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29/05/2020

I fan, da ricoverare, del Recovery Fund

I consueti toni trionfalistici hanno accompagnato la proposta della Commissione europea sul cd Fondo per la ripresa: 750 miliardi (di cui 500 definiti a fondo perduto) finanziato da obbligazioni della Commissione europea e da rimborsare entro il 2058, ma non prima del 2028. In particolare, per quanto concerne l’Italia, principale beneficiaria, i prestiti ammonterebbero a 91 miliardi, e le sovvenzioni a 82 miliardi, per un totale di 173 miliardi.

A gonfiare ulteriormente le cifre, giusto per buttare un po’ di fumo negli occhi e rendere il quadro ancora più attrattivo, il riferimento della Von der Lyen ai 1.800 miliardi: ma si tratta in realtà dei 1.100 miliardi del bilancio europeo costituito dalle contribuzioni dei singoli Stati, ai quali si aggiungerebbero, appunto, i 750 miliardi del fondo per la ripresa.

Al di la dell’asfissiante propaganda e dell’uso strumentale delle cifre e dei termini (le risorse a fondo perduto sono una pura invenzione) che caratterizza ogni dibattito in sede europea che è sempre direttamente proporzionale alla fumosità ed oscurità delle affermazioni, occorre guardare la realtà.

Intanto è bene precisare che la proposta formulata dalla Commissione europea non sarà quella adottata dalla Consiglio europeo del 17 e 18 giugno, in quanto non occorre avere la sfera di cristallo per intuire l’atteggiamento e le reazioni dei paesi c.d. “frugali”.

Il negoziato, quindi, si annuncia ancora lungo o lunghissimo, e di conseguenza la disponibilità delle presunte risorse si allontana nel tempo per diverse ragioni: la palese contrapposizione degli interessi in campo, la mancanza dei soldi così pomposamente annunciati che, invece, dovranno essere reperiti sul mercato attraverso l’emissione di titoli, e l’aggancio di questi fondi nel quadro del bilancio UE, che quindi non li renderà disponibili prima del 2021.

A voler essere maligni questo spiegherebbe perché il Recovery fund si è rapidamente tramutato in Next generation fund Ue, alludendo probabilmente alle tempistiche alquanto dilatate...

Per quanto riguarda la composizione del fondo sulla parte espressamente riservata ai prestiti c’è poco da aggiungere rispetto a quanto più volte sottolineato sulle pagine di questo giornale: i prestiti vanno restituiti, naturalmente con gli interessi.

Qui siamo perfettamente all’interno di quella logica che ha ispirato tutte le misure che compongono il pacchetto europeo (SURE, BEI e MES) e che si traducono in un aggravio sui bilanci nazionali che producono un aumento del debito da ripagare.

Siamo sempre li: per prestiti, per giunta miseri nell’ammontare, si ipoteca il futuro e si delinea per il “dopo emergenza” l’ingresso della Troika nel nostro paese.

Ma la vera ipocrisia e mistificazione si gioca sui trasferimenti cosiddetti “a fondo perduto”, perché quelle risorse non saranno gratis come viene sbandierato da fonti governative e da tanta stampa filo-europeista a prescindere, ma dovranno essere comunque rimborsate a partire dal 2028.

Che poi il rimborso avvenga con maggiori entrate Ue – cioè tasse a carattere europeo – o con maggiori contributi nazionali al bilancio Ue, o con una riduzione di alcune voci dello stesso bilancio europeo (magari quelle a carattere sociale) o, ancora, con un inasprimento della tassazione dei singoli Stati, cambia poco la sostanza: regali comunque non ce ne saranno.

Ed alla luce di questo quadro, appaiono piuttosto fantasiose le dichiarazioni di Di Maio circa la possibilità di usare le risorse del fondo per la ripresa al fine di finanziare la riduzione della tassazione nel nostro paese.

Su tutto, le immancabili condizionalità che riguardano sia la destinazione delle risorse che non potranno essere liberamente impiegate, ma dovranno essere indirizzate a finanziare programmi europei incentrati principalmente sul Green deal e sulla digitalizzazione, sia il quadro all’interno del quale subordinare l’erogazione delle annunciate risorse.

Ovvero il rispetto di quelle “regole” ed indirizzi provenienti da Bruxelles che ben conosciamo e che torneranno presto alla ribalta, magari già a partire dalla prossima legge di stabilità.

Questa è la base di partenza del negoziato europeo accolta con tanta esultanza dal governo. Da rivedere ed aggiustare. In peggio, naturalmente...

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