laender occidentali il desiderio di non farsi imporre, in futuro, altri simili salassi, un rigetto di quella che hanno percepito come una carità obbligatoria, che credono sia costata loro molto cara. Da allora si sono mostrati fortemente restii a finanziare altri salvataggi, ancor meno trasparenti e  comprensibili, coi loro soldi, senza neppure l’alibi dell’aiuto a fratelli separati e oppressi per decenni.

Proprio allora invece è iniziata la fase di turbolenza del sistema economico e finanziario internazionale, ed è stato necessario che la Germania, paese centro dell’Europa, mentre espugnava tutti i mercati europei con una politica di neo mercantilismo aperto,  comprendesse, come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, che ad essa si richiedeva di fare una politica di espansionismo proiettata verso l’esterno, guardando ai propri interessi di lungo periodo. Essa doveva avere come caratteristica principale la capacità di finanziare la domanda dei paesi periferici dell’Europa.

Ma è proprio quel che una buona parte dei tedeschi si rifiuta di fare, aizzata da partiti politici che invitano i cittadini a non vedere la trave nei propri occhi ma a concentrarsi sulle traveggole degli occhi dei vicini. Parlamento, giornali popolari e altri mezzi di comunicazione, per non parlare della ineffabile corte costituzionale di Karlsruhe, si sono dati a un’orgia di moralismo nei confronti dei debitori dei tedeschi.

Motivi ai quali appigliarsi ce ne sono, a iosa. Basta guardare ai costi della politica in Italia e agli episodi assai numerosi di illegalità e immoralità pubblica dell’Europa periferica. Agli sprechi di opere pubbliche costosissime e inutili, alla incapacità di portare le proprie industrie a livelli più elevati di ricerca e innovazione.

Quel che manda letteralmente in bestia i cittadini tedeschi, inoltre, è il ritorno dell’immagine della dominazione nazista che la celebrazione della virtù germanica, tradotta in severità nei confronti dei debitori, ha suscitato nei paesi debitori. Ogni dimostrazione popolare contro  l’austerità si trasforma così in esibizione di quell’armamentario lugubre, che richiama un passato che i tedeschi credevano essersi messi alle spalle e che invece è tornato a dannarli nell’Europa periferica.

Essi non sembrano ricordare quando i debitori, nel secondo dopoguerra, erano loro e il creditore lo zio Sam, che andava infestando del proprio imperialismo il mondo intero, suscitando le pubbliche rivolte dei giovani di Berlino e del resto della Germania. Il tempo delle bandiere a stelle e strisce bruciate è tramontato e le bandiere da bruciare a Atene, Roma o Madrid sono — ahimè — quelle della Repubblica Federale.

“Dopo tutto quel che vi stiamo dando”, ormai apertamente dicono i tedeschi sui loro giornali, “ci trattate così”. D’altronde, la riconoscenza e la carità cristiana non fanno parte della dottrina di Lutero. Non erano state parte nemmeno dell’atteggiamento del neo creditore americano dopo  la prima guerra mondiale, quando Coolidge si rifiutò di cancellare i debiti inglesi, (“ma il denaro lo avevano preso a prestito, no?”), inducendo una reazione a catena che, dalle dichiarazioni morali passò al nazionalismo intraeuropeo, giungendo alla catastrofe della crisi  internazionale, dell’ascesa di un folle al timone di uno dei più sviluppati paesi del mondo, e alla catastrofe della seconda guerra mondiale.

Ora che le Tesi di Lutero sembrano tornare di moda, i tedeschi fanno marciare il nostro continente verso la disunione e l’abisso. L’ultimo episodio insegna di nuovo. Quel che a Cipro  bisognava fare in silenzio e velocemente, e preferibilmente prima che l’esplosione si verificasse, la campagna elettorale tedesca ha voluto che si discutesse come se a quel punto ci fosse, per l’Europa, una vera scelta alternativa rispetto al salvataggio delle banche cipriote.

Quasi nessun interesse hanno destato in Germania le rivelazioni dello Spiegel, che le banche russe erano sì le prime creditrici delle banche dell’isola dove nacque Venere, ma che subito dopo, anche se a debita distanza, venivano i sette miliardi di euro di depositi accumulati dalle banche tedesche in quelle cipriote.

A complicare ancora le cose viene poi una inedita dimensione di revival della guerra fredda. La supposta debolezza della Russia, e la aggressività dei suoi finanzieri e oligarchi, ha suscitato una sorta di rivolta morale dei cittadini tedeschi, aizzati dai propri media e dalla bassa cucina elettorale dei maggiori partiti. L’idea di far pagare lo scotto ai russi, tassando i depositi di grande dimensione nelle banche cipriote, punendo l’illegalità e magari anche il riciclaggio di denaro criminale, è quindi balenata alle menti tedesche, travestita da necessità di esigere dai ciprioti (solo adesso) il rispetto della legalità comunitaria.

Ma questa battaglia altamente morale in superficie, che trascura il ruolo delle banche tedesche nella vicenda e la sua vera essenza, di volgare realpolitik, è un giocare col fuoco, perché risveglia il dormiente nazionalismo russo, rinfocola quello tedesco, antirusso, assai più e assai prima che antisovietico, e dà agli astuti anche se deboli governanti ciprioti spazio per imbastire pericolose quanto velleitarie operazioni di arbitraggio nei confronti dell’Europa.

Ognuno sembra vedere solo la propria politica interna e tende a usare i rapporti con le altre nazioni come se non si trattasse di una corda sottile, che può facilmente spezzarsi e dare inizio, in Europa, a una nuova epoca grifagna di sacri egoismi, travestita di panni altamente morali. È triste vedere di nuovo gli uomini politici usare termini ipocriti, che non si erano più sentiti da decenni. Ai giovani, che non possono ricordare come andò a finire la prima volta, si propongono idee stantie, il cui puzzo di muffa dovrebbe rendere prudenti gli apprendisti stregoni che credono di usarle a loro vantaggio, in contese elettorali e di potere mal travestite da battaglie ideali.

da Repubblica

Fonte

26/03/2013

La storia


L'autunno è ahime passato, la primavera è fredda e piovosa... l'estate arriverà?

La storia siamo noi, popolo di personaggi che pensano al ribasso, senza volontà di cambiare ma solo di conservare lo status quo acquisito...

...spero che la mia generazione sia diversa da quelle che ci hanno preceduto... mi guardo intorno e mi viene solo da chiudere gli occhi e riprovarci.

Dijsselbloem, il tecnocrate "troppo intelligente"

Le borse ieri sono crollate dopo aver aperto trionfanti, sull'onda del “salvataggio” di Cipro. Ovvero delle sue banche, seppur svuotate dei conti correnti più ricchi (quasi sempre intitolati a russi evasori fiscali) e smembrate (con ondate di licenziamenti in arrivo).

Poi improvvisamente il vento è girato e hanno cominciato a scendere precipitosamente, a velocità direttamente proporzionale allo stato di salute delle economie e dei conti pubblici nazionali.

Come mai?

Gran parte del merito – quasi tutto – va al nuovo presidente dell'Eurogruppo, Jeroem Dijsselbloem, giovane, rampante, strafottente, fotogenico, pieno di sé quanto (probabilmente) di specchi nella sua casa. Il giovane, nell'illustrare i risultati e le misure del “salvataggio” delle banche cipriote, ci ha tenuto a spiegare che questa ristrutturazione dolorosa rappresenta “un modello per risolvere i problemi delle banche di altri paesi europei”. Non pago – o non consapevole – del panico che stava scatenando, ha proseguito la sua dotta dissertazione buttando lì anche la metodologia seguita. «Quello che abbiamo fatto la scorsa notte è buttare indietro il rischio. Se ci sono rischi in una banca la nostra prima questione é: ok, cosa farete voi della banca per risolvere questo? Cosa potete fare per ricapitalizzarvi da soli? Se la banca non può farlo, allora parleremo con gli azionisti e gli obbligazionisti e chiederemo loro di contribuire a ricapitalizzare la banca e, se necessario, ci rivolgeremo ai titolari di depositi non assicurati».

Difficile definire “parlare” una comunicazione da Bruxelles che dice “i vostri soldi da questo momento sono nostri”; ma non stiamo qui a discutere di semantica.

Il problema vero è “il modello per le banche europee in difficoltà”. Se questa procedura, invece di essere un improbabile “caso unico”, diventa la “cura normale” in caso di crisi bancaria, allora non c'è più alcuna banca europea dove i soldi possono stare al sicuro. O meglio: le banche dei paesi Piigs sono sicuramente a rischio immediato, quelle dei paesi forti sono per il momento più sicure (a lungo andare si vedrà).

Nelle stesse ore, il portavoce del governo cipriota, Christos Stilianides, parlando alla radio statale annunciava che il prelievo sui depositi di oltre 100mila euro esistenti nella Bank of Cyprus, la maggiore banca dell'isola, sarà di circa il 30%, punto più punto meno. Zot!, spariti.

Cosa fareste voi, se aveste abbastanza soldi da superare la soglia garantita dei 100.000 euro e poteste cambiare quando volete banca e paese? Semplice: portereste immediatamente i soldi da un'altra parte. In banche tedesche, finlandesi o olandesi. Guarda caso il paese di Dijsselbloem. Ma vi consiglieremmo di stare molto attenti. Poche settimane fa, mentre era già stato indicato come nuovo capo dell'Eurogruppo ma ancora esercitava le funzioni di ministro delle finanze dei tulipani, Dijsselpbloem ha “salvato” la Sns Bank – privata – azzerando il valore delle obbligazioni emesse. Un “esperimento casalingo”, anche se parziale, di quanto sta ora proponendo all'Europa intera.

La reazione dei “mercati” è stata all'altezza dell'idiozia sparata dal giovin vanesio. Orde di capitali hanno cominciato a cambiare indirizzo, facendo scendere le quotazioni azionarie e risalire lo spread dei titoli di Stato italiani, spagnoli, portoghesi, francesi, ecc. Molti speculatori avranno ringraziato, altri si saranno fatti male, ma tutti avranno affisso un avviso sul proprio tavolo: l'Europa non è più un posto sicuro.

Tempo due ore e il giovane Dijsselbloem è stato rispedito davanti alle telecamere con molti sorrisi in meno a spiegare che invece «Cipro è un caso specifico con sfide eccezionali che richiede le misure di salvataggio "interne" decise ieri. I programmi di consolidamento macroeconomici sono disegnati su situazioni specifiche e non esistono modelli o schemi fissi».

Una marcia indietro così berlusconiana da renderci incerti sul sentimento da provare: orgoglio perché non siamo solo noi italiani a esprimere gente di quel livello oppure una vergogna più profonda per il fatto che stiamo ormai contagiando tutta Europa?

In ogni caso, restiamo sui tecnocrati della Troika. Alcuni lettori hanno espresso dubbi sulla definizione di “idioti” con cui abbiamo qualificato i decisori delle ricette anti-crisi degli ultimi tre anni. In fondo si tratta pur sempre di laureati in università prestigiose, ecc.

Però, giudicate un po' voi. Se il capo dell'Eurogruppo se ne esce dicendo che il “modello cipriota” è in realtà il modello europeo del futuro, è un genio incompreso oppure uno che non ha compreso l'importanza sistemica del proprio ruolo? In alternativa si può pensare che in realtà Dijsselbloem sapeva perfettamente quel che diceva, soltanto che stava appunto consigliando ai “mercati” di evitare le banche dei paesi in difficoltà e di portare i soldi in quelle del Nord Europa. Ma è difficile considerare “intelligente” anche questa ipotesi, perché è chiarissimo per chiunque che – se le cose stanno così – l'Unione Europea e soprattutto la sua moneta sono destinate a chiudere i battenti nel giro di pochissimo tempo. Nessuno può infatti pretendere che ci siano paesi “sacche di sangue” a disposizione di qualche dracula di passaggio.

Quindi ci sembra il caso di confermare in pieno la nostra definizione.

Fonte

Dopo aver sentito alcuni stralci delle dichiarazioni della Fornero nello spettacolo di Crozza di venerdì scorso, non mi stupisco più di nulla.
L'unica cosa che non spiego è la faccia da culo di sta gente? Ma nemmeno vagamente riescono a pensare che magari quando tutto sarà a catafascio qualcuno pretenderà le loro teste?