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31/05/2020

"Limitless" (2011) di Neil Burger - Minirece


Plebiscito

di Alessandra Daniele

E Ponzio Pilato chiese alla folla
– Volete socialismo o barbarie?

E la folla rispose
– Socialismo!

Pilato sgranò gli occhi. Poi si schiarì la voce, e ripetè
– Volete socialismo o barbarie? – Marcando le B.

La folla rispose ancora
– Socialismo!

Ponzio Pilato diede un’occhiata sbieca alla piazza. Poi disse
– Questo assembramento è illegale. È contrario alle norme di igiene pubblica – fece un cenno ai suoi soldati – Sfoltire!

Roteando le spade, i soldati cacciarono via metà degli astanti.

La folla si diradò.

– Volete socialismo o barbarie? – Chiese ancora Pilato.
– Socialismo.

Pilato fece un gesto brusco,  i soldati cacciarono un’altra metà degli astanti.

La piazza restò semivuota.

– Socialismo o barbarie?
– Socialismo – risposero tutti i rimanenti, tranne uno.

Pilato li fece trascinare via.

Restato di fronte ad un solo popolano, chiese di nuovo
– Volete socialismo o barbarie?

– Barbarie! – Scandì l’uomo.

Ponzio Pilato allargò le braccia

– Sia fatta la volontà del popolo. Io me ne lavo le mani. Tra l’altro è una norma igienica indispensabile.

Fonte

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Il dopo Covid 19 richiede un modello economico alternativo al capitalismo



È stata un grande successo l’iniziativa del Cestes, centro studi dell’Unione Sindacale di Base (USB), che si è tenuta ieri. Il convegno, dal titolo “Ruolo dell’economia pubblica e nuova questione operaia”, ha lanciato importanti proposte per far fronte alla crisi attuale – innescata ma non prodotta dal nuovo coronovirus – che rischia di aumentare le disuguaglianze e le nuove povertà.

Al convegno hanno partecipato docenti universitari, ricercatori, sindacalisti dell’USB, ma anche operai e lavoratori che stanno vivendo la crisi sulla loro pelle. Inoltre, ha partecipato il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, che ha tenuto la relazione finale.

Confrontandosi con gli studiosi e i lavoratori, Tridico ha accolto la necessità di un diverso paradigma, nonostante abbia difeso l’intervento attuale dello Stato dinanzi alla crisi pandemica. “Negli ultimi decenni abbiamo osservato una compressione della quota salari e un aumento della diseguaglianza”. Una crisi come questa, richiede delle riflessioni importanti, ha spiegato Tridico, come quella sulla riduzione dell’orario di lavoro.

Roberto Montanari, dell’USB (logistica), ha aperto e coordinato il dibattito, sottolineando come il sistema liberista abbia fallito, mostrando la propria fragilità. I temi dell’intervento pubblico nell’economia e la salvaguardia dei valori socio-eco-sostenibili, con il richiamo al progetto dell’Alba Euro Afro Mediterranea, sono stati i filo conduttori del convegno. “Una Nuova IRI e le nazionalizzazioni, sia degli asset strategici sia del sistema bancario”, ne hanno altresì riguardato la parte programmatica.

Molto importanti sono state le testimonianze dei lavoratori, che hanno riportato le vertenze e i terreni di lotta e trasformazione in cui sono impegnati. Sasha Colautti, dell’USB (industria), ha affrontato la questioni sindacali, cui è impegnato, in particolare quelle inerenti il settore siderurgico, “uno dei settori industriali per eccellenza”. “Tutti i beni che riguardano i cittadini, che sono fondamentali, devo essere pubblici”, ha spiegato Colautti, il quale segue la vertenza ILVA/ArcelorMittal.

“Le multinazionali hanno l’obiettivo di vedersi garantita qualsiasi immunità”, mettendosi al di sopra del diritto e dello Stato. Per rilanciare l’economia nazionale, ha aggiunto Colautti, è fondamentale, inoltre, la riconversione ecologica e ambientale, uscendo dal falso conflitto tra “salute e lavoro”. Temi quanto mai attuali, durante questa pandemia.

Un’altra testimonianza raccolta è quella di Francesco Staccioli, dell’USB (lavoro privato), che ha riportato l’esperienza della vertenza Alitalia. Staccioli ha illustrato le perversioni del trasporto aereo, determinato dall’ideologia del cosiddetto “libero mercato”. Anche in questo caso, solo grazie all’intervento dello stato, tramite un Nuovo IRI e la nazionalizzazione, sarà possibile la ripresa del settore aereo. “Si tratta di risorse dei cittadini e della collettività che non possono servire a ingrassare i privati”, ma devono avere dei risvolti sociali. “Come lavoratori, abbiamo incarnato la rottura di questo schema perdente”.

Rita Martufi, direttrice del Cestes, ha sottolineato come siamo davanti ad un “vuoto di democrazia”, causato dalle politiche imposte all’Unione Europea dalle grandi corporation. Infatti, ha spiegato la studiosa, “il fallimento delle politiche neoliberiste portate avanti dalle classi dominanti europee per conto dei grandi agglomerati economici transnazionali risulta più che mai evidente con l’esplosione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19”.

“Queste politiche”, inoltre, “hanno avuto come risultato la disintegrazione degli apparati industriali e del tessuto sociale di diverse economie europee, tra queste anche l’Italia”.

Secondo Martufi, “la recessione economica è già in atto” e non può che “deteriorare le condizioni di vita dei lavoratori”. Difatti, ci troviamo di fronte ad un “sistema asimmetrico e contraddittorio”, che ha portato allo “svuotamento del sistema sanitario pubblico” tramite i continui tagli in favore del privato. Inoltre, ha spiegato la studiosa, è da rilevare come il virus sia diffuso maggiormente nelle grandi aree industriali del paese.

Questo elemento dimostra come, anche in questo caso, si sia perseguita la logica del profitto ad ogni costo. Come non sottolineare, ha ribadito Martufi, che “l’Italia investe in armi ma non in salute”, continuando a partecipare a missioni militari all’estero e investendo in armamenti costosissimi. Secondo Martufi, “la crisi sanitaria sta aggravando le diseguaglianze” e “lo stato si piega dinanzi le pretese della classe dominante”, elargendo concessioni in “tempo record”, “mentre milioni di famiglie di lavoratori sono lasciate sole”.

Il sistema sanitario italiano, inoltre, tende ad avvicinarsi a quello degli altri paesi europei, ha sottolineato la studiosa, in cui i cittadini sono coperti da polizze assicurative “o da un sussidio mutualistico sanitario”.

Le privatizzazioni imposte dall’Unione Europea, inoltre, “in ossequio ai dettami del neoliberismo”, hanno portato a un ritiro dello Stato dall’economia, impoverendo le classi subalterne. Secondo Martufi, dunque, “è necessaria una rottura della gabbia imposta dall’UE”.

L’alta tassazione salariale è data, non tanto dalla ricerca di investimenti nel settore produttivo, ma dall’impossibilità per lo Stato di fare cassa in altro modo. Per uscire da questi paradigmi, ha concluso Martufi, è “necessario nazionalizzare i settori strategici della produzione”. Questa crisi pandemica, infatti, ha certificato il fallimento del sistema industriale italiano, che è stato massacrato e depauperato.

Dopo aver fatto il punto sulla situazione, i relatori hanno spiegato come questa iniziativa sia nata per indicare delle soluzioni in grado di invertire la rotta, proponendo un cambiamento di paradigma in favore dell’intervento dello Stato in economia.

Un nome che è tornato negli interventi è stato quello dell’indimenticato economista Federico Caffè, definito “un riformista radicale” da Mario Tiberi, professore universitario di Economia Politica alla Sapienza e uno degli interpreti più autorevoli del grande economista. Pertanto, Tiberi ha rilevato come Caffè fosse “portatore di una concezione riformista, i cui punti fermi sono stati: una politica economica che non escluda, tra l’altro, i condizionatori delle scelte individuali; che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza, che si riassumono abitualmente nell’espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all’intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica”.

Tiberi ha ricordato come “Caffè, più degli altri, ha saputo tenere ferma la direzione di marcia, anche quando, a partire dagli anni '80, il travolgente successo del neoliberismo, almeno per quanto riguardava il contributo degli economisti, riproponeva una data concezione apologetica dell’istituzione ‘mercato’, che”, in realtà, “l’opera di grandi studiosi, nonché l’esperienza storica, avevano, secondo lui, definitivamente ridimensionato se non liquidato”.

L’economista e direttore scientifico del Cestes, Luciano Vasapollo, ha fatto un ricco intervento in cui ha elencato importanti punti programmatici. Innanzitutto, lo studioso e docente alla Sapienza si è chiesto retoricamente se “ai tavoli per il costituendo processo post coronavirus stiano davvero parlando di programma e non di poltrone?”.

Con il pensiero rivolto a chi vive lo sfruttamento, “ogni giorno direttamente sulla propria pelle con lacrime e sangue”, Vasapollo ha relazionato una “proposta minima” di controtendenza. Come primo elemento, è essenziale “costruire un’area monetaria tra paesi con configurazioni produttive strutturali più omogenee”, che rappresenta un elemento dirimente “per raggiungere l’autonomia politica richiesta da un progetto di costruzione di democrazia partecipativa socialista, anche in una fase di transizione possibile”.

Questa alternativa è possibile, ha spiegato Vasapollo, sebbene richieda “la coniugazione immediata di un percorso tattico rivendicativo interno alle lotte e al conflitto sociale con la prospettiva strategica del superamento, in chiave socialista, del modo di produzione capitalista”.

Inoltre, Vasapollo, ha parlato di un “Programma Economico Sociale di Controtendenza”, in cui siano inserite, in maniera qualificata, le richieste dei lavoratori “e dei loro rappresentanti, ma anche dei cittadini e delle loro organizzazioni”.

Si tratta, attraverso questo programma, “di distribuire l’accumulazione valoriale a chi l’ha creata e a chi è stato impedito di entrare in un mondo del lavoro a pieno salario e pieni diritti”.

Come primo punto, Vasapollo propone la creazione di una “moneta comune, ovvero il SUCRE MEDITERRANEO”, la quale deve essere “associata ad una politica di piena occupazione e con produzioni solidali e eco-socio-sostenibili”.

Secondo lo studioso, questa moneta rappresenta “un’alternativa per paesi che, vista l’esperienza della semi periferia Euro-mediterranea, chiedono immediatamente di non essere parte del gioco di quella trappola che presuppone l’utilizzo politico-monetario dell’Euro per tutti i paesi con una base produttiva dipendente e meno sofisticata tecnologicamente, che quindi per forza di cose sono sottomessi ad una necessità d’importazione massiccia di prodotti proveniente dai paesi più avanzati del centro e nord dell’Europolo”.

Come secondo punto di questo programma di controtendenza, Vasapollo ha individuato “la nazionalizzazione delle banche”, la quale costituisce “la parte più importante del processo generale per uscire dalla finanziarizzazione dell’economia globale”. Se si elude questo obiettivo, infatti, “continuerà il deterioramento della qualità della vita e del lavoro al sol fine di aumentare il tasso di profitto”.

Dunque, “rompere la logica del capitale finanziario significa nazionalizzare le decisioni d’investimento per favorire le attività socialmente utili, sottoposte a un criterio di rendimento sociale ed ecologico, che sono criteri di medio e lungo termine”.

Il terzo punto, cui Vasapollo fa riferimento, è “il controllo sociale degli investimenti” al fine di dinamicizzare l’attività produttiva, orientando il “credito in funzione di ottenere il massimo sviluppo dell’occupazione e dell’utilità sociale”. Queste funzioni sfuggono alla “banca privata che è orientata al criterio del massimo profitto a breve termine”.

Il quarto punto spiega come la nazionalizzazione delle banche “in una situazione di insolvenza e di dipendenza dall’aiuto pubblico” sia anche “un requisito per evitare la fuga dei capitali e per eliminare la drammatica e storica tradizione capitalistica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.

Un altro elemento importante, che costituisce il quinto punto, è senz’altro “la nazionalizzazione dei settori strategici delle comunicazioni, energia e trasporti”, che non solo potrebbero essere forniti ad un prezzo giusto, “ma allo stesso tempo potranno portare le risorse per realizzare una strategia di rilancio produttivo a breve termine che permetta di creare le condizioni affinché milioni di disoccupati nei paesi della periferia Europea mediterranea comincino a produrre ricchezza sociale nel minor tempo possibile”.

Infatti, ha spiegato Vasapollo, “questi settori strategici sono le attività produttive che stanno ottenendo maggiori benefici, come risultato della gestione delle risorse naturali non rinnovabili sulla base di una intensa socializzazione dei costi che non vengono imputati come costi interni (i costi di inquinamento, la distruzione di risorse naturali ecc.), o comunque tali settori stanno ottenendo forti risultati positivi perché stanno beneficiando della privatizzazione di reti di comunicazione e tecnologie, la maggior parte delle quali si sviluppano con risorse pubbliche”.

Inoltre, questo è il sesto punto illustrato da Vasapollo, “è assolutamente irrinunciabile invertire il flusso delle risorse, dal capitale verso lo Stato e la società, dalle rendite finanziarie verso i salari diretti e indiretti. Questo cambio radicale nella politica fiscale può stimolare le risorse necessarie in una prima fase per iniziare un vasto programma di rilancio economico e di miglioramento della qualità della vita. Bisogna capire questo nesso indissolubile fra mutamenti delle linee dello sviluppo e ruolo locale e centrale dell’industria pubblica e dell’economia pubblica in genere”.

Un altro tema (settimo punto) di cui ha parlato l’economista, è quello del cambiamento tecnologico “in un modello di sviluppo autodeterminato a compatibilità socio-ambientale”. Solo così, esso “può rappresentare un progresso tecnico e sociale” in quanto frutto “di una decisione collettiva dei lavoratori, maggioritaria, responsabile, aperta al dialogo, negoziata e contrattata”.

Invero, ha spiegato Vasapollo, questa “decisione si è lasciata sempre in mano degli imprenditori e del capitale”. “È importante”, al contrario, “il recupero tecnologico in settori per il nostro Paese tradizionali e lo sfruttamento della adattabilità alle esigenze ed alternative che si presentano di volta in volta, che sono possibili solo con un serio governo pianificato di indirizzo dello sviluppo che non può prescindere dal fondamentale ruolo pubblico nei servizi essenziali e nei settori strategici dell’economia”.

Secondo Vasapollo, è ineludibile (ottavo punto) “tassare finalmente nei modi diversi il capitale, fino a giungere anche alla tassazione dell’innovazione tecnologica, caricando gli stessi oneri gravanti sulla forza lavoro che va a sostituire, effettuare degli appropriati controlli attraverso un’anagrafe patrimoniale ed una efficiente anagrafe tributaria; tutto ciò significa far riappropriare i ceti meno abbienti della popolazione, i lavoratori, composti da occupati e non occupati, di quella ricchezza sociale da loro stessi prodotta e realizzata e che si è sostanziata nel tempo in quegli incrementi di produttività che sono andati fino ad oggi ad esclusivo vantaggio del capitale”.

Tutti questi elementi, hanno la prospettiva (nono punto) “di incanalare il risparmio verso investimenti produttivi, capaci di creare lavoro, di creare ricchezza non misurabile esclusivamente in termini di PIL, ma in termini di crescita di socialità, di ricchezza sociale ridistribuita pienamente al lavoro di civiltà e di umanità”, ha aggiunto Vasapollo.

Così facendo, si potrà, in effetti, rilanciare “il ruolo di uno Stato garante delle esigenze collettive e degli equilibri sociali, con controlli reali sull’evasione fiscale e con investimenti di tali entrate fiscali che pongano al centro gli interessi dei lavoratori e i bisogni socio-economici dei cittadini”.

Il decimo, e ultimo, punto, su cui Vasapollo ha rivolto l’attenzione, è quello di cui hanno bisogno le economie periferiche Europee “per uscire dall’attuale marasma”. Secondo l’eminente economista, si deve implementare una “politica di creazione massiccia di posti di lavoro a tempo indeterminato, a pieno salario e pieni diritti realizzato anche attraverso la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario”.

“Gli enormi bisogni sociali non soddisfatti (dalla casa, ai servizi e attenzioni per le persone a vario titolo non autosufficienti, i servizi sociali centrali e locali, dalla salute alla formazione all’educazione continua, ai servizi di gestione e cura dell’ecosistema ecc.)”, ha concluso Vasapollo, “possono essere coperti nel tempo con un programma sostenuto di formazione e creazione di posti di lavoro”. Affinché questi punti possano essere realizzati, ha infine detto lo studioso, “la politica deve dettare tempi e modalità dell’economia e non viceversa”.

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Afghanistan - Aria di vittoria talebana

“Noi vediamo la battaglia come un culto, se un fratello cade qualcuno camminerà nelle sue scarpe”. Parola di capo talebano e già non occorre altro. Perché in quest’affermazione rilasciata a un reporter del New York Times due mesi fa, quando i turbanti aspettavano la liberazione dei cinquemila miliziani concordata a Doha con Khalilzad, mentre Ghani gliela bloccava tanto per darsi il tono di quello che conta, c’è l’idea del presente afghano, coi marines che si ritirano e il governo fantoccio che crolla, come il regime filosovietico di Najimbullah dopo la partenza dell’Armata Rossa. Ripensando alle varie fasi della guerra che gli americani vogliono scrollarsi di dosso perché durarata più di quella vietnamita e per evitare fughe precipitose come a Saigon, l’attuale staff della Casa Bianca ha intrapreso un lungo percorso, durato quasi due anni, di patteggiamento col demone talebano. Sebbene nella storia afghana, passata e recente, nulla si può dare per scontato l’US Army lascerà la terra dell’Hindu-Kush, magari concordando di tenere tutte o alcune delle basi aeree strategiche, ma togliendo dalla capitale i propri uomini armati. Cosa alla quale i turbanti tengono di più perché con quelle partenze potranno dire d’aver liberato il Paese dagli occupanti, come accadde ai mujaheddin nel 1989. Una mossa strategica e propagandistica non da poco. Sono stati strategici gli studenti coranici, anche quando nel biennio 2010-2011 l’offensiva Nato è diventata più intensa con centomila militari americani sul terreno e un esercito locale portato a trecentomila unità. Che poi quest’ultimo fosse un bluff è uno dei fattori che spiega l’attuale situazione.

I taliban, già prima che morisse il leader carismatico mullah Omar, andavano a distinguere un potere centrale collocato nei territori delle Fata e a Quetta, da gruppi d’intervento locali che, pur fra gravi perdite continuavano a battagliare nelle varie province. Certo, non si facevano scrupoli, cercavano risorse in ogni modo, recuperando denaro dal mercato internazionale dell’oppio, contrabbandando armi strappate alle forniture statunitensi per l’esercito di Kabul. Diventando flessibili verso coloro che si davano a una sorta di part-time della guerriglia, giovani che conservavano un lavoro nei villaggi di provenienza (agricoltore, pastore, mercante) e partecipavano ad azioni armate. Soprattutto dopo la scomparsa di Omar è prevalsa una tendenza a favorire un network resistente decentralizzato che risolve problemi locali e offre credibilità al disegno politico generale. Questo svelano, ora che c’è aria di vittoria, alcuni leader talib e gli analisti annuiscono visto che alle cinquantamila unità effettive accreditate, sicuramente se ne possono aggiungere altrettante se non di più "ufficiose". Sono i giovani che le famiglie di molte province hanno offerto a una guerriglia passata negli ultimi cinque anni dall’apparire un contropotere al governo di Kabul all’essere il potere effettivo. Un potere che controlla il territorio, regola dispute, riscuote tasse, investe denaro per certi servizi anche minimi di sanità e scuola, cose che in periferia il governo promette e non mantiene.

E poi i denari di Ghani provengono dagli aiuti occidentali, su questo punto la propaganda talebana è spietata, sostenendo che quel denaro viene da coloro che sganciano le bombe sulla gente. Il combattentismo talebano sta sui social media, visitati dagli afghani tramite i cellulari, mostra operazioni repressive del governo di Kabul e dell’alleato americano, girate artigianalmente col telefonino dai propri miliziani e inserite in rete. Divulgando quei video parte la campagna per il reclutamento: unirsi agli insorti per difendere la vita dei civili. Alcuni filmati raccontano che mullah Akhundzada (l’attuale leader talebano) ha offerto suo figlio, kamikaze, per il Jihad, mentre i militari pro governativi inviano la prole a vivere e studiare all’estero. Propaganda sì, ma propaganda che paga. E se i negoziatori di Doha nei primi mesi tendevano a discutere coi comandanti ogni passaggio degli accordi per evitare dissidenze e ribellioni, ora Baradar, che ha guidato la delegazione al cospetto di Khalilzad, fa riflettere il braccio militare che se il movimento avesse puntato tutto sulla forza non ci sarebbe stato bisogno di patteggiare ogni parola con gli americani. Ora che il ritorno a Kabul degli sconfitti del 2001 sembra a portata di mano un nemico possono temere anch’essi: il caos. Quello che mise gli uni contro gli altri i Signori della guerra nel periodo della guerra civile. Avere un nemico unico rende tutto più semplice. Contrapporsi in fazioni concorrenti è la dannazione più frequente della guerriglia.

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Il virus di Trump. Covid-19 e rapporti internazionali

Indice

1. Due linee contrapposte. Il Covid-19 è un terreno di scontro tra progresso e reazione.

2. Il ruolo del sistema sanitario pubblico

3. Di fronte alla pandemia: cooperazione internazionale o “America first”?

4. Con la pandemia l’attacco USA alla Cina non arretra, ma si intensifica

5. L’attacco USA alla RPC: contingente o strutturale?

6. Europa teatro dell’attacco di Trump alla Cina

7. “Guerra fredda”, bipolarismo, unipolarismo, multipolarismo

8. Si apre una fase mondiale difficile e complessa


1. Due linee contrapposte. Il Covid-19 è un terreno di scontro tra progresso e reazione

È opinione comune che la pandemia, tuttora in corso, segni un punto di svolta nella storia mondiale, per cui si parlerà di un mondo prima e dopo il Covid-19. La pandemia ha aperto nel mondo una fase di crisi, che riveste caratteri generali, comuni a tutti i Paesi e si interseca con caratteri particolari propri di ciascun Paese. Come è stato per ogni crisi nella storia dell’umanità, anche questa crisi è aperta sostanzialmente verso due soluzioni antitetiche:

- Verso uno sbocco progressivo, che produrrà un importante passo avanti nel percorso storico dell’umanità, verso la realizzazione di quegli ideali di libertà, uguaglianza, solidarietà, sviluppo onnilaterale della persona umana (Marx) che furono alla base della rivoluzione francese del 1789 e poi delle rivoluzioni socialiste del XX secolo.

- Oppure uno sbocco regressivo, che bloccherà per una fase storica lo sviluppo umano, che costituirà un arretramento nelle istituzioni politiche, economiche, sociali, che produrrà maggiore disuguaglianza, maggiore povertà, maggiori ingiustizie sociali, accrescendo il pericolo di guerra.

Il Covid-19 è un terreno di scontro tra progresso e reazione.

Già nel corso di sviluppo della pandemia e della sua diffusione con ritmi, tempi, modalità ineguali nelle varie aree e Paesi del mondo e del contrasto ad essa, si sono manifestate due opposte tendenze:

- Da un lato, i governi che hanno preso seriamente gli ammonimenti e i consigli degli scienziati, dei medici, e hanno ritenuto che la misura più efficace e necessaria – per lo stato sinora raggiunto dalle conoscenze scientifiche in merito – era quella del blocco rigoroso dei contatti fisici tra le persone, adottando misure economicamente, oltre che socialmente e culturalmente, molto pesanti, di blocco (lockdown) delle attività, in modo da isolare il virus e togliergli la base fondamentale – gli esseri umani – in cui esso si mantiene in vita e si riproduce. Il primo Paese – il più popoloso al mondo – che ha adottato questa difficilissima scelta è stata la RPC, con le sue misure rigorosissime di contenimento del virus. Quando a fine gennaio sono arrivate le notizie sul blocco cinese, i commentatori di molti Paesi europei erano increduli e stupiti. Non sono mancate le solite frecciate anticinesi, che affermavano che solo un Paese dittatoriale poteva attuare misure simili[1]. Fermare le attività economiche e sociali della “fabbrica del mondo”, del Paese che più di ogni altro fornisce al mondo componenti intermedie e prodotti finiti, è stata una decisione tra le più difficili che i dirigenti della RPC hanno dovuto assumere. Ma il principio socialista che ispira la RPC ha spinto a porre la salute dell’uomo al primo posto, mettendo in conto che l’economia del Paese, un’economia che è tra l’altro pianificata – pur se in modo diverso da quella che era la pianificazione sovietica – avrebbe pesantemente sofferto del blocco.

- Dall’altro, leader politici e governi che, per evitare il blocco dell’economia, hanno preferito non ascoltare quanto la scienza medica mondiale diceva, hanno sminuito il pericolo di diffusione del virus, o si sono abbandonati a strane teorie senza fondamento scientifico, regredendo dal livello della scienza moderna – che segue il metodo galileiano – a quello di maghi, stregoni e ciarlatani, presentandosi essi stessi come inventori di ricette facili per vincere il virus. Il caso più clamoroso è stato quello del presidente USA Donald Trump, che consigliava di iniettarsi varichina per ammazzare il virus e ha costretto tutti i produttori e venditori americani di disinfettanti, oltre che le principali tv e media americani, a smentire e ad avvertire del pericolo mortale che un tale consiglio comportava[2]. Pur di non fermare la macchina economica del loro Paese i massimi rappresentanti delle maggiori potenze capitalistiche al mondo hanno stracciato la rivoluzione scientifica moderna, sono regrediti alla ciarlataneria e alla magia, hanno mostrato nei fatti quanto sia decaduta quella classe borghese che nella fase di ascesa nell’età moderna sposava la scienza e l’illuminismo come Marx ed Engels scrivono nelle pagine del Manifesto del 1848. In buona compagnia con Trump è anche il presidente brasiliano Bolsonaro, denunciato a inizi aprile dall’Associazione brasiliana dei giuristi per la democrazia (ABJD) per aver messo con le sue azioni “sostanzialmente in pericolo la salute fisica e il benessere della popolazione brasiliana, esponendola a un virus letale […] facendo eco a uomini d’affari senza scrupoli, si è ostinatamente rifiutato di adottare lo standard mondiale di lotta alla pandemia, il confinamento sociale. Così, il Brasile a causa delle azioni del presidente Bolsonaro cessa di partecipare alla strategia di appiattimento della curva di infezione. Piuttosto, cerca di espanderla. La condotta di Bolsonaro causerà inevitabilmente il collasso del sistema sanitario in Brasile”[3].

Nonostante i governi dei principali Paesi capitalistici occidentali avessero avuto il grande vantaggio di poter conoscere l’esperienza del blocco cinese e del suo successo nel contenere il virus – quando i primi focolai si accendono in Italia nella terza decade di febbraio, la diffusione del contagio in Cina è stata quasi completamente bloccata – essi si sono mostrati piuttosto incerti e oscillanti sul blocco. Il governo italiano comunque, dopo una fase di incertezza e di blocchi circoscritti ad alcune zone, ha deciso di adottare il blocco in tutto il Paese. Nel complesso, quasi tutti i Paesi europei adottano misure rigide di blocco, dopo una fase più o meno lunga di incertezze e tentennamenti dovuti al tentativo di limitare i danni economici del blocco delle attività.

I Paesi come gli USA di Trump e il Brasile di Bolsonaro che più hanno osteggiato il ricorso al blocco delle attività e al distanziamento fisico tra le persone, si trovano oggi con il maggior numero di contagiati e di morti.

Nell’affrontare il virus, quindi, si sono sostanzialmente manifestate due linee, due diverse concezioni del mondo. Una, che pone al primo posto il valore della vita umana e ha accettato la necessità di sacrificare l’economia; l’altra, che pone invece l’interesse economico al di sopra del valore della vita.

2. Il ruolo del sistema sanitario pubblico

Un secondo aspetto che divide i Paesi del mondo è dato non solo dalla scelta politica che ha orientato le decisioni di chiusura o meno, ma dal sistema sanitario e dal sistema politico complessivo del Paese. Sul contenimento del contagio, infatti, incide fortemente l’efficienza del sistema politico, la sua capacità di mettere effettivamente in atto le decisioni adottate, di far sì che esse siano attuate consapevolmente dalla popolazione. Ciò che si fa sotto coercizione funziona sempre molto meno di ciò che si fa come scelta consapevole: è questo che diversi commentatori occidentali non hanno compreso a proposito della Cina, che ha avuto successo nella lotta al Covid-19 perché i suo 1.400 milioni di abitanti hanno consapevolmente, disciplinatamente e attivamente seguito le indicazioni del PCC.

La causa del disastro sanitario in Lombardia – la regione italiana che ha avuto il più alto numero di infetti e di decessi[4] – va ricercata nell’abbandono dell’assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda: nel 1981 in Lombardia c’erano 530mila posti letto, oggi sono meno di 215mila, le Unità sanitarie locali (USL) erano 642, mentre nel 2017 solo 97. Questo depauperamento spiega la catena di errori che ha portato al disastro Covid-19. La rete territoriale che avrebbe dovuto farsi carico dei pazienti è stata smantellata, i pronto soccorso sono diventati luoghi di contagio anziché di prevenzione e gli ospedali travolti dall’arrivo di malati già gravi[5]. Un altro elemento di debolezza è stato il numero insufficiente di tamponi, la difficoltà di tracciare il contagio, quindi, un’insufficienza della struttura sanitaria di diagnosi.

L’elevato numero di morti in Lombardia e in Italia nel complesso mette a nudo le inefficienze e i deficit della sanità italiana, che pure aveva un servizio sanitario universale tra i più avanzati al mondo, istituito con la riforma del 1978, frutto delle lotte condotte dal movimento operaio nel corso del decennio (1968-78) in cui maggiormente è stato presente e attivo nella società italiana.

Anche qui il mondo si divide sulla base dell’efficienza del sistema sanitario pubblico. La situazione peggiore è negli USA, dove la sanità è essenzialmente privata e finalizzata al profitto capitalistico: qui i dati esistenti rivelano profonde disuguaglianze per razza, soprattutto per i neri americani. Al 19 maggio il tasso di mortalità complessivo legato al COVID-19 per i neri americani è 2,4 volte superiore a quello dei bianchi; in Arizona, il tasso di mortalità degli indigeni è più di 5 volte superiore a quello di tutti gli altri gruppi, mentre nel Nuovo Messico, il tasso supera 7 volte tutti gli altri gruppi[6].

Risulta chiaro che la sanità pubblica va potenziata dove esiste, o va interamente costruita. Il diritto universale alla salute non può essere garantito dall’impresa privata, ma solo dal settore pubblico, democraticamente diretto e governato dai rappresentanti dei cittadini. È fondamentale ampliare l’investimento di risorse pubbliche nel sistema sanitario e farmaceutico e delle attrezzature (in tutto ciò che riguarda la sanità). Il sistema capitalista non può curare effettivamente le pandemie, perché gli investimenti e la ricerca delle multinazionali sono motivati dalla tensione al massimo profitto e non dal fine della salute delle masse popolari[7]. Un Paese orientato al socialismo come la RPC, al contrario, non avrà difficoltà a potenziare ulteriormente il sistema sanitario in nome della priorità della salute dell’uomo.

Il modo in cui si avvierà nei diversi Paesi una riforma e potenziamento del servizio sanitario pubblico, che guarda alla salute come diritto universale di tutta la popolazione, segnerà una chiara linea di demarcazione tra i due possibili sbocchi alla crisi. La pandemia di Covid-19 ha trovato diversi Paesi impreparati. Se l’umanità non è cieca, sa che questa pandemia non sarà l’ultima e che occorre imparare la lezione. Significa potenziare la prevenzione e la medicina territoriale, i sistemi diagnostici e investire in ricerca.

3. Di fronte alla pandemia: cooperazione internazionale o “America first”?

Questa pandemia ha mostrato anche che occorre una forte cooperazione internazionale, concependo il diritto universale alla salute per tutta l’umanità dei cinque continenti. Anche qui sono emerse due linee contrapposte.

Da un lato, la tendenza a potenziare non solo il sistema sanitario e la ricerca nei singoli Paesi, ma a cooperare nella ricerca e produzione di farmaci di massa, vaccini, a livello mondiale; quindi, il potenziamento dell’OMS, la condivisione delle ricerche e delle conoscenze medico-scientifiche in tutto il mondo, la costruzione di una comunità di futuro condiviso per la salute a livello mondiale. Questa proposta è stata avanzata da Xi Jinping al G20 del 26 marzo:

Le malattie infettive gravi sono il nemico di tutti. […] In questo momento, è imperativo per la comunità internazionale rafforzare la fiducia, agire con unità e lavorare insieme a una risposta collettiva. Dobbiamo intensificare la cooperazione internazionale in modo globale e promuovere una maggiore sinergia affinché l’umanità possa vincere la battaglia contro una malattia infettiva così grave. […] propongo di convocare al più presto una riunione dei ministri della salute del G20 per migliorare la condivisione delle informazioni, rafforzare la cooperazione in materia di farmaci, vaccini e controllo delle epidemie, e bloccare le infezioni transfrontaliere. I membri del G20 devono aiutare congiuntamente i Paesi in via di sviluppo con deboli sistemi sanitari pubblici a migliorare la preparazione e la risposta. […] Guidata dalla visione di costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità, la Cina sarà più che pronta a condividere le nostre buone pratiche, a condurre ricerche e sviluppo comuni di farmaci e vaccini e a fornire assistenza laddove possibile ai Paesi colpiti dalla crescente epidemia. […] È imperativo che i Paesi mettano in comune le loro forze e accelerino la ricerca e lo sviluppo di farmaci, vaccini e capacità di test nella speranza di ottenere una svolta precoce a vantaggio di tutti[8].

E ancora, all’Assemblea mondiale della salute, il 18 maggio:

Dobbiamo sempre mettere le persone al primo posto, perché niente al mondo è più prezioso della vita delle persone. […] Dobbiamo intensificare la condivisione delle informazioni, scambiare esperienze e buone pratiche e perseguire la cooperazione internazionale sui metodi di sperimentazione, sul trattamento clinico e sulla ricerca e sviluppo di vaccini e medicine. […] La Cina invita la comunità internazionale ad aumentare il sostegno politico e finanziario all’OMS in modo da mobilitare risorse in tutto il mondo per sconfiggere il virus. […] dobbiamo fornire un maggiore sostegno all’Africa. I Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli africani, hanno sistemi sanitari pubblici più deboli. Aiutarli a costruire capacità deve essere la nostra massima priorità nella risposta al COVID-19. […] dobbiamo rafforzare la governance globale nel settore della salute pubblica. […] Alla luce delle debolezze e delle carenze esposte dal COVID-19, dobbiamo migliorare il sistema di governance per la sicurezza sanitaria pubblica. Dobbiamo rispondere più rapidamente alle emergenze sanitarie pubbliche e istituire centri di riserva globali e regionali di forniture antiepidemiche. […] L’umanità è una comunità con un futuro comune. La solidarietà e la cooperazione sono la nostra arma più potente per sconfiggere il virus[9].

Il presidente cinese parte da una concezione universalistica: si considera il benessere dell’umanità come un bene comune, al di là delle frontiere e degli ordinamenti degli stati. È una proposta semplice, di buon senso e al contempo grandiosa: condividere le conoscenze, cooperare nella ricerca di farmaci e vaccini, favorire la nascita di un sistema sanitario mondiale, creando reti di ricerca e di produzione mondiale di farmaci e attrezzature sanitarie, aiutando i Paesi meno avanzati. Quindi, nessun brevetto, nessuna proprietà su vaccini e farmaci contro le epidemie.

A questa concezione universalistica e progressiva, in direzione dell’unificazione del genere umano, esposta da Xi Jinping, si contrappone una visione gretta e meschina della ricerca medico-scientifica e della salute come monopolio privato, a fini di lucro o per il vantaggio esclusivo di un Paese a danno di altri. Anche qui Donald Trump rappresenta a pieno questa tendenza regressiva, come ha mostrato in più di un’occasione, cercando di ottenere l’esclusiva sui vaccini. Ci ha provato prima con la casa biofarmaceutica tedesca CureVac[10], poi con il gruppo farmaceutico francese Sanofi[11]. E attacca a più riprese l’OMS, accusata di “allarmante mancanza di indipendenza dalla Repubblica Popolare Cinese”[12], annunciando di sospendere i finanziamenti USA all’organizzazione (14 aprile) e minacciando con un ultimatum (18 maggio) di tagliarli definitivamente “se l’Organizzazione mondiale della sanità non si impegnerà a realizzare importanti miglioramenti sostanziali entro i prossimi 30 giorni”, per “dimostrare l’indipendenza dalla Cina”[13]. È illuminante e rivelatore della concezione che ha D. Trump degli organismi internazionali la conclusione della sua lettera:

Non posso permettere che il denaro dei contribuenti americani continui a finanziare un’organizzazione che, nel suo stato attuale, non è chiaramente al servizio degli interessi dell’America.

Ecco, il massimo rappresentante dell’imperialismo mondiale, colui che continuamente afferma “America first”, gli USA prima e al di sopra di ogni cosa, non riesce lontanamente a concepire la possibilità di una cooperazione finalizzata a salvaguardare la salute di tutti gli esseri umani e non dei soli statunitensi (che, tra l’altro, con la sua conduzione disastrosa dell’emergenza Covid-19, ha condannato a morte in numero maggiore rispetto a qualsiasi altro Paese al mondo). La concezione e la pratica politica del primato assoluto degli USA, che è propria di tutta la classe dominante statunitense – e non solo di Trump – è il principale ostacolo al percorso di emancipazione e progresso dei popoli del mondo e la principale minaccia alla pace.

4. Con la pandemia l’attacco USA alla Cina non arretra, ma si intensifica

Con l’incalzare della pandemia, che proprio dalla terza settimana di marzo comincia a diffondersi in misura esponenziale negli USA (il 27 marzo il numero dei contagi, sopra i 100.000, ha superato quelli della RPC), ci si poteva aspettare che l’appello del presidente cinese alla cooperazione internazionale sanitaria, espresso in modo chiaro e netto al G20 del 26 marzo, sarebbe stato accolto dal presidente USA; ma così non è stato. Anzi, assistiamo a un crescendo di attacchi sempre più duri alla RPC, di cui, nel momento in cui stendiamo queste note, non si vede la fine.

Dopo i primi attacchi all’OMS, accusata di essere “sinocentrica”[14], viene pubblicato il 17 aprile dal National Republican Senatorial Committee il Corona big book, una guida di 57 pagine per i candidati repubblicani, che indica come fulcro della campagna elettorale l’attacco alla RPC e al PCC: un vero e proprio manualetto anticinese che prescrive tre linee principali di aggressione: a) la Cina ha causato il virus “coprendolo”; b) i Repubblicani spingeranno per sanzioni contro la Cina per il suo ruolo nella diffusione di questa pandemia; c) i Democratici sono “morbidi con la Cina”[15].

Tra aprile e maggio la campagna anticinese si dispiega a pieno ritmo con ogni mezzo, non solo negli USA, ma in tutti i Paesi del mondo in cui i media controllati dagli USA possono arrivare. Una delle armi che in questa forsennata campagna l’amministrazione americana impiega abbondantemente è quella dell’azione legale per ottenere dalla RPC, accusata di essere responsabile della propagazione del virus, risarcimenti miliardari. Azione legale considerata da molti giuristi assurda e destinata al nulla di fatto, ma con un notevole impatto propagandistico, volto a creare un clima sfavorevole alla Cina, messa sul banco degli accusati. Il 27 aprile Trump annuncia la richiesta salatissima di risarcimento danni[16]. Il consigliere d Trump, George Sorial, ex dirigente della Trump Organization, avvia negli Stati Uniti un’azione legale collettiva per danni contro Pechino[17]. Alcuni influenti media e anche associazioni di consumatori si muovono in diversi Paesi annunciando richieste simili. Lo fa clamorosamente il 16 aprile il più diffuso quotidiano tedesco, “Bild”, con la richiesta alla Cina di 162 miliardi di dollari di risarcimento. Qualche giorno dopo, il Coordinamento italiano delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti dei consumatori (Codacons) si schiera armi e bagagli a fianco della campagna anticinese degli USA; il 23 aprile, il suo sito apre con l’invito: “Preaderisci gratuitamente all’azione del Codacons di risarcimento danni contro la Cina, per le gravi responsabilità ed omissioni nel contrasto della diffusione del Covid-19”; l’azione viene portata avanti in collaborazione con lo studio legale americano Kenneth B. Moll[18]. Anche il presidente leghista della regione Lombardia Attilio Fontana annuncia il 29 aprile una richiesta di risarcimento di 20 miliardi.

Il 29 aprile Trump, seguendo il vecchio proverbio francese calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose[19], per cui una menzogna continuamente ripetuta finirà con l’apparire come verità, accentua la campagna di attacchi e calunnie contro la Cina, affermando che l’origine del coronavirus è legata a un laboratorio di Wuhan, senza fornire alcuna spiegazione, né tantomeno prova[20].

In modo ancor più aggressivo e bellicoso, alimentando un clima in cui si respira sempre più aria di guerra a tutto campo, si muove l’entourage di Trump: qualcuno propone di richiedere alla Cina 10 milioni di dollari per ciascuna vittima statunitense del virus, con l’obiettivo, indicato dallo stesso Trump, di strappare alla Cina centinaia di miliardi di dollari; il senatore repubblicano Marsha Blackburn sostiene che “la Cina è costata all’economia americana seimila miliardi e potrebbe costarne altri 5mila” e propone di farsi risarcire non pagando più alla Cina gli interessi sui titoli del Tesoro Usa che essa possiede. Altri pensano a nuovi dazi commerciali, o all’imposizione di sanzioni per un valore di mille miliardi di dollari su future importazioni cinesi[21]. Il 1° maggio un rapporto del Dipartimento di Sicurezza Nazionale USA, condiviso con le forze dell’ordine e le agenzie governative, rincara ancora la dose, accusando il governo cinese “di aver intenzionalmente nascosto alla comunità internazionale la gravità del COVID-19 all’inizio di gennaio, mentre accumulava scorte di materiale medico sia aumentando le importazioni che diminuendo le esportazioni […] La Cina ha probabilmente tagliato le sue esportazioni di forniture mediche prima della notifica dell’OMS di gennaio secondo cui il COVID-19 è contagioso”[22]. Come si vede, si fa di tutto per presentare la RPC e il PCC nella luce peggiore: non solo avrebbero mentito sui modi e tempi dell’origine del virus, su cui si continua ad alimentare il sospetto che sia uscito dal laboratorio di Wuhan, ma lo avrebbero fatto per speculare sulle forniture di materiale medico, per fare sporchi affari sulla pelle del popolo americano...

Il 3 maggio il Segretario di Stato Mike Pompeo afferma che ci sono “enormi” prove che il nuovo focolaio di coronavirus abbia avuto origine da un laboratorio biomedico a Wuhan, in Cina[23], ma non ne presenta nessuna. Del resto, i dirigenti USA, repubblicani o democratici, sono abituati a calunniare di fronte al mondo i loro nemici e ad esibire impudentemente “prove” inesistenti. Basti qui ricordare la fialetta piena di una polvere bianca agitata dall’allora segretario di Stato Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 5 febbraio 2003 per accusare l’Iraq di produrre armi chimiche e batteriologiche di distruzione di massa che, dopo l’occupazione anglo-americana del Paese, continuamente cercate, risultarono inesistenti.

Ai primi di maggio l’amministrazione USA, taglia i legami di investimento tra i fondi pensione federali statunitensi e le azioni cinesi per un valore di circa 4 miliardi di dollari, sostenendo che ciò comporterebbe rischi di investimento e di sicurezza nazionale[24]. Il 14 maggio in un’intervista a FOX Business Trump minaccia di troncare tutti i rapporti commerciali ed economici con la RPC, affermando che così gli USA risparmierebbero 500 miliardi di dollari[25].

A tutto questo si aggiungono le recenti posizioni assunte dall’amministrazione USA nei confronti di Taiwan, che, trattando l’isola come di fatto indipendente, tendono a disconoscere il principio dell’unica Cina (la Repubblica Popolare Cinese), stabilito dal 1992 e riconosciuto in centinaia di accordi internazionali. Scrive in proposito Lucio Caracciolo, direttore della rivista geopolitica “Limes”, nell’editoriale del 25 maggio:

Alcuni recenti episodi confermano che Washington s’è tolta i guanti per picchiare duro. Con la semantica protocollare, quando il segretario di Stato Pompeo si congratula con Tsai Ing-Wen, rieletta alla presidenza della Repubblica di Cina (Taiwan), definendola “presidente” – cioè capo di Stato. Con la violenza della rappresaglia economica, annunciando che la Taiwan Seminconductor Manufacturing (leader mondiale) aprirà una fabbrica in Arizona, intanto vietando la vendita dei suoi semiconduttori a Pechino. Huawei e il suo 5G sono sotto attacco[26].

Parimenti aggressiva è la posizione dell’amministrazione USA su Hong Kong, dove fomenta e sostiene movimenti secessionisti e anticomunisti e ora mobilita il suo apparato mediatico per attaccare il Congresso nazionale del popolo cinese per la formulazione di una legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong.

Al contempo, gli USA intensificano la loro azione militare nei mari della Cina. Scrive il “South China Morning Post” del 10 maggio:

Finora quest’anno, gli aerei delle forze armate statunitensi hanno effettuato 39 voli sul Mar Cinese Meridionale, sul Mar Cinese Orientale, sul Mar Giallo e sullo Stretto di Taiwan, più di tre volte il numero effettuato nel periodo equivalente del 2019. […] Nel frattempo, la Marina degli Stati Uniti ha condotto quattro operazioni di navigazione nel Mar Cinese Meridionale nei primi quattro mesi dell’anno – mentre nell’intero 2019 erano state otto in tutto; l’ultima il 29 aprile, quando l’incrociatore missilistico USS Bunker Hill ha attraversato la catena delle Isole Spratly[27].

5. L’attacco USA alla RPC: contingente o strutturale?

Di fronte a questa valanga di dichiarazioni ufficiali sempre più bellicose, accompagnate da ostilità politiche, legali, economiche, militari a tutto campo e in ogni parte del mondo, si pone la questione se si tratti di una situazione temporanea, contingente, legata essenzialmente, da un lato, al tentativo di dirottare contro la Cina, invece che sull’amministrazione Trump, il risentimento della popolazione colpita massicciamente dalla disastrosa gestione della pandemia, e, dall’altro, alla campagna elettorale per le presidenziali del prossimo novembre, come sembrerebbe suggerire il Corona big book, il manuale di istruzioni per i candidati repubblicani. Diversi osservatori e commentatori politici hanno insistito su questo aspetto contingente, legato alla cattura del consenso interno degli USA. È probabile che il bisogno di Trump di recuperare il terreno perduto nell’elettorato statunitense abbia contribuito ad infiammare i toni del presidente più demagogico della storia degli States e ad incrementare lo scontro con la Cina: il suo rivale, il democratico Joe Biden, nelle intenzioni di voto va meglio di Hillary Clinton nel 2016; un rilevamento di Fox News (la TV più “amica” di Trump), confermato da una media dei sondaggi della settimana 18-24 maggio, dà il candidato democratico al 48% e il presidente in carica al 40%[28].

Tuttavia, vi è più di una ragione per ritenere che il violento attuale attacco statunitense contro la RPC, non sia temporaneo e occasionale, ma rivesta piuttosto un carattere strutturale, radicato cioè nel sistema economico-politico degli USA, nei tratti fondamentali della classe dominante, che, democratica o repubblicana, condivide l’ideologia dell’America first, del primato statunitense nel mondo, dell’unipolarismo USA che non accetta e non si concilia con la prospettiva di un mondo multipolare.

Gli USA non si concepiscono e non sono un Paese capitalistico al pari degli altri, e neppure un primus inter pares. L’ideologia del primato assoluto statunitense si è forgiata nel corso della “guerra fredda” (1946-1991) e si è apertamente proclamata nei documenti strategici della Casa Bianca all’indomani della dissoluzione dell’URSS; in essi si afferma la volontà di mantenere e rafforzare l’unipolarismo statunitense. Questo unipolarismo ha un forte ancoraggio nel complesso militar-industriale, che si è enormemente esteso con la II guerra mondiale e ancor più con la “guerra fredda”.

La “guerra fredda”, il confronto permanente con l’URSS e con il “campo socialista”, designati come il nemico assoluto, l’“impero del male”, la minaccia perenne alla libertà e ai valori dell’Occidente, servirono alla classe dominante USA per:
a) compattare sotto il proprio comando militare, politico, economico, i Paesi capitalistici di Europa e Asia (mentre l’America Latina era il “cortile di casa” dello zio Sam);
b) alimentare ed estendere un enorme complesso militar-industriale che non ha pari nel mondo (la spesa militare USA è stata nel 2019 di 732 miliardi di dollari[29]);
c) imporre il dollaro come valuta per gli scambi internazionali;
d) inoculare nella popolazione USA un nazionalismo di grande potenza che ha bisogno di alimentarsi continuamente di un grande nemico, di un grande e minaccioso soggetto malvagio contro cui combattere, presentandosi come un super impero del bene.

La classe dominante negli USA è il centro, il cuore pulsante del sistema imperialistico mondiale ed è completamente assuefatta a godere dei privilegi che questa centralità le conferisce. La possibile perdita del primato mondiale mette in allarme i potentati economici statunitensi, che possono mantenere un ruolo mondiale facendo leva sul potere politico-militare del Paese. Questo primato non è solo militare, politico, economico, è anche ideologico-culturale, nel soft power, e colonizza l’immaginario della popolazione mondiale. Perdere questo primato è oggi la preoccupazione principale della classe dominante USA, che vede segare il ramo su cui è seduta.

Questa struttura peculiare degli USA può spiegarci il violentissimo attacco alla Cina. La classe dominante USA ha costruito il consenso sul primato americano nel mondo, e sulla lotta contro il "nemico". La mentalità americana, a partire dalla II guerra mondiale, e ancor più dallo scatenamento della “guerra fredda”, è stata costruita sull’immagine perenne di un nemico oscuro da combattere: dalla II guerra mondiale, in cui il nemico erano i giapponesi e i nazisti tedeschi, alla “guerra fredda” in cui erano i comunisti e l’URSS, al dopo “guerra fredda”, in cui per una fase è stato il terrorismo islamista, e, infine, la Cina. Per mantenere la coesione interna Trump, e non solo lui, ma tutta la classe dominante americana, deve trovare un nemico, e rifiutando di trovarlo in se stessa e nella propria struttura economico-sociale, si scaglia contro la Cina.

L’elezione della RPC a nemico par excellence non è casuale, né solo contingente. Era già presente tra le righe nella dottrina strategica degli USA negli anni ‘90. Ed è divenuta l’ossessione della classe dominante americana – bipartisan, attraversando sia il partito repubblicano sia quello democratico – dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008. Anche la RPC subì il contraccolpo di quella crisi, ma – grazie al sistema ad orientamento socialista, alla capacità effettiva del PCC di orientare e dirigere l’economia – seppe riorganizzarsi rapidamente continuando con ottime performance, divenendo nel 2010 la seconda economia mondiale e proseguendo nel suo percorso di sviluppo interno, di superamento progressivo delle fasce di povertà presenti nel Paese, di creazione del più grande mercato solvibile interno. Il suo sistema politico, inoltre, si rafforzava, accresceva la coesione sociale; il PCC si proponeva al XIX congresso (2017) di risolvere le nuove contraddizioni che lo sviluppo degli anni precedenti aveva creato, e si poneva come un Paese che – unico al mondo – parlava al mondo intero proponendo, rispetto alla globalizzazione imperialista degli USA, un percorso condiviso di sviluppo win-win in un mondo multipolare, di cui il grande progetto della Nuova Via della Seta è un pilastro fondamentale.

La presidenza di Trump è stata caratterizzata – facendo la tara di alcune oscillazioni ed esternazioni che contraddistinguono teatralmente il personaggio – dal porre la Cina come avversario, e poi nemico principale, contro il quale ha iniziato nel 2017 una dura guerra commerciale. Tale guerra, pur in un percorso a zig-zag, è stata in crescendo, ha provocato grandi disordini nei mercati mondiali e ha sostanzialmente avviato un percorso a ritroso nella globalizzazione e nelle catene produttive internazionali. I tre anni della presidenza Trump che precedono la pandemia di Covid-19 hanno visto progressivamente aumentare gli attacchi economici alla Cina, ma non solo. Si è intensificata l’azione di propaganda mediatica anticinese, gli USA hanno fomentato i movimenti anti RPC a Hong Kong, hanno diffuso menzogne sulla “repressione degli uiguri”, hanno operato, insomma, come avevano ben imparato a fare nel periodo della “guerra fredda”, quando il presidente USA Ronald Reagan definì l’URSS “impero del male”.

6. Europa teatro dell’attacco di Trump alla Cina

Che il crescendo di attacchi alla Cina abbia una base che va ben al di là della campagna elettorale in corso ce lo mostra anche la grande mobilitazione mediatica e la forte pressione politica – un vero e proprio “serriamo i ranghi!” – degli USA verso i Paesi ad essi legati da trattati militari o commerciali, con il palese obiettivo di allinearli contro Pechino. Si tratta di Paesi che, pur con sistemi economico-politici ben diversi da quello della RPC, hanno sviluppato nel corso degli ultimi decenni relazioni commerciali e culturali con essa.

Una delle aree del mondo più rilevanti – se non la principale – su cui la politica degli USA sta puntando per allinearla all’attacco anticinese è l’Europa (intesa non come Europa geografica, quindi Russia esclusa). La Cina è il secondo partner commerciale della UE dopo gli Stati Uniti e l’UE è il primo partner commerciale della Cina[30]. Entrambe le parti sono impegnate in un partenariato strategico globale, espresso nell’Agenda strategica per la cooperazione UE-Cina 2020[31]. Vi è inoltre, la cooperazione 17+1 dei Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO) per la Belt and Road Initiative[32]. Nella primavera del 2019 i principali Paesi dell’Europa occidentale hanno siglato con la RPC importanti accordi sulla Nuova Via della Seta, enfatizzati dalla visita del presidente Xi Jinping. L’Italia, primo Paese del G7, ha sottoscritto il Memorandum d’Intesa.

In occasione della pandemia la Cina ha prestato notevoli aiuti all’Italia e un sondaggio a marzo indicava come la RPC fosse considerata un Paese amico dalla maggioranza degli italiani[33]. Le forze politiche dell’attuale governo – pur con alcuni distinguo – guardano alla Cina con prospettive di collaborazione economica, di crescita dell’interscambio anche culturale. Per alcune di esse la collaborazione con la Cina potrebbe costituire un supporto notevole per fronteggiare la crisi economica che da anni pesa sul Paese.
L’offensiva mediatica USA per imbarcare e imbrigliare i Paesi europei nella crociata anticinese si svolge a tutto campo, con abbondanza di mezzi e interventi sui principali media. Se guardiamo a quello che è oggi il più importante Paese europeo, la Germania, possiamo osservare la virulenza della campagna anticinese.

Prendiamo in esame la lettera aperta a Xi Jinping che Julian Reichelt, direttore di “Bild”, il quotidiano più venduto in Europa (oltre un milione e mezzo di copie) del gruppo editoriale Springer, pubblica a metà aprile[34]. Il giornale si era fatto portavoce della campagna orchestrata da Washington per richiedere alla Cina un risarcimento miliardario per i danni provocati dalla pandemia. L’ambasciata cinese a Berlino aveva rivolto a “Bild” una lettera aperta sottolineando l’assurdità e l’infondatezza di tale richiesta. Reichelt scrive una lettera molto retorica, pesante, dai tratti apertamente offensivi nei confronti della RPC e di Xi Jinping. Quali argomenti usa? Ripete il refrain sulla mancanza di democrazia, sul regime autoritario, “non trasparente”, che “governa con la sorveglianza” ed è “negazione della libertà”; per di più, la RPC viene accusata di “furti di proprietà intellettuale”, arricchendosi “delle invenzioni altrui, invece di inventare da sola”; accredita l’accusa senza prove di Washington sulla fuga del virus dal laboratorio di Wuhan e quindi della propagazione del virus nel mondo, per cui “deve pagare caro”; e, infine, anche “il dono delle maschere facciali è un cavallo di troia, è imperialismo nascosto”. Nulla di nuovo sotto il sole. Reichelt vomita contro la Cina i consueti luoghi comuni. Tra questi, l’accusa di furto di proprietà intellettuale a un Paese che è diventato – grazie alla politica di forti investimenti nella scuola e nelle università e in ricerca e sviluppo – leader nelle tecnologie informatiche e digitali (si pensi al 5G), rivela piuttosto l’ostilità, indotta dagli USA, alla collaborazione con la Cina per il 5G.

Ma questa lettera greve e dai toni offensivi impallidisce di fronte alla discesa in campo di Mathias Döpfner, CEO di Springer, il maggior editore tedesco. Gli USA chiamano a raccolta tutti i media nella campagna anticinese. Ma, come qui si chiarisce, non è questione del Laboratorio di Wuhan o altro simile (anche se il tema continuerà ad essere agitato), ma del futuro economico e politico. La Germania è invitata, e così tutti i Paesi europei, al “disaccoppiamento” con la Cina, a rinunciare ai suoi commerci con essa. Döpfner pone un aut aut: “A che punto è l’Europa? Dalla parte degli Stati Uniti o della Cina?”. E riprende i luoghi comuni sul Paese non democratico, autoritario, ecc., invitando a diffidare della sua “espansione internazionale apparentemente amichevole e pacifica”. Afferma che l’ammissione nel 2001 della Cina nell’OMC è stato “il più grande errore commesso nella storia recente dalle economie di mercato occidentali”: da allora, “la quota degli Stati Uniti nel prodotto mondiale lordo (PIL) è scesa dal 20,18% nel 2001 al 15,03% (2019). La quota dell’Europa è scesa dal 23,5% al 16,05%, con un calo di 7,45 punti percentuali in meno di due decenni. Mentre la quota della Cina è aumentata dal 7,84% al 19,24% nello stesso periodo, con un tasso di crescita medio annuo di circa il 9%”. Secondo Döpfner ciò è dovuto non alla forza intrinseca del sistema socialista cinese, che combina piano e mercato, imprese statali e imprese private per implementare programmi strategici di sviluppo di lungo periodo, che hanno consentito di ridurre enormemente la povertà e di far crescere rapidamente le retribuzioni dei lavoratori e di migliorare decisamente le loro condizioni di vita, ma a “un capitalismo di stato non democratico che sfrutta le condizioni di commercio e di concorrenza più facili senza sottomettersi alle stesse regole. Il risultato è stato l’asimmetria invece della reciprocità”. Quindi, sostiene Döpfner, occorre seguire la politica degli USA di “disaccoppiamento dalla Cina”. “La Cina o gli Stati Uniti. Non è più possibile andare con entrambi. […] Se la Germania deciderà di espandere le sue infrastrutture 5G con Huawei, ciò metterà a dura prova le relazioni transatlantiche. Sarebbe un punto di svolta, perché l’America non potrebbe più fidarsi della Germania”. E la Germania non può e non deve disancorarsi dagli USA, che, dopo essersi opposti duramente all’URSS e alla RDT, “hanno reso possibile, direttamente e indirettamente, la riunificazione tedesca”. Non bisogna permettere – continua Döpfner – “al capitalismo di stato di una potenza globale totalitaria di continuare a infiltrarsi o addirittura di prendere il controllo di industrie chiave come il settore bancario (Deutsche Bank), automobilistico (Daimler, Volvo), robotico (Kuka) e commerciale (Porto del Pireo)”. Quindi, invita l’Europa a proseguire “la tradizionale alleanza transatlantica, nonostante Trump, compreso l’esplicito e più stretto coinvolgimento di un Regno Unito post-Brexit e di altri alleati come il Canada, l’Australia, la Svizzera e i Paesi democratici dell’Asia” e a perseguire, Germania in primis, motore economico dell’Europa, “un rigoroso processo di disaccoppiamento dalla Cina”, perché “i legami economici sono sempre anche legami politici” e “potremmo tutti noi un giorno svegliarci per ritrovarci in una società raccapricciante, dalla parte della Cina e degli Stati ad essa vagamente associati, come la Russia, l’Iran e altre autocrazie”. La Germania, che ha un volume annuale di scambi commerciali con la Cina di circa 200 miliardi di euro, a fronte di tutto il commercio tedesco valutato in 2,4 trilioni di euro, subirebbe con la perdita del commercio cinese un colpo pesante, “ma non insopportabile”. “La recessione del coroanvirus sta già portando la Germania ad un nuovo e devastante risultato economico, ma questo ci offre un’opportunità unica per rimetterci sulla giusta strada. La dipendenza economica sarà solo il primo passo. Seguirà l’influenza politica. In futuro, chi dominerà il campo dell’intelligenza artificiale dominerà prima economicamente e poi politicamente”[35].

È una sollecitazione fortissima, che viene dalla principale catena di giornali della Germania, ad aderire senza se e senza ma al campo occidentale guidato dagli USA, il che significa prima di tutto un rafforzamento del legame tra Germania e USA, nonostante qualche “bizza” di Trump, e al rafforzamento della NATO. A questo proposito, vi sono in Germania forze politiche di rilievo come la SPD (e la Linke) – il campo della socialdemocrazia tedesca – che vorrebbero allentare i legami con USA e NATO. A inizio maggio Rolf Mützenich, il leader dei socialdemocratici (SPD) del Bundestag chiede che la Germania non supporti le testate nucleari degli USA. E riceve subito un duro rimbrotto dall’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, il quale – e ciò è interessante notare – inserisce tra le ragioni che rendono necessario il rafforzamento dell’alleanza atlantica, insieme al “tradizionale” nemico russo, la RPC: “L’invasione russa dell’Ucraina, il dispiegamento di nuovi missili dotati di armi nucleari da parte della Russia alla periferia dell’Europa e le nuove capacità della Cina, della Corea del Nord e di altri Paesi rendono evidente che la minaccia è fin troppo presente”[36].

Insomma, cresce la pressione americana per un “serrate le fila” degli alleati europei. Il ruolo della NATO viene ora completamente recuperato in vista della crociata anticinese. Se durante la campagna elettorale e agli inizi del suo mandato Trump aveva espresso, nel suo solito stile teatrale, riserve sul ruolo e l’utilità della NATO[37] – ma in realtà mirava piuttosto a chiedere agli europei di raddoppiare il loro contributo economico all’Alleanza – ora la NATO viene pienamente difesa e accreditata, accostando alla minaccia russa quella cinese.

Oltre e più che la Germania, dove gli USA intervengono a gamba tesa a stoppare i tentativi autonomistici di una parte della SPD – partito che governa in coalizione con la CDU – vi è un altro Paese in Europa che va tenuto sotto stretta sorveglianza, l’Italia, che, nonostante le dichiarazioni ufficiali filo-atlantiche dei ministri della Difesa Guerini[38] (PD) e degli esteri Di Maio[39] (Movimento 5 stelle), manifesta negli ultimi sondaggi sentimenti di amicizia verso la RPC ben più che verso gli USA. L’ordine che viene da oltre Atlantico e cui si adeguano quasi tutti i principali media è inequivocabile: demolire ad ogni costo l’immagine della Cina, cominciando con l’accusa di essere la causa dell’epidemia per un virus lasciato sfuggire, o intenzionalmente o per colpevole errore, dal laboratorio di Wuhan, fino a richiedere di rinsaldare la NATO contro la minaccia cinese. Gli argomenti e il modo di presentarli sono sostanzialmente simili a quelli impiegati in Germania da Reichelt e Döpfner.

Il 4 maggio il quotidiano “La Stampa”, ospita Mark Esper, Segretario USA della Difesa, intervistato da Paolo Mastrolilli[40]:

Russia e Cina stanno entrambe approfittando di una situazione unica per far avanzare i loro interessi. […] Huawei e il 5G sono un importante esempio di questa attività maligna da parte della Cina. Ciò può danneggiare la nostra alleanza. La dipendenza dai fornitori cinesi di 5G, ad esempio, potrebbe rendere i sistemi cruciali dei nostri partner vulnerabili a interruzione, manipolazione e spionaggio. Questo metterebbe a rischio le nostre capacità di comunicazione e condivisione dell’intelligence. Per contrastare tutto ciò, noi incoraggiamo gli alleati e le compagnie tecnologiche americane a sviluppare soluzioni alternative di 5G.

Il 13 maggio il quotidiano “La Repubblica”, a sua volta, ospita un’intervista (o un simulacro di essa, visto che l’intervistatore sembra porre solo le domande che vuole l’intervistato) del giornalista D’Argenio al segretario generale della NATO, già significativa dal titolo: “Stoltenberg: la Nato unita contro la disinformazione russa e cinese”[41]. Russia e Cina, attraverso la disinformazione[42] sul Covid-19 compirebbero atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali per guadagnare influenza politica sui partner di Nato ed Unione europea. Al pari di Esper, Stoltenberg lancia anche l’allarme sul 5G di Huawei: “Gli alleati dovrebbero evitare investimenti stranieri che possano compromettere la riservatezza delle nostre comunicazioni”. La NATO viene così pienamente arruolata nella crociata anticinese.

L’attacco alla Cina viene svolto quasi quotidianamente dai principali media ed esponenti di destra, facendo da cassa di risonanza alle dichiarazioni di Trump e Pompeo. Già a gennaio “Il Giornale” sposava la tesi del virus sfuggito dal laboratorio di Wuhan[43]. E Matteo Salvini, leader della Lega (risultata alle elezioni europee del 26 maggio 2019 il primo partito italiano, con il 34,26% dei voti), in un recente intervento in Senato afferma:

Ci uniremo alla richiesta almeno di una Commissione d’inchiesta per capire chi ha fatto e chi non ha fatto cosa, perché potremmo finire il 2020 con l’assurdo di avere un’unica economia mondiale che cresce, che è quella cinese che, dopo aver volontariamente o involontariamente, non sta a me giudicarlo, causato una pandemia globale, sulle macerie di questa pandemia va ad acquistare aziende, dati, telefonia e alberghi in Italia e nel mondo[44].

Chiede inoltre, in piena sintonia con Trump, di rimettere in discussione i contributi della Repubblica italiana all’Organizzazione mondiale della sanità.

Della richiesta alla Cina di risarcimento miliardario prospettata dal governatore leghista Fontana si è già detto.

Ma l’attacco alla Cina viene condotto anche in modo indiretto e più subdolo. Report – la trasmissione di inchiesta di Rai3 (il canale “di sinistra” della Radiotelevisione italiana), condotta dal giornalista Sigfrido Ranucci – si allinea al mainstream che tende a gettare una luce sinistra sulla Cina. La trasmissione dell’11 maggio è dedicata ad un’inchiesta sull’OMS, guarda caso proprio qualche giorno prima della sua 73a Assemblea mondiale del 18-19 maggio, in occasione della quale Trump invia una lettera al suo direttore generale, accusando l’OMS di essere asservita alla Cina. Report sposa in pieno questa tesi[45].

La prima parte della trasmissione è dedicata alla demolizione della figura del direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, che viene mostrato nella trasmissione seduto accanto al presidente cinese Xi Jinping nella Grande sala del popolo di Pechino (28 gennaio). La sua grave colpa? Elogiare apertamente il governo cinese per la gestione del Covid-19, “ma” – ci dice il giornalista – “non si sa su quali basi visto che l’OMS non ha ancora fatto una vera ispezione in Cina”. Ma chi è mai Tedros? Eccone il ritratto malefico che ne fa la trasmissione:

Nel suo Paese, l’Etiopia, è stato ministro prima della sanità, poi degli esteri in governi che non hanno esitato a usare la violenza contro le opposizioni. Il suo partito è il temuto TPLF: il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè […] Durante la gestione del governo etiope, il TPLF è stato accusato di moltissimi episodi di corruzione. Tedros non solo era membro di quel governo, Tedros è una figura di primo piano del partito TPLF. Il TPLF, che era la forza principale di governo.

Avremmo dunque a che fare con un losco figuro, personaggio di primo piano di un governo corrotto (moltissimi episodi di corruzione) e dispotico (usava la violenza contro le opposizioni). Ma non basta: la forza principale di governo, il TPLF, “è legato a doppio filo al partito comunista cinese e in particolare alla figura dell’attuale presidente Xi Jinping per via dei suoi pesanti investimenti nel Paese etiope”. Report ci dice in modo abbastanza esplicito che la nomina del “primo africano che riesce a scalare i vertici dell’OMS”[46] non è dovuta a meriti personali, ma alla Cina, che, grazie ai grandi investimenti infrastrutturali, può influenzare l’Unione africana e farlo così eleggere.

Report fa una digressione sulla politica cinese in Africa. Molti Paesi del continente – lo si dice con grande rammarico – sono molto legati dal punto di vista economico alla Cina. Però, ci si dice, “questo abbraccio cinese verso il continente non era gratuito”, ma per “tenere in pugno” i Paesi del continente. Ma non basta: non solo i malefici cinesi si comprano il direttore dell’OMS, presentato come una marionetta nelle loro mani, ma spiano i lavori dell’Unione dei Paesi africani: “I dati che passavano per il quartier generale dell’Unione Africana venivano intercettati dal governo cinese all’interno di questa stessa struttura”. Ed ecco la conclusione, il ritratto di una vera e propria associazione a delinquere: “Soldi, investimenti: è questo il filo che tiene legato in questo momento Tedros alla Cina”. Anche l’Unione africana sarebbe così una marionetta nelle mani cinesi. Questa affermazione viene lasciata cadere lì, come fosse verità provata, senza che il “giornalista d’inchiesta” porti elementi di prova.

Ma non basta ancora: dulcis in fundo, vi è l’intervista ad Andrea Sing-Ying Lee, presentato come “Ambasciatore di Taiwan in Italia”, fingendo di ignorare – ma sono giornalisti di professione! – che l’unica ambasciata cinese in Italia è quella della RPC e che l’Italia, al pari degli altri Paesi del mondo, ha aderito da anni al principio “One China”, politica che ora l’amministrazione USA, nella sua forsennata politica di attacco alla RPC, punta a rovesciare.

7. “Guerra fredda”, bipolarismo, unipolarismo, multipolarismo

L’espressione “nuova guerra fredda” viene sempre più frequentemente impiegata negli interventi politici e nei media per designare la situazione attuale dei rapporti tra USA e RPC. Questa espressione – come ci insegnano gli studiosi del linguaggio – non è neutrale, né innocente, comunica ai lettori o agli ascoltatori un determinato punto di vista, tende a dare una determinata visione delle cose.

Nel corrente linguaggio giornalistico, ma anche degli storici, si indica con l’espressione “guerra fredda” tutto il periodo post 1945 (fine della II guerra mondiale) fino alla demolizione dei Paesi socialisti dell’Europa centro-orientale e balcanica (1989) e dell’URSS (1991). Quale configurazione dei rapporti mondiali implicava la guerra fredda? Fondamentalmente un mondo bipolare, in cui si confrontavano due grandi blocchi antagonisti e inconciliabili, socialismo e capitalismo, Oriente e Occidente, due – così si diceva – superpotenze.

La contrapposizione bipolare non fu una scelta della dirigenza sovietica, ma fu imposta da USA e Regno Unito, che riuscirono così ad allineare sotto il comando politico, economico, militare degli USA tutti i Paesi dell’Europa occidentale. La fondazione della NATO nel 1949 e i suoi successivi allargamenti sigillano questo allineamento. Il Patto di Varsavia prese forma solo diversi anni dopo e fu sciolto nel 1991.

Anche il concetto di “Occidente”, di “valori occidentali”, di blocco occidentale, come ancora oggi lo impieghiamo, quale sinonimo di economia di mercato, liberal-democrazia e filo atlantismo, prende forma nel secondo dopoguerra in contrapposizione con l’Oriente dell’URSS e della Repubblica Popolare Cinese, raffigurati come dittature e barbarie. In questo modo dall’“Occidente” venivano espunti Marx ed Engels, il pensiero comunista, nonché tutto il pensiero di emancipazione anticoloniale e antimperialista.

La semplificazione binaria del mondo bipolare giocava a favore della classe dominante dell’imperialismo USA, che costringeva a schierarsi pro o contro il blocco occidentale, escludendo la possibilità di posizioni intermedie e diversificate. La nascita del movimento dei Paesi non allineati, che possiamo datare alla Conferenza di Bandung (1955), cui il primo ministro della RPC Zhu Enlai dette un importante contributo, fu il tentativo di rompere lo schema bipolare imposto dall’imperialismo USA.

Anche l’uso del termine “superpotenza”, entrato in uso nel linguaggio giornalistico, era ingannevole, poiché metteva sullo stesso piano economico e militare, due Paesi che in realtà non lo erano: la forza economica dell’URSS – che aveva indubbiamente fatto passi da gigante grazie alla pianificazione socialista degli anni '30 e successivi – era tuttavia notevolmente inferiore a quella degli USA (e va ricordato quale enorme tributo di vittime e di distruzione economica pagò l’URSS per sconfiggere il nazifascismo, a fronte degli USA, che non ebbero la guerra in casa). L’URSS fu costretta dall’offensiva USA alla corsa agli armamenti, che le consentì un certo potere di dissuasione nell’impiego delle armi nucleari, ma non di raggiungere la parità con gli USA, che avevano il più potente complesso militar-industriale del mondo. Inoltre, la corsa agli armamenti cui l’URSS fu costretta, distolse risorse che avrebbero potuto essere impiegate nelle spesa sociale per migliorare il tenore di vita e il benessere del popolo, indebolendo così il consenso al governo sovietico e al PCUS. L’URSS non era una “superpotenza”: questa etichetta favoriva la campagna ideologica per demonizzarla come “impero del male”.

Se guardiamo all’esperienza storica della disfatta del socialismo sovietico e dei Paesi europei si può osservare che il terreno di scontro del bipolarismo imposto dagli USA all’indomani della II guerra mondiale risultò favorevole a questi ultimi, che poterono passare dopo il 1991 all’affermazione dell’unipolarismo, degli USA quale unico centro dominante del mondo. Per tutta la fase storica del trentennio successivo al 1991 le forze politiche e culturali del socialismo, nonché dell’emancipazione anticoloniale e antimperialista, hanno proposto e si sono battute per la fine dell’unipolarismo USA e il passaggio a un mondo multipolare. Questo concetto non solo si contrappone all’unipolarismo, ma anche al bipolarismo, rifiuta il terreno di scontro della “guerra fredda” scelto dagli imperialisti. Impugnando la bandiera del mondo multipolare la strategia mondiale di lotta per il socialismo apprende le lezioni dell’esperienza storica del XX secolo, comprende che il mondo del XXI secolo si articola in diversi Paesi con diversi gradi di sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione con le rispettive sovrastrutture politiche: il passaggio a più avanzati rapporti di produzione socialisti non può avvenire simultaneamente, né con uno scontro finale generale tra i poli del socialismo e dell’imperialismo, ma attraverso la combinazione del consolidamento e crescita dei Paesi ad orientamento socialista (e qui il ruolo della RPC e del socialismo con caratteristiche cinesi è straordinario), con la fuoriuscita dal sottosviluppo e dalla dipendenza dall’imperialismo dei Paesi di Asia, Africa, America Latina, con la lotta di classe tra capitale e lavoro nei Paesi capitalistici europei, e una pluralità di altre forme sociali intermedie. Il mondo multipolare consentirebbe condizioni più favorevoli per il passaggio a rapporti più avanzati sulla strada dell’emancipazione sociale e del socialismo.

Va in direzione di un mondo multipolare il progetto della Nuova Via della Seta, che costruisce infrastrutture fondamentali, creando le condizioni della comunicazione e reciproco vantaggio per Paesi con culture, sistemi economici e regimi politici diversi tra loro, quali, ad esempio, i crescenti rapporti commerciali, ma anche culturali, tra Cina e UE, i cui Paesi sono per la maggior parte affiliati alla NATO, che è pienamente a guida USA.

L’attuale politica dell’amministrazione USA, che vede sempre più barcollare il proprio dominio unipolare, sta puntando invece a riproporre lo schema del bipolarismo, risultato vincente nel periodo della “guerra fredda”, e cerca di portare la RPC su questo terreno. Lo mostrano chiaramente i sempre più frequenti aut aut (il più pesante è, come abbiamo visto, quello del CEO di Springer): i Paesi europei devono scegliere, o con gli USA o con la Cina. Con il bipolarismo gli USA, feroci oppositori della BRI, tendono ad allineare sotto il loro comando i Paesi europei contro della RPC.

8. Si apre una fase mondiale difficile e complessa

Le forze del socialismo e del progresso mondiali sono chiamate oggi al difficile compito di contrastare, anche sul piano mediatico, l’attuale strategia USA, che punta allo scontro bipolare USA-Cina, presentando quest’ultima come “superpotenza”. La Cina non ha mai detto di essere, né di voler diventare una superpotenza. Anzi, ha sempre detto il contrario. E ciò sulla base di tutto il pensiero politico del PCC, da Mao Zedong a Zhu Enlai, a Deng Xiaoping, a Xi Jinping. Alla base di ciò vi è una concezione del mondo e una visione strategica consolidata, che il pensiero di Xi ha ulteriormente sviluppato. È l’idea di un lungo e complesso processo di transizione al socialismo, che richiede all’interno una cooperazione con forze borghesi per sviluppare le forze produttive, e, sul piano internazionale, la battaglia per l’affermazione di un mondo multipolare. Quest’ultimo è, nelle condizioni date, l’ambiente migliore per la lotta per il socialismo, per mutare i rapporti di forza, evitando al contempo la catastrofe della guerra. La Cina è oggi uno dei principali baluardi per la pace nel mondo, essa si basa sull’idea di sviluppo pacifico. Nel mondo multipolare si può giocare con una pluralità di attori e di contraddizioni. Le forze socialiste possono avanzare, come infatti è straordinariamente avvenuto con la crescita della Cina, del Vietnam, di Cuba. Il mondo bipolare obbliga allo scontro muro contro muro, costringendo anche i neutrali a collocarsi. Esso favorisce l’imperialismo, col suo enorme controllo sui media.

La nuova situazione mondiale determinata dalla pandemia del Covid-19 e dalle sue implicazioni politiche, culturali, sociali è ancora aperta a soluzioni diverse, ad un possibile sbocco progressivo per l’umanità. Ma le forze conservatrici e reazionarie a livello mondiale, e in particolare l’imperialismo USA, si oppongono decisamente ad ogni possibile comunità di destino condiviso per tutta l’umanità. L’attuale classe dominante negli USA, nata e cresciuta nella cultura della missione imperiale americana e del dominio incontrastato sull’intero mondo, non accetta il passaggio a un mondo multipolare, basato sulla cooperazione con reciproco vantaggio tra Paesi e blocchi di Paesi con uguale dignità. Alle proposte costruttive e ragionevoli della RPC di cooperazione sanitaria mondiale risponde con un’escalation di vere e proprie dichiarazioni di guerra, elevando sempre di più il livello dello scontro e cercando di trascinare la RPC sul terreno di scontro preferito dagli USA, il confronto bipolare, che consente agli USA, mobilitando tutto il sistema di alleanze politico-militari cresciute con la guerra fredda, in primis la NATO, di aggiogare i Paesi europei nello scontro con la Cina.

Si apre una fase mondiale difficile e complessa, in cui le forze del socialismo, del progresso e dell’emancipazione sociale, che hanno oggi nella RPC un fondamentale punto di riferimento, hanno il compito storico di rafforzare la cooperazione e la solidarietà internazionale e di contrastare con intelligenza politica strategica e duttilità tattica le forze della reazione imperialista, lavorando attivamente lungo la strada tracciata della costruzione di una comunità di destino condiviso per tutta l’umanità.

Note:

[1] Cfr. ad esempio Pierre Haski, La gestione autoritaria dell’epidemia di coronavirus da parte della Cina, in “Internazionale”, 14-2-2020, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/02/18/cina-coronavirus-autoritarismo.

[2] Cfr. Trump claims controversial comment about injecting disinfectants was ‘sarcastic’, in “The Whashington Post”, 24-4-2020, https://www.washingtonpost.com/nation/2020/04/24/disinfectant-injection-coronavirus-trump/

[3] Cfr. Bolsonaro denounced for crimes against humanity before the International Criminal Court, 3-4-2020, https://peoplesdispatch.org/2020/04/03/bolsonaro-denounced-for-crimes-against-humanity-before-the-international-criminal-court/

[4] La Lombardia ha 10 milioni e 84.000 abitanti, un po’ meno degli abitanti della città di Wuhan. Al 21 maggio, secondo i dati del Ministero della salute (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_4792_0_file.pdf) poco più di 86.000 infetti e 15.727 decessi.

[5] Cfr. Virus Lombardia, la crisi del modello “Pirellone”: la catena di errori che ha fatto dilagare i contagi, in “Il Messaggero”, 21-5-2020, https://www.ilmessaggero.it/italia/lombardia_coronavirus_contagi_covid_19_morti_oggi_news-5242285.html

[6] Cfr. The color of coronavirus: COVID-19 deaths by race and ethnicity in the U.S, https://www.apmresearchlab.org/covid/deaths-by-race

[7] Lo ribadisce in modo chiaro e puntuale un recente articolo di Prabir Purkayastha, fondatore e direttore di Newsclick: Why Capitalism Can’t Cure Global Pandemics, https://citizentruth.org/why-capitalism-cant-cure-global-pandemics/

[8]Full text of Xi’s remarks at Extraordinary G20 Leaders’ Summit, Source: Xinhua 2020-03-26, http://www.xinhuanet.com/english/2020-03/26/c_138920685.htm. I corsivi sono miei, A.C. La traduzione italiana è in https://www.marx21books.com/xi-jinping-lavorare-insieme-per-sconfiggere-lepidemia-di-covid-19/

[9] Cfr. Xi Jinping, Fighting COVID-19 Through Solidarity and Cooperation. Building a Global Community of Health for All, in http://www.xinhuanet.com/english/2020-05/18/c_139067018.htm. I corsivi sono miei, A.C. Traduzione italiana in http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/30508-2020-05-21-06-04-02

[10] Cfr. l’edizione domenicale del giornale tedesco “Die Welt”, secondo cui Trump avrebbe offerto alla casa biofarmaceutica tedesca CureVac, che sta effettuando ricerche avanzate sul Covid-19, molti milioni di dollari per assicurare che il potenziale vaccino vada “in esclusiva” solo agli Usa. In https://www.welt.de/wirtschaft/plus206563595/Trump-will-deutsche-Impfstoff-Firma-CureVac-Traumatische-Erfahrung.html

[11] “Gli Stati Uniti avranno diritto all’ordinazione prioritaria più consistente, dal momento che hanno investito di più”. È stato questo l’annuncio del Ceo di Sanofi Paul Hudson rilasciato a Bloomberg. “Un vaccino deve essere sottratto alla legge del mercato”, ha tuonato Macron, seguito a ruota dalla Commissione Europea, che ha puntualizzato: “Si tratta di un bene pubblico, il suo accesso sarà equo e universale”: https://quifinanza.it/info-utili/vaccino-coronavirus-sanofi-scontro-usa-francia-ue/382601/

[12] Così nella lettera inviata da Trump al direttore generale dell’OMS il 18 maggio: https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2020/05/Tedros-Letter.pdf. Ma già il 5 aprile un editoriale del “Wall Street Journal” – World Health Coronavirus Disinformation. WHO’s bows to Beijing have harmed the global response to the pandemic – accusava l’Oms di “essersi piegata alla linea dettata da Pechino nel rispondere all’emergenza coronavirus”. Una decisione che avrebbe messo in crisi la risposta globale alla pandemia, mostrando che il principale ente sanitario al mondo risente dell’influenza della Cina: https://www.wsj.com/articles/world-health-coronavirus-disinformation-11586122093?mod=e2tw

[13] Ivi. Le affermazioni contenute nella lettera di Trump sono smentite e contestate da scienziati, medici e operatori sanitari, a partire dal direttore Richard Horton della nota rivista medico-scientifica “The Lancet” (cfr. https://twitter.com/TheLancet/status/1262721061361254401). Cfr. anche Expert reaction to letter sent from Donald Trump to Dr Tedros Adhanom, Director-General of the WHO, https://www.sciencemediacentre.org/expert-reaction-to-letter-sent-from-donald-trump-to-dr-tedros-adhanom-director-general-of-the-who/

[14] “The W.H.O. really blew it. For some reason, funded largely by the United States, yet very China centric. We will be giving that a good look. Fortunately I rejected their advice on keeping our borders open to China early on. Why did they give us such a faulty recommendation?”, https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-usa-who/trump-says-who-is-china-centric-really-blew-it-on-coronavirus-idUSKBN21P2E1

[15] È il quotidiano statunitense “Politico” a pubblicare il 24 aprile il manuale per la campagna anticinese: GOP memo urges anti-China assault over coronavirus, 24-4-2020, https://www.politico.com/news/2020/04/24/gop-memo-anti-china-coronavirus-207244. Il manuale è in https://static.politico.com/80/54/2f3219384e01833b0a0ddf95181c/corona-virus-big-book-4.17.20.pdf

[16] https://www.theguardian.com/world/2020/apr/28/trump-says-china-could-have-stopped-covid-19-and-suggests-us-will-seek-damages

[17] https://www.ilsole24ore.com/art/trump-tutte-idee-una-rappresaglia-contro-cina-ADp9gsN

[18] https://codacons.it/risarcimento-cina/

[19] “Calunniate, calunniate, resterà sempre qualcosa”. Il proverbio è attribuito al drammaturgo francese Beaumarchais (1732-1799).

[20] https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-ultime-notizie-mondo-cina-rallenta-508-indice-pmi-ad-aprile-ADRaVcN

[21] https://www.ilsole24ore.com/art/trump-tutte-idee-una-rappresaglia-contro-cina-ADp9gsN

[22] https://abcnews.go.com/US/coronavirus-live-updates-us-surpasses-65000-covid-19/story?id=70467380

[23] Cfr. “This Week Sunday” della ABC, https://abcnews.go.com/Politics/pompeo-enormous-evidence-unproven-theory-coronavirus-lab/story?id=70472857. Il giorno dopo il 4 maggio il “Guardian” riferisce la smentita di fonti di intelligence: “Non ci sono prove attuali che suggeriscano che il coronavirus sia venuto da un laboratorio di ricerca cinese”, https://www.theguardian.com/world/2020/may/04/five-eyes-network-contradicts-theory-covid-19-leaked-from-lab

[24] https://www.foxbusiness.com/politics/trump-on-china-we-could-cut-off-the-whole-relationship

[25] https://video.foxbusiness.com/v/6156582691001/#sp=show-clips

[26] https://www.limesonline.com/rubrica/taiwan-usa-cina-indipendenza-lucio-caracciolo-editoriale

[27] Cfr. https://www.scmp.com/news/china/military/article/3083698/us-china-tensions-south-china-sea-fuelled-increase-military

[28] Cfr. il sondaggio pubblicato il 21 aprile 2020 dal PEW Research Center: https://www.pewresearch.org/global/2020/04/21/u-s-views-of-china-increasingly-negative-amid-coronavirus-outbreak/; cfr. anche https://www.agi.it/estero/news/2020-04-21/cina-usa-sondaggio-8399936/; e https://www.agi.it/estero/news/2020-05-24/sondaggi-trump-biden-usa-2020-8711919/

[29] Cfr. Manlio Dinucci, La pandemia della spesa militare, in “il manifesto”, 5 maggio 2020, https://ilmanifesto.it/la-pandemia-della-spesa-militare/

[30] Nel 2017, l’UE è stata il principale partner della Cina, con il 13% delle esportazioni di beni in Cina (217 miliardi di euro) e il 16% delle importazioni di beni dalla Cina (332 miliardi di euro). Nello stesso anno, la Cina ha rappresentato l’11% delle esportazioni di beni extra-UE (198 miliardi) ed è stato il principale partner commerciale, con il 20% delle importazioni di beni extra-UE (375 miliardi di euro).

[31] Cfr. https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/communication-eu-china-a-strategic-outlook_es.pdf

[32] Fondata nel 2012 tra la Cina e sedici Paesi dell’Europa centrale e orientale, cui si è poi aggiunta la Grecia (12 Paesi UE: Grecia, Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania e 5 non appartenenti all’UE: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia), è nata come iniziativa del governo cinese volta a promuovere le relazioni commerciali e gli investimenti, nell’ambito dell’iniziativa cinese Belt and Road Initiative.

[33] In un sondaggio presentato a inizi aprile da SWG risulta che il 52% degli intervistati considera la Cina un Paese amico, mentre solo il 17% è per gli USA. Cfr. https://formiche.net/2020/04/italiani-preferiscono-cina-usa-ue/

[34]https://www.bild.de/politik/international/bild-international/bild-chief-editor-responds-to-the-chinese-president-70098436.bild.html

[35] Mathias Döpfner, in “Businessinsider”, 3-5-2020: The coronavirus pandemic makes it clear: Europe must decide between the US and China, in https://www.businessinsider.com/coronavirus-pandemic-crisis-clear-europe-must-choose-us-china-2020-5?IR=T

[36] Trump Envoy Accuses Germany of Undermining NATO’s Nuclear Deterrent, in Reuters -NYTimes, 14 maggio 2020, https://www.nytimes.com/reuters/2020/05/14/world/europe/14reuters-germany-usa-nato.html.

[37] Cfr. Ashley Parker, Donald Trump Says NATO is ‘Obsolete,’ UN is ‘Political Game’, “New York Times”, 2-4-2016, https://www.nytimes.com/politics/first-draft/2016/04/02/donald-trump-tells-crowd-hed-be-fine-if-nato-broke-up/; David E. Sanger and Maggie Haberman, Donald Trump Sets Conditions for Defending NATO Allies Against Attack, New York Times 21-7-2016, https://www.nytimes.com/2016/07/21/us/politics/donald-trump-issues.html

[38] 14-2-2020: “È evidente che la Nato resta la pietra angolare della nostra architettura di difesa e sicurezza. Non a caso l’Italia è il secondo contributore in termini di personale impiegato nelle missioni”, in https://www.agi.it/politica/news/2020-02-14/difesa-sovranita-nazionale-guerini-7084219/; aprile 2020: “I pilastri della nostra sicurezza sono la Nato e l’Ue, e la pandemia non cambia i fondamentali della collocazione politica e internazionale del Paese”, in https://formiche.net/2020/04/f-35-guerini-mosse-difesa-nato-ue/. E ancora: Lorenzo Guerini “Ue e Nato i nostri pilastri, serve trasparenza sull’origine del virus”, https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/05/04/news/lorenzo_guerini_ue_e_nato_i_nostri_pilastri_serve_trasparenza_sull_origine_del_virus_-255690300/?ref=RHPPTP-BH-I255630873-C12-P5-S1.8-T1

[39] Cfr. Stefano Pioppi, Più Nato con il coronavirus. Ecco cosa ha detto Di Maio al vertice dell’Alleanza, in “Formiche.net”, 2-4-2020, https://formiche.net/2020/04/nato-virus-di-maio-vertice/

[40] https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/05/04/news/il-segretario-alla-difesa-usa-reti-5g-industria-e-aiuti-cosi-cina-e-russia-sfruttano-il-virus-per-avere-piu-potere-in-italia-1.38799544; versione inglese: https://www.lastampa.it/esteri/la-stampa-in-english/2020/05/04/news/us-defense-secretary-5g-networks-industry-and-aid-so-china-and-russia-exploit-the-virus-to-have-more-power-in-italy-1.38801408

[41] Cfr. “La Repuubblica”, 13-5-2020, https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/05/13/news/stoltenberg_con_il_virus_russia_e_cina_vogliono_destabilizzare_l_occidente_-256546000/

[42] Un proverbio pugliese recita: “il bue dice cornuto all’asino”, per indicare il rovesciamento delle parti, dove il mentitore acclarato accusa il suo avversario di mentire. Così gli USA, che hanno messo in giro la fake new del virus sfuggito al laboratorio di Wuhan, accusano la Cina di disinformazione.

[43] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/coronavirus-proprio-wuhan-laboratorio-ad-alto-isolamento-1816035.html

[44] Cfr. l’intervento in Senato del 27 maggio; corsivo mio, AC, in Salvini, commissione inchiesta su Cina, https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/05/27/salvini-commissione-inchiesta-su-cina_49085fcc-ba96-49eb-8ac1-6ffe040bba70.html

[45] La trasmissione si può vedere sul sito https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Disorganizzazione-mondiale-b8ed1cc8-5ae5-436f-925b-22812f52371d.html, da cui si può anche scaricare il pdf dei testi letti dal conduttore e delle interviste. Il corsivo nelle citazioni è mio, AC.

[46] La frase, così come è formulata, suona velatamente razzista: un “africano” riesce a “scalare” i vertici dell’OMS. La cosa peggiora se la colleghiamo a quanto si dice in seguito, che la “scalata” sarebbe avvenuta non per merito proprio, ma solo grazie alle oscure manovre della RPC con l’Unione dei Paesi africani.

Fonte