Il 27 febbraio 1989 iniziò nel municipio
di Guarenas, a 30 chilometri da Caracas, una rivolta popolare che
sarebbe stato il punto di partenza di un cambiamento di ciclo politico,
economico e sociale in Venezuela e, per estensione, in buona parte
dell’America Latina, che si è prolungato fino ad oggi.
Febbraio 1989
Tre
settimane prima, il 4 febbraio 1989, aveva preso possesso della
Presidenza della Repubblica del Venezuela Carlos Andrés Pérez
(conosciuto come CAP), candidato del partito socialdemocratico Azione
Democratica, membro dell’Internazionale Socialista, organizzazione della
quale CAP era vicepresidente.
Dopo
un precedente periodo presidenziale (1974-1979) caratterizzato da
politiche nazionalizzatrici, da opere pubbliche e programmi sociali, CAP
disponeva di una solida reputazione politica di democratico e
terzomondista. D’altro canto, con un’inflazione annuale del 29,5% nel
1988 ci si attendeva un “pacchetto economico”, che il candidato aveva
già annunciato, anche se non in maniera concreta, con il nome di
“Programa Nueva Venezuela”, basato su un prestito condizionato del Fondo
Monetario Internazionale (FMI) di 4 miliardi e mezzo di dollari. Pérez
fece in modo di divulgare il ragionamento secondo cui ogni nuovo
prestito futuro del FMI dipendeva dall’accettazione delle condizioni del
primo. La “Venezuela saudita” dei felici anni ‘70 doveva cedere il
passo a una Venezuela indebitata, tutelata dalle istituzioni economiche
del sistema capitalista mondiale.
Il
programma dettagliato si conobbe presto, nella sua presentazione per
televisione di fronte all’aspettativa popolare: il prestito era
subordinato all’abbandono delle sovvenzioni al debole settore
industriale, alla privatizzazione delle imprese pubbliche, una seconda
svalutazione del bolívar e una liberalizzazione dei prezzi, in
particolare quelli dei combustibili. Si trattava quindi di una resa
totale del Paese di fronte alle condizioni del FMI. Impoverire la
maggioranza per accedere a crediti che avrebbe dovuto trovare senza
problemi data la sua condizione di grande esportatore di petrolio.
Doveva accelerare il suo indebitamento e un impoverimento della
popolazione che si prolungava già da più di un decennio.
Inoltre
la riduzione automatica del potere d’acquisto dei salariati, l’aumento
dei prezzi del combustibile ebbe ripercussioni immediate in particolare
nei prezzi del trasporto pubblico: gli autobus non esitarono ad
aumentare le loro tariffe quello stesso giorno perfino del 200%. Si
trattava del mezzo di trasporto che utilizzava l’immensa maggioranza
della popolazione.
Era quindi un
aggiustamento strutturale duro e puro, come altri che sarebbero stati
imposti nella regione alla fine degli anni ’80 e agli inizi degli anni
’90 del XX secolo. Che si verificava per di più in un contesto di
proteste e scioperi, tra cui quelli del personale della scuola –230.000
persone in sciopero permanente– e di forti mobilitazioni studentesche.
Il
27 febbraio il rifiuto di massa dei lavoratori di pagare il biglietto
dell’autobus con le nuove tariffe triplicate dette il segnale d’inizio
della rivolta di Guarenas, che in poco tempo si allargò alla capitale.
Gli scontri con la polizia –che presentava anch’essa le sue proprie
rivendicazioni– cominciano quello stesso giorno, così come gli attacchi
ai negozi i cui proprietari avevano raddoppiato e triplicato i prezzi
dei loro prodotti in parallelo all’aumento del prezzo del trasporto
pubblico.
In un Paese con un’assenza
quasi totale di reti di protezione sociale, un tasso di povertà intorno
all’80% –58% di povertà estrema–, e nel quale le entrate del petrolio
erano captate interamente dalle élites economiche e sociali, le misure
proposte attaccavano direttamente e immediatamente le condizioni di vita
dell’immensa maggioranza, deteriorando ancor di più il livello di vita.
Il 28 febbraio fu “il Giorno in cui scesero i cerros”,
secondo un’espressione di Rafael Rivas-Vázquez: si paralizzò la vita
nella capitale e la rivolta assunse proporzioni nuove. Nonostante i
tentativi della maggioranza dei media di presentare i manifestanti come
orde di delinquenti, l’atteggiamento di questi fu abbastanza selettivo:
in generale vennero rispettate le farmacie, i dispensari e gli ospedali,
le scuole, ecc., e i saccheggi si accentrarono sulle attività
commerciali di beni di consumo che avevano aumentato i prezzi, così come
sulle banche e sui posti di polizia. Ma la copertura mediatica,
specialmente da parte delle grandi catene generaliste della televisione,
si orientò fin dal primo momento a fomentare la paura della
popolazione, presentando la rivolta come una minaccia generale per la
pace ed esigendo un intervento di forza.
Marzo 1989
In
quella stessa giornata del 28, il governo di CAP lanciò il Piano Ávila,
un insieme di misure di emergenza cucinato nelle ultime ore del 27 nel
palazzo di Miraflores tra il Governo, le autorità militari e i partiti
di opposizione.
Per mettere in atto
la repressione, il Governo decretò la sospensione delle garanzie
costituzionali e l’introduzione della legge marziale, carta bianca che
rese possibile l’uso della forza militare contro la popolazione civile e
una repressione particolarmente dura, specialmente nei cerros,
quartieri poveri della periferia della capitale e delle città dove si
verificò la sollevazione (Maracay, La Guaira, Barquisimeto, Mérida, e
altre). La rivolta non poté essere controllata che dopo quattro giorni
di massacri da parte dell’esercito. Il Governo avrebbe ammesso in
seguito cifre ufficiali di morti di 276 persone ma successive stime
indipendenti parlano di una cifra molto più alta e credibile, intorno a
3.000 vittime 1
. Il numero totale non si saprà mai, tra l’altro perché l’esercito si
occupò di far scomparire centinaia di cadaveri in fosse comuni scavate
in tutta fretta.
Il Piano Ávila
rappresentò la militarizzazione della risposta alla crisi, e contò sul
nulla osta degli uomini forti delle istituzioni capitaliste
internazionali presenti nel Governo, tra i quali Moisés Naím, noto
opinionista di El País, in quel momento ministro dello Sviluppo
del gabinetto di CAP ed ex direttore esecutivo della Banca Mondiale,
membro del Forum Economico Mondiale, consigliere di agenzie degli Stati
Uniti, come il National Endowment for Democracy , ecc.
Attualmente la sua incessante attività di divulkgazione della buona
nuova neoliberista è valsa a questo grande guru della destra neocon
ispanoamericana un posto di rilievo nei principali media della galassia
propagandistica del sistema, in particolare quelli legati al gruppo
Prysa, Globovisión, NTN24, ecc. Per questo, il suo sito web 2
cancella opportunamente qualcuna delle sue impronte nella strage
venezuelana e lo “libera” dalla sua presenza nel Governo nel febbraio
del 1989. Ma altre fonti confermano che è stato membro del gabinetto di
CAP fin dal 2 de febbraio, cioè dall’insediamento di questo, e partecipe
diretto nell’applicazione delle misure di aggiustamento neoliberista,
niente meno che dal suo posto di ministro dello Sviluppo, e la sua
responsabilità nella successiva repressione come membro del Governo.
I
precedenti presidenti venezuelani (Luis Herrera Campins, Jaime
Lusinchi) avevano già attuato alcune misure di taglio delle spese
sociali e svalutazione. Ma è CAP che opta, su richiesta del FMI, per
introdurre un aggiustamento duro e puro, confidando sul suo proprio
prestigio personale e sull’appoggio delle istituzioni internazionali.
Inoltre, lo farà introducendo tutte le misure –tagli al bilancio,
privatizzazioni, aumento dei prezzi, riduzione dei salari– in un colpo
solo, anziché scaglionare l’imposizione di misure chiaramente
impopolari come gli raccomandavano alcuni membri del suo Gabinetto, per
esempio Teodoro Petkoff, ex guerrigliero convertito al neoliberismo e
uomo forte in materia economica con diversi governi dell’epoca, che
sosteneva un “programma graduale, equilibrato ed equitativo”.
Febbraio 1992
Con
lo scatenamento delle forze militari contro la popolazione e con
l’erronea successiva imposizione delle misure del suo programma sarebbe
apparsa palese la debolezza istituzionale non solo dello stesso
presidente ma anche del regime politico predominante nel Paese a partire
dal 1958, sorto dall’accordo conosciuto come “Pacto de Punto Fijo” 3 –la Quarta Repubblica– che stabiliva una spartizione del potere tra i due partiti maggioritari: Acción Democrática (gli adecos, socialdemocratici) e Copei (copeyanos , democristiani).
Lo
Stato venezuelano creato nel 1958 –la Quarta Repubblica– era l’ambito
arbitrale di distribuzione delle rendite da petrolio tra le classi e i
gruppi dominanti. Questo era il suo oggetto principale e la sua ragion
d’essere. Negli anni dell’aumento dei prezzi del petrolio, il modello
funzionò, ma gli avvenimenti del 1989 (“caracazo”, malcontento e
indignazione popolare) e le pretese degli organismi internazionali, il
FMI in particolare, portarono in breve tempo all’esaurimento del regime “puntofijista”.
L’epilogo sarebbe arrivato con l’imputazione di Pérez, accusato di
corruzione su grande scala, che sarebbe fuggito dal Paese e morto in
esilio perseguito dalla giustizia venezuelana.
Dall’altra
parte il 4 febbraio del 1992, il colonello Hugo Chávez Frías e altri
ufficiali misero in atto un tentativo di espellere il presidente Pérez e
prendere il potere con la forza, con una sollevazione militare che
fallì a Caracas. Tuttavia la divulgazione del video di un minuto di
durata 4
nel quale Hugo Chávez si assumeva la responsabilità dei fatti fece
conoscere l’esistenza di un movimento militare “bolivariano” in sintonia
con la sensibilità e le richieste delle maggioranze popolari
venezuelane che godeva di grande popolarità.
Dopo
due anni di prigione, Hugo Chávez organizzò un movimento finalizzato ad
arrivare al potere e creare un regime di tipo nuovo definito
“bolivariano”. Lo strumento politico per ottenere questo risultato fu
l’MVR (Movimiento Quinta República). Nel 1998 le elezioni cacciarono
dalla prima linea della scena politica i due partiti la cui turnazione
al potere aveva dominato gli ultimi quattro decenni. Con l’elezione di
Hugo Chávez Frías alla presidenza della Repubblica, e soprattutto con la
successiva Costituzione Bolivariana, si pose fine al regime instaurato
nel 1958 alla caduta del dittatore Marcos Pérez Giménez, e si dette
inizio a un processo socioeconomico di tipo nuovo.
Insieme
a processi paralleli successivi in Brasile, Bolivia, Ecuador e
Argentina, i cambiamenti radicali iniziati dai primi anni ‘90 dal regime
bolivariano del Venezuela hanno comportato un deciso cambio di rotta
nell’orientamento politico del subcontinente: maggior rappresentatività e
partecipazione delle classi popolari; maggior indipendenza degli Stati
di fronte alle potenze economiche e politiche dominanti; creazione di
istituzioni internazionali indipendenti (Unasur, CELAC, etc.) 5,
maggior giustizia sociale all’interno dei loro Paesi: riduzione
drastica della povertà e della povertà estrema, accesso alla sanità alla
casa, all’educazione; miglioramenti in tutti gli indicatori di
benessere ed equità sociale (indici educativi, indice Gini, speranza di
vita, ecc.) 6
NOTE
2
“Prima di dedicarsi all’analisi e al giornalismo, Naím lavorò nel
settore pubblico e nell’insegnamento: fu ministro dell’Industria e
Commercio del Venezuela agli inizi degli anni ‘90, direttore della Banca
Centrale del Venezuela e direttore esecutivo della Banca Mondiale”. http://www.moisesnaim.com/es/about_moises_naim
6 Ignacio Ramonet: “Dal 1999, 80 milioni di persone sono uscite dalla povertà in America Latina” http://www.aporrea.org/internacionales/n205138.html
Traduzione per Senzasoste Andrea Grillo, 27.2.2013
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