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23/05/2020

La Cina riparte e fa crescere i salari

Ho, come al solito, dato un’occhiata ai giornali italiani sul tema dell’Assemblea del Popolo – il Parlamento cinese – che si sta svolgendo a Pechino. Toni allarmistici e catastrofisti. Unica eccezione, come al solito è Milano Finanza, il cui editore ha una partnership con Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, e quindi ha fonti di prima mano.

Ebbene, in un articolo dal titolo “La road map del governo di Pechino per la riprese“, Milano Finanza informa che ieri il Premier Li Kequinag ha parlato di politiche fiscali e monetarie espansive, senza però fissare obbiettivi quantitativi per il Pil. In particolare, MF pone l’accento su una forte spesa sanitaria.

Il People’s Daily, ieri, parlava di centralizzazione della sanità in accordo con le province. In più il governo destinava fondi per l’aumento delle pensioni a 300 milioni di pensionati rurali e residenti.

E ancora: forti spese per contrastare la disoccupazione con la ratio deficit/pil che viene portata dal 2,8 al 3,6%. Insomma salario sociale globale di classe.

Inoltre 534 miliardi di dollari di taglio tasse a micro, piccole e medie imprese, le quali non dovranno pagare i prestiti e i relativi interessi fino a marzo 2021.

Le banche commerciali (in Cina è in vigore l’equivalente del Glass Steagall Act, abolito negli Usa sotto la presidenza Clinton, vale a dire la separazione tra banche commerciali e banche di investimento per limitare la speculazione finanziaria) aumenteranno quest’anno i prestiti alle imprese del 40%.

Quanto al calo dell’export, provocato dal crollo del commercio estero in seguito alla pandemia, da notizie dal sito di Milano Finanza delle scorse settimane veniamo a sapere che le Commissioni del PCC all’interno delle aziende, le province, i governi locali, stanno spingendo le aziende cinesi a comprare prodotti da aziende cinesi dedite all’export; e le vendite ad aprile sono aumentate del 17%.

Oggi su MF, in un’editoriale di Guido Salerno Aletta che invito a leggere, l’autore ipotizza che la Cina nei prossimi anni, per parare la crisi mondiale, potrebbe seguire il modello francese, vale a dire la riduzione dell’orario di lavoro.

Ebbene dalla stessa fonte veniamo a sapere che la digitalizzazione ormai copre in Cina il 51,3% del pil e aumenterà ancor di più; quindi la produttività è aumentata a dismisura, lasciando spazio a riduzioni dell’orario di lavoro.

Attualmente per legge l’orario di lavoro settimanale è di 40 ore e sono permesse nel mese 36 ore di straordinario. Molte imprese ne approfittano, come ovunque, ma i governi locali, quando fanno controlli, danno multe salatissime alle imprese, le quali sono quindi attente a non sforare.

Quanto alle retribuzioni: a Shangai un operaio guadagna tra 900 e 1.000 euro, un impiegato professionale da 1.200 a 2.000 euro (un impiegato italiano non raggiunge questa cifra) e un impiegato appena assunto, senza esperienza, parte da 700-800 euro.

Da Leo Essen, su queste pagine, abbiamo saputo che l’assegno che Trump sta dando ai disoccupati, in questo momento è di 1.200 dollari; cifra spesso superiore a quella che milioni di lavoratori poveri americani percepiscono.

In che Paese si dovrebbe parlare di catastrofe, dunque?

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