Sarà che le mie prospettive si sono clamorosamente ristrette nell'ultimo decennio, ma ora l'approccio con album che mi fanno scappare di testa è divenuto più sporadico mal al contempo (paradossalmente) carico di un'intensità che nemmeno le pene d'amore sanno eguagliare.
A sto giro capita con una delle tante uscite che il fornicatore mi sta facendo conoscere da quando i suoi orizzonti si sono orientati verso il mondo dell'hardcore/punk.
Come intuibile dalla copertina qui sopra, trattasi di una delle tante collaborazioni intrattenuto da Jello Biafra successivamente al suo divorzio dai Dead Kennedys. Ad accompagnarlo in questa occasione ci sono i canadesi D.O.A, pezzi da 90 della biografia hardcore insieme a gente come Bad Brains e Minor Threat - Osso se scrivo cazzate correggimi gentilmente -.
Il disco, che si potrebbe definire un EP data l'esigua quantità di pezzi che contiene, appena 29 minuti di musica, è una dose letale di critica sociale tratteggiata con satira e cattiveria magistrale da Biafra e sostenuta da composizioni granitiche, trascinanti e cariche di groove capaci di far saltare sulla sedia anche i palati avvezzi ai suoni più incisivi. In questo senso è assolutamente sbalorditiva la produzione che conferisce una compattezza alla sezione ritmica dei D.O.A che, mentre l'ascolti, ti porta a domandarti perché anche tu non hai preso in mano un basso o una chitarra come ha fatto sta gente al posto di marcire nel pidocchioso posto di lavoro - se ce l'hai - in cui porti il tuo culo ogni mattina.
Qui siano davanti a veramente tanta, ma proprio tanta roba (!) che però non è per tutti, e non lo scrivo perché sono imbottito della spocchia di chi pensa d'aver capito tutto, ma perché basta gettare un occhio ai titoli dei pezzi e magari perdere tempo a leggere e comprendere le liriche, per rendersi conto che questo è materiale per gente genuinamente contro il sistema, contro lo stile di vita americano, contro il razzismo, contro la politica imperialista occidentale, contro il mito del cazzo della classe media che ha sguazzato stupidamente in un benessere costruito sulle pelle di milioni di derelitti verso cui stiamo deragliando tutti.
Per questi motivi (e per una costruzione sonora che da lezioni d'estremo a tutti) il brano più significativo del disco è la traccia di chiusura, Full Metal Jackoff, che ho già avuto modo d'esaltare su queste pagine.
In chiusura mi prendo la libertà di condividere con voi il momento di giubilo personale che è scattato quando ho sentito la partenza di We gotta get out of this place originariamente degli Animals. Esaltazione quasi commossa per uno dei pezzi che preferisco tra la produzione rock anni '60 e che qui viene interpretata come meglio non si potrebbe sia a livello sonoro - il basso è un orgasmo - sia vocale con un Biafra eccellente soprattutto in apertura.
Non so che altro aggiungere se non che questo è uno dei prodotti migliori dell'America migliore.
Considerato il nefasto avvenimento di cronaca odierna, dedico l'ennesimo ascolto di quest'album al defunto Chávez, sicuro che apprezzerebbe.
Mi permetto di fare le pulci (cit.):
RispondiEliminaHai scritto in modo errato dead kennedyEs.
E poi, che cazzo, Osso va maiuscolo!
Per il resto ghè semmu. Volevo solamente ricordare la grandezza di Jello, vero animale da palcoscenico, unico nel saper interpretare i pezzi in modo a dir poco magistrale. Chapeu!
Mortacci, ora correggo! La citazione però non l'ho capita.
EliminaSu Jello direi che sono d'accordo, anche i Dead Kennedys saranno da approfondire nel prossimo futuro.