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31/05/2020

Il respiro tonante della Storia


Chi vuole misurare gli eventi, soprattutto se di portata epocale, deve necessariamente uscire dall’immediato per abbracciare il tempo lungo della Storia, la cui grandezza oltrepassa i limiti della cronaca.

Se, nel farlo, si rende conto di non riuscire a cogliere appieno il senso degli eventi e quale posizione, tra le tante possibili, è la più adatta a descriverli, credo che debba avere il coraggio di ammetterlo e, magari, provare ad affinare gli strumenti con cui osserva la realtà.

Può darsi che, così facendo, comprenda la necessità di dotarsi di un metodo e di apprendere alcuni princìpi, così da dare origine a una propria “visione del mondo” e di avere a disposizione una specie di “guida” o, se si preferisce, un manuale dei significati da cui attingere per leggere il presente.

La rivolta di Minneapolis, così come le proteste in altre città americane, compreso il tentativo di assalto alla Casa Bianca, offrono una ghiotta occasione per compiere tale verifica.

Le motivazioni apparenti sono le motivazioni reali?

In questi giorni ho avuto modo di riprendere in mano il corpus dell’opera di Marx, rileggendo con avidità, e rinnovato stupore, le parti dedicate al “metodo” – magistrale la famosa Introduzione a Per la critica dell’economia politica.

Ho persino recuperato, nelle parti nascoste della mia libreria, il voluminoso Genesi e struttura del Capitale di Marx, di Roman Rosdolsky, e l’opera che Ilyenkov dedica al problema della logica dialettica.

Una prima “riconquista”, persino banale, è che il presente non può che essere letto con le lenti della totalità, ovvero come un insieme di determinazioni che interagiscono tra di loro formando una realtà organica, che è storica e sociale.

La realtà è, dunque, una dialettica di forze diverse, a loro volta espressione di determinati interessi economici e dove una porzione di società, quantitativamente molto piccola, impone il proprio modello di sviluppo a tutto il corpo sociale.

Se c’è una cosa che la rivolta di Minneapolis ha reso evidente, così come per altro la stessa pandemia, sono i limiti, anche antropologici, del modello di sviluppo americano (occidentale, per estensione), così come ha reso evidenti i limiti delle rivendicazioni di diritti civili espunti di ogni legame con la giustizia sociale.

Se, da una parte, il modello di sviluppo americano si è dimostrato incapace di estirpare il razzismo, dall’altra ha confermato la sua natura di sistema fortemente polarizzato, dove i privilegi di alcuni (pochi) si fondano sulle ingiustizie subite da altri (tanti).

Questa è la totalità da osservare: la totalità del modello di sviluppo dominante e dei rapporti sociali che regolano la sua economia e la sua politica.

Si tratta di individuare nei fatti di cronaca le modalità con cui quel modello tenta di resistere al proprio declino e, cosa ancora più intrigante, le forme possibili delle rivolte future, che ci saranno e saranno sempre più invadenti e, si spera, in grado di alimentare una metamorfosi sistemica che liberi l’umanità – finalmente – da quanto la blocca in un presente che è profondamente ingiusto.

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