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28/02/2022

Dementia (1955) di John Parker - Minirece

Colloqui Russia-Ucraina ai primi passi. Ma adesso è l’Unione Europea che soffia sulla guerra

A Gomel, al confine tra Ucraina e Bielorussia, sono cominciati i negoziati tra le delegazioni di Kiev e Mosca. La condizione principale che l’Ucraina chiederà alla Russia nei negoziati è un cessate il fuoco immediato con il completo ritiro delle truppe russe dal Paese. Più facile il primo che il secondo.

La delegazione russa è rappresentata dall’assistente presidenziale Vladimir Medinsky, dal vice ministro degli esteri Andrey Rudenko, dal vice ministro della difesa Alexander Fomin, dal capo della commissione esteri della Duma di Stato Leonid Slutskyy e dall’ambasciatore russo in Bielorussia Boris Gryzlov.

Da parte di Kiev, all’incontro hanno partecipato il ministro della difesa Oleksiy Reznikov, il capo del partito Servitore del popolo David Arahamiya, il vice ministro degli esteri Mykola Tochitskiy, il consigliere del capo dell’ufficio presidenziale Mykhaylo Podolyak, il deputato Rustem Umerov e il primo vice capo della delegazione ucraina al gruppo di contatto trilaterale Andrey Kostin.

“Ci stiamo rivolgendo all’Unione Europea per l’adesione immediata dell’Ucraina tramite una nuova procedura speciale” ha fatto sapere il presidente ucraino Zelenski mentre sono in corso le trattative a Gomel.

Un problema, quello dell’adesione alla Ue, che obiettivamente fa a pugni con le procedure di adesione richieste a tutti gli altri paesi, in modo particolare sui parametri economici e lo stato di diritto che l’Ucraina difficilmente può accampare. Un’eventuale doppio standard aprirebbe una contraddizione dentro l’Unione Europea per i numerosi sacrifici richiesti per l’adesione e i contenziosi giuridici passati e presenti con alcuni paesi membri.

Oggi pomeriggio si terrà intanto una nuova videoconferenza fra i leader dei principali Paesi occidentali, l’Ue e la Nato. In tale contesto si segnalano dichiarazioni sempre più belliciste da parte degli stati membri dell’Unione Europea.

“Forniremo all’Ucraina armi importanti, compresi dei jet da combattimento. L’Ucraina ci ha indicato quali può usare e ci sono alcuni Stati membri che li hanno e li forniremo” ha dichiarato l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, al termine della riunione in videoconferenza dei ministri degli Esteri. Lo stesso Borrell ha aggiunto anche che l’Ue ha deciso di fornire 450 milioni all’Ucraina per l’acquisto di armi da guerra e 50 milioni per altri materiali.

Al bellicismo di Borrell ha fatto sponda la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen affermando che l’Ucraina è “una di noi e la vogliamo nell’Unione europea”. Una dichiarazione azzardata visto che, come ha fatto sapere lo stesso presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, “ci sono diverse opinioni all’interno dell’Unione europea sulla richiesta dell’Ucraina di aderire al blocco in modo rapido”. “È una richiesta espressa dall’Ucraina da molto tempo. Ma ci sono opinioni e sensibilità diverse all’interno dell’Ue su un allargamento. L’Ucraina presenterà una richiesta ufficiale, la Commissione europea si esprimerà e il Consiglio si pronuncerà”, ha spiegato Michel ai giornalisti.

Il tutto mentre la Germania annuncia un aumento vertiginoso delle spese militari.

Le dichiarazioni e le scelte belliciste della Ue sono state fatte mentre sono in corso i primi passi delle trattative tra Ucraina e Russia tese ad ottenere almeno il cessate il fuoco. Ormai è un avventurismo allo stato puro quello che si dirama dai vertici di Bruxelles... e di Berlino.

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La Germania si riarma

“Il mondo non sarà più come prima”, si dice ogni volta che un avvenimento di portata strategica, e dunque storica, arriva a cambiare l’equilibrio instabile delle relazioni internazionali.

Questa è una constatazione quasi banale, perché la vera domanda è “come sarà il mondo dopo”?

Una schifezza, certamente. Perché l’unica risposta che sembra prendere piede in Occidente è il riarmo generalizzato. Anche di quei paesi che sulla bassa spesa militare avevano costruito il proprio vantaggio economico.

Gli europei, in particolare, sono stati per oltre 70 anni relativamente tranquilli – l’appartenenza alla Nato ha agitato molto i sonni, impedendo tra l’altro ogni cambiamento sociale – perché la Germania aveva scelto (e gli era stata imposta) la via del disarmo.

Due guerre mondiali, del resto, avevano spiegato al mondo che era meglio che Berlino fosse una capitale “pacifista”. Persino le in fondo piccole partecipazioni alle guerre della Nato (in Africa e Afghanistan) avevano fatto storcere il naso a molti. Vedere in azione mezzi militari targati Wermacht era comunque poco rassicurante.

Ora la svolta. Drastica e di grandi dimensioni, innanzitutto economiche.

In un discorso storico al Bundestag, il cancelliere Olaf Scholz ha annunciato misure fino a qualche giorno fa impensabili per i tedeschi: innanzitutto un fondo speciale da 100 miliardi per rafforzare la Bundeswehr.

“Da ora, anno dopo anno, investiremo oltre il 2% del Pil in difesa“, ha assicurato il Bundeskanzler. Socialdemocratico, peraltro, a dimostrazione che il “progressismo” che questa definizione dovrebbe assicurare è aria fritta, pastura per pesci di bocca buona.

A dimostrazione ulteriore, sarà bene ricordare che la sua coalizione comprende una forza storicamente “pacifista” come i Verdi, ormai da tempo assestati sul fronte guerrafondaio obbediente alla Nato.

Per arrivare alla percentuale del 2% Berlino dovrà investire almeno 100 miliardi di euro subito per “rafforzare l’esercito tedesco”. Naturalmente giustificati con “fini difensivi” (lo sanno tutti che il Niger o il Mali, per esempio, sono “paesi aggressivi” che confinano con la Germania, no?...)

Non si tratta di una decisione ordinaria, visto che per poterla rendere operativa dovrà essere modificata la costituzione, che in Germania è solo una “legge fondamentale” (Grundgesetz) in buona parte scritta dalle potenze occidentali occupanti nel primo dopoguerra (Usa, Francia, Gran Bretagna).

Scholz ha promesso che verrà data priorità a progetti europei per nuovi arri armati ed aerei, con particolare riferimento alla collaborazione con la Francia. L’Eurofighter dovrà essere equipaggiato per la guerra elettronica ed altri velivoli, probabilmente gli F-35, saranno resi idonei al trasporto di armi nucleari.

La nuova linea militarista del governo “giamaica” (socialdemocratici, verdi e liberali) incontra opposizione anche dentro il Parlamento tedesco. Die Linke, in primo luogo, anche se “pesa” abbastanza poco. E persino l’ultradestra dell’Afd critica la gestione merkeliana della vicenda Ucraina – finanziata da Berlino, ma senza alcuna capacità di condizionarne i governi per il rispetto degli accordi di Minsk (che prevedevano la non adesione alla Nato e il riconoscimento di uno status speciale per il Donbass, invece aggredito militarmente per 8 anni tramite le forze paramilitari naziste).

Ma il governo Scholz potrà godere del completo appoggio da parte della Cdu, ormai orfana di Angela Merkel. Con un solo distinguo: ok per tutto quanto riguarda l’Ucraina (invio di armi e apertura ai profughi), ma critica soft per l’”indebitamento” che accompagnerà il riarmo ed anche per la disinvoltura con cui si vuole modificare la costituzione.

Alcuni elementi sono da sottolineare subito.

Per quanto venga enfatizzata la partecipazione ai progetti militari europei e la collaborazione con la Francia, la decisione di Scholz è una scelta solo tedesca, per ora. Non è insomma una linea decisa in sede europea, ma una decisione unilaterale.

Mentre tutti gli altri partner europei faticano a trovare risorse – dopo i grandi stanziamenti per contrastare (malamente) la pandemia e l’ormai vicino ritorno alle politiche restrittive di bilancio – Berlino è l’unica capitale che dispone di fondi sufficienti per riarmarsi, anche senza dover ricorrere al finanziamento sui mercati.

Un vantaggio finanziario che si trasferisce immediatamente sul piano militare.

Da sottolineare anche che in qualche modo la necessità di sviluppare maggiormente un proprio dispositivo militare era emersa durate la presidenza di Donald Trump, che per un verso pretendeva un maggiore impegno finanziario degli europei nella Nato, e dall’altra mostrava molta poca considerazione per i leader del Vecchio Continente.

Ma quei ragionamenti avvenivano nell’ambito degli sforzi europei per mettere in piedi un esercito comune continentale. Ora invece, c’è uno scatto in avanti in solitaria. E, con la tradizione tedesca alle spalle, di certo non è una mossa rassicurante.

Par di capire, per ora, che questa decisione costringerà tutti i partner continentali a fare altrettanto, specie se le spese militari verranno defalcate dal saldo di bilancio sottoposto al vaglio della Commissione Europea.

Sul piano complessivo, però una cosa è già chiara: la Germania riarma, l’Europa dovrà darsi da fare per seguirla. E anche la leadership, se questo è l’andazzo, è già stabilita.

L’imperialismo europeo, se vorrà darsi la strumentazione strategica adeguata alla “competizione” mondiale, dovrà essere molto più tedesco di quanto si poteva pensare prima. Del resto il principale gigante economico del continente non poteva davvero tollerare di restare per sempre un nano militare.

Il gioco di Biden – separare gli interessi europei da quelli russi – è riuscito. Ma l’esito (il riarmo tedesco) potrebbe non essere di quelli più graditi a Washington.

E sicuramente neanche ai popoli d’Europa, per ragioni completamente opposte.

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Guerra in Ucraina, notizie da Mosca

Mentre la delegazione russa attende l’arrivo della delegazione ucraina in Bielorussia per dare inizio ai colloqui in vista di un auspicabile cessate il fuoco, il Ministero degli esteri di Mosca fa sapere che, a causa della chiusura, da parte dei paesi europei, del proprio spazio aereo ai voli russi, l’ONU non è in grado di assicurare l’arrivo a Ginevra del Ministro degli esteri Sergej Lavrov e della delegazione che dovrebbero prender parte alla riunione della Commissione per il disarmo e del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Intanto, nel corso del briefing di ieri pomeriggio, il portavoce del Ministero della difesa russo, il maggior-generale Igor Konašenkov, tra le altre informazioni, ha parlato per la prima volta anche di perdite tra le forze armate russe durante le operazioni in Ucraina, aggiungendo però che queste sarebbero «di molte volte inferiori a quelle dei nazionalisti eliminati e alle perdite tra i militari delle forze armate ucraine».

I leader del regime di Kiev, ha dichiarato Konašenkov, risponderanno immancabilmente delle proprie responsabilità. «Vengono registrati e identificati volti, voci, telefoni, coordinate, indirizzi IP, corrispondenza, di tutti i nazisti ucraini coinvolti negli abusi ai danni dei nostri soldati. Lo stesso vale per i leader del regime di Kiev e i loro esecutori, che esortano direttamente agli abusi contro i militari russi, in violazione della convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra. Sarete tutti scovati e subirete immancabilmente le conseguenze delle vostre colpe», ha detto.

Dall’inizio delle operazioni, Konašenkov ha detto che sono state messe fuori uso 1.067 infrastrutture militari ucraine, eliminati 27 punti di comando e collegamento delle forze ucraine, 38 complessi missilistici della contraerea S-300, Buk M-1, Osa e 56 stazioni di radio-rilevamento, abbattuti 3 droni d’attacco “Bajraktar TB-2”. In totale, sono stati distrutti 254 tra carri armati e blindati, 31 aerei al suolo e altri veicoli militari.

Le ultime di stamattina.

Da RIA Novosti:

La delegazione ucraina è arrivata sul luogo dei colloqui (in Bielorussia, nella regione di Gomel, al confine con l’Ucraina)

Il leader della DNR (Donetsk), Denis Pušilin ha dichiarato che la mobilitazione generale nella Repubblica è sospesa

Dalla TASS:

Le forze del Donbass hanno liberato 17 centri urbani, ha dichiarato il portavoce delle milizie della DNR Eduard Basurin

Le forze russe hanno ora il pieno dominio su tutti i cieli d’Ucraina e hanno preso il controllo del territorio attorno alla centrale atomica di Zaporože, dice il Ministero della difesa russo

I soldati prigionieri confermano che i comandi ucraini stavano preparando un vasto attacco sul Donbass, dice Basurin

Le forze della LNR hanno preso il controllo sui centri di Khvorostjanka, Sukhanovka, Artem (Min. difesa russo)

Reparti russi hanno preso il controllo di Berdjansk e Ènergodar (Min. difesa russo)

Le forze della DNR sono avanzate di 19 km e hanno preso il controllo di Ajdar e Volnovakha (Min. difesa russo)

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Gli Usa provocano anche la Cina

Si vede subito chi ama la pace, smorza i toni e persegue un giusto equilibrio internazionale fondato sul diritto.

Mentre tutto il mondo guarda con giusta preoccupazione agli eventi in Ucraina, c’è chi pensa ad alzare la tensione dalla parte opposta del mondo.

Una nave da guerra statunitense ha infatti attraversato lo stretto di Taiwan, scatenando l’ira cinese che, in tutta risposta, ha inviato le sue forze per seguire e monitorare il transito del mezzo. Lo ha comunicato il Comando orientale dell’esercito cinese.

È piuttosto complicato, anche per uno sceneggiatore di Hollywood, riuscire a giustificare questa provocazione. Che, in termini militari, equivale a mandare un cacciatorpediniere – russo, cinese o di qualsiasi altro paese – davanti a New York o Washington.

Comunque la si pensi sullo status di Taiwan – isola cinese su cui si rifugiarono le residue truppe di Chang Kai Shek, più volte sconfitte dall’Esercito del Popolo guidato da Mao, nel 1949 – sicuramente il braccio di mare tra l’isola e la Cina non è di pertinenza statunitense.

Per chi invoca i “principi del diritto internazionale” dovrebbe essere scontato che fare una cosa del genere è una provocazione pura e semplice. Idiota quando il mondo è relativamente tranquillo, da folli quando già si balla sull’allerta nucleare per una guerra in Europa.

Ma gli Stati Uniti – con presidente democratico o repubblicano – sono fatti così: il mondo dovrebbe essere a loro disposizione, senza resistenze e senza interessi differenti.

“Il cacciatorpediniere lanciamissili statunitense USS Ralph Johnson (DDG-114) ha navigato nello Stretto di Taiwan il 26 febbraio. Il Comando orientale dell’esercito popolare di liberazione cinese (Pla) ha inviato le sue forze per seguire e monitorare il passaggio della nave da guerra americana nell’intero transito”, ha affermato, in una nota il colonnello Shi Yi, portavoce del comando del teatro orientale.

“È ipocrita e inutile che gli Stati Uniti conducano questa azione provocatoria nel tentativo di rafforzare le forze dell’indipendenza di Taiwan“, ha aggiunto.

Secondo la Settima Flotta Usa, invece, si tratterebbe di “un transito di routine attraverso le acque internazionali”. Così “di routine” che per la seconda volta nel 2022 la Marina americana decide di fare un’incursione del genere rivendicando una “libertà di navigazione” nelle acque del mar Cinese meridionale e orientale.

“Il transito della nave dimostra l’impegno degli Stati Uniti per un Indo-Pacifico libero e aperto”, ha detto il portavoce Nicholas Lingo, secondo cui “le forze armate Usa volano, navigano e operano ovunque il diritto internazionale lo consenta”.

L’avventurosa provocazione statunitense è avvenuta il giorno dopo che le marine statunitensi e giapponesi hanno dato “una massiccia dimostrazione di forza nel Mar delle Filippine”, mettendo insieme una flottiglia che includeva due portaerei della US Navy, due navi d’assalto anfibie statunitensi e un cacciatorpediniere giapponese per elicotteri, essenzialmente una piccola portaerei.

Anche due incrociatori missilistici statunitensi e cinque cacciatorpediniere facevano parte dell’esercitazione. Il Mar delle Filippine è l’area dell’Oceano Pacifico a est di Taiwan, tra l’isola autogovernata e i territori statunitensi di Guam e le Isole Marianne Settentrionali.

Non c’è molto altro da aggiungere. La pazzia che i media occidentali attribuiscono al solo Putin sembra essere molto diffusa tra gli inquilini della Casa Bianca.

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La pace tra gli oppressi, la guerra agli oppressori

Mentre scriviamo, continuano i combattimenti in Ucraina. Non ci piacciono le guerre tra Stati, non ci piace il nazionalismo. Sappiamo che tra i russi esistono lavoratori e sfruttatori, lo stesso tra gli ucraini. I nostri fratelli e le nostre sorelle sono i popoli che vengono sfruttati ad ogni latitudine: sappiamo che il loro riscatto avverrà solo unendosi contro chi li opprime, contro il sistema che li sfrutta.

Si dice che gli avvenimenti di questi giorni sarebbero l’“ora più buia per l’Europa”. Ci viene detto, con tonnellate di retorica e bugie, che la guerra è tornata in Europa per la prima volta dal 1945.

Nel 1999 le truppe USA con l’aiuto dei paesi NATO europei bombardarono per 80 giorni Belgrado(1). Allora non si disse nulla, allora i finti pacifisti che oggi scendono in piazza in difesa del governo filonazista ucraino, erano tra coloro che inviavano i bombardieri sulla Serbia.

Ancora, ci viene detto che l’invasione dell’Ucraina è ingiustificabile. Evidentemente dobbiamo pensare che il colpo di Stato in Ucraina, finanziato e foraggiato dagli USA in combutta con le bande paramilitari neonaziste, fosse giustificato, visto che i governi e le cancellerie lo hanno alimentato e sostenuto(2). Così come era giustificato il massacro nella casa dei sindacati di Odessa, dove furono bruciati vivi decine di compagni e compagne dai nazisti ucraini, intenti a festeggiare la conquista del potere sotto lo sguardo benevolo della polizia di quello Stato(3).

In Donbass le repubbliche popolari vivono sotto i bombardamenti dell’esercito ucraino da otto anni. Secondo l’OCSE, il conflitto ha fatto 14 mila morti(4). Ci vuole una buona dose di coraggio, alimentata da una propaganda nauseante, per sostenere che la guerra è stata iniziata dalla Russia.

Alcuni compagne e compagne ci spiegano che dobbiamo stare alla larga da Putin, che il suo regime è infarcito da uno spirito biecamente nazionalista e anticomunista. Lo sappiamo, non certo da oggi. Ma il nazionalismo altro non è che il prodotto determinato dalla fine dell’URSS (con contorno di referundum traditi e sollecitazioni ai popoli in senso nazionalista allo scopo di smembrare la federazione sovietica(5)). Che si sviluppi il nazionalismo non è poi tanto strano, visto che è stato alimentato, sostenuto e foraggiato da chi oggi se ne lamenta perché si ritorce contro i propri interessi immediati. Esattamente la stessa storia che è accaduta e accade con le bande islamiste che imperversano in varie aree del pianeta. Erano i migliori amici della NATO quando combattevano (e combattono tutt’ora) contro i paesi socialisti, sono diventati nemici quando si sono ritorti contro i loro interessi.

L’intervento russo è pericoloso, può innalzare il livello di scontro verso una guerra incontrollabile. Ma il conflitto non lo ha alimentato la Russia. La NATO sta accerchiando la Russia da decenni(6). Ogni tentativo di ragionare su questo fatto è stato sempre rifiutato dagli USA e dall’Unione Europea. Oggi, dichiararsi pacifisti e scendere in piazza a sostegno di una organizzazione criminale che negli ultimi anni ha colpito indiscriminatamente in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Siria è semplicemente impossibile.

Pensiamo che occorra porre un freno all’escalation. Pensiamo che sia opportuno un ritorno al negoziato. Ma tutto questo non significa equidistanza. Oggi siamo solidali con i popoli del Donbass che dopo anni di sterminio hanno la possibilità di sopravvivere. Il fatto che, in questi anni, la scintilla proletaria che si era accesa in quel quadrante sia venuta meno e si sia rifugiata sotto le bandiere nazionaliste non può farci dimenticare che quel popolo coraggioso e antifascista stava subendo un genocidio. Il fatto che questo possa finire è da considerarsi una vittoria dell’umanità.

Crediamo che russi e ucraini, così come i popoli di tutto il mondo debbano vivere in pace e non dividersi su base nazionale. Hanno entrambi da lottare contro le proprie oligarchie.

Noi dobbiamo lottare contro le nostre. Noi dobbiamo lottare per la pace, ma non quella che piace alla NATO o all’Unione Europea. Semplicemente perché quella non è pace.

Oggi il sistema capitalista è in grandissima crisi. L’aggressività della NATO nei confronti dei competitori si svolge in una situazione in cui il mondo sta cambiando. In cui a vecchi poteri se ne sostituiscono di nuovi. Gli USA e la NATO potrebbero perdere il dominio sul mondo. Da qui la loro aggressività verso tutti coloro che non sono direttamente piegati ai loro interessi. Da qui la loro volontà di perpetrare il proprio dominio, imponendo con la forza militare il raggiungimento dei propri interessi. Gli interessi di pochi padroni contro il resto dell’umanità.

Ma i popoli oppressi del mondo non hanno da preoccuparsi di questo. Hanno invece la necessità impellente di organizzarsi perché a una oppressione non ne venga sostituita una diversa.

Hanno invece da costruire un Nuovo Mondo in cui l’oppressione non avrà più ragione di esistere. In cui le guerre saranno quelle di liberazione, non Stato contro Stato, ma lavoratori contro sfruttatori.

La possibile disgregazione della NATO e dei suoi alleati ci parla di una prospettiva che oggi non siamo in grado di sfruttare o determinare, ma apre una possibilità per tutti i popoli.

Lottare e avanzare su questa strada significa combattere il proprio nemico tutti i giorni con le lotte sociali, contro i traffici di armi, per la solidarietà internazionalista. Il nostro nemico non è un popolo, non è una etnia, ma è una classe sociale, quella dei padroni e dei loro gendarmi che si chiamano NATO e Unione Europea.

Collettivo Comunista Genova City Strike

CALP, Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali

Note:

1) Da Diritti Globali (l’articolo è uscito sul Manifesto).

«Buona sera signore e signori. Ho appena dato ordine al comandante supremo delle Forze alleate, il generale Clark, di dare inizio alle operazioni nella Repubblica federale di Jugoslavia». Sono le 23 del 23 marzo 1999 e questa fu la dichiarazione di venti anni fa del segretario della NATO, lo spagnolo Javier Solana, ahimé socialista e attivo protagonista delle nostre manifestazioni pacifiste negli anni ’80. (Ma si sa che la pace è cosa da ragazzi, gli adulti si occupano di politica internazionale). Il 24 marzo, alle 20:25, il primo bombardamento su Belgrado; il 26 le «operazioni», chiamate interventi umanitari, sono già 500. Dureranno 78 giorni e scaricheranno 2.700 tonnellate di bombe. (Molte settimane, perché, alla domanda posta dall’allora presidente del Consiglio D’Alema il 5 di marzo – «che faremo se Milosevic resiste?» «Continueremo a bombardare» – il consigliere dell’allora presidente americano Clinton, Sandy Berger, aveva risposto: «che faremo se Milosevic resiste?» «Continueremo a bombardare»).

2) La rivoluzione colorata ucraina cominciò nel novembre del 2013. Le proteste scoppiarono il giorno dopo la rottura delle trattative tra l’Ucraina e l’Unione Europea per un accordo di libero scambio. Per il Presidente Janukovich significava che l’Ucraina si sarebbe dovuta riavvicinare alla Russia. Inizialmente le proteste erano appoggiate dall’Unione Europea. Dopo poco, gli USA presero in mano la situazione anche attraverso la mobilitazione di combattenti nazisti inquadrati in milizie che entreranno poi nelle istituzioni politiche e militari ucraine.

3) La strage di Odessa avviene il 2 maggio del 2014. L’assedio dei nazisti dura ore. In rete è presente un lungo video che lo documenta. Il massacro fu inizialmente addebitato ai filo russi. Il giornale del PD l’Unità titolò in tal senso nei giorni successivi. Da Wikipedia:
Il nuovo governo ucraino a capo di Oleksandr Turčynov e Arsenij Jacenjuk si limitò a parlare di una fatalità che era costata la vita a circa 30 persone. Il Ministro degli Interni ucraino e la Polizia sostennero da subito che i manifestanti anti-governativi fossero rimasti uccisi dalle fiamme scaturite dai loro stessi lanci di bombe molotov. Anche la stampa vicina al nuovo governo attribuì l’incendio ai manifestanti filo-russi. Ben presto questa versione venne smentita dalle testimonianze dei sopravvissuti e di vari osservatori.
Il Parlamento europeo si espresse in tal senso:
«Numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell’edificio a uccidere coloro che si trovavano all’interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere. Esistono filmati che mostrerebbero poliziotti sparare sui disperati che cercavano di fuggire dalle finestre e tutte le prove disponibili indicano che gli assedianti intendevano uccidere».
Ad oggi (2022) nessun processo è stato intentato per la strage.

4) I dati dei morti differiscono a seconda degli enti. Si parla comunque di più di 10 mila morti.

5) Il referendum si tenne il 17 marzo del 1991 con il seguente quesito:
«Considerate necessario preservare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come una rinnovata federazione di repubbliche uguali e sovrane in cui saranno pienamente garantiti i diritti e la libertà dell’individuo di ogni nazionalità?»
Il referendum si tenne in quasi tutte le Repubbliche dell’ex URSS. Non parteciparono Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia e Armenia dove però alcuni soviet locali organizzarono seggi. Il risultato fu una affluenza intorno all’80% degli aventi diritto con il “sì” che prevalse al 78%.

6) Per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente una immagine che riporta i confini della NATO nel 1998 e nel 2022. In rosso i paesi aderenti alla NATO.


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Il separatismo in Ucraina e la “mina bolscevica” di Putin


Scrivendo delle Repubbliche popolari del Donbass, quasi tutti i mezzi di apostolato euroatlatico italici ricorrono spesso all’appellativo di “separatisti filo-russi”, o semplicemente “separatisti”, volendo far intendere che l’unica motivazione che spinge le milizie e gran parte della popolazione del Donbass sia esclusivamente quella dell’unione alla Russia e che dietro di loro ci sia necessariamente l’ombra del Cremlino.

Ora, tralasciamo per un attimo i rapporti attuali, consolidatisi negli ultimi tempi (non quelli del periodo immediatamente seguente al 2014) tra leadership di L-DNR e della Russia e guardiamo invece quali fossero le motivazioni ideali che spinsero «minatori e trattoristi» – l’espressione fu del leader della DNR, Aleksandr Zakharčenko, assassinato in un attentato a Donetsk nell’agosto 2018 – a ribellarsi, otto anni fa, prima contro il golpe a Kiev e, poi, quando la junta attaccò militarmente le regioni che resistevano alla nazificazione del Paese, a prendere le armi per difendere la propria terra.

Proprio in quel primo periodo, e ancora per almeno due-tre anni, accanto ad alcune spinte indubbiamente nazionaliste (e in alcuni casi “grandi-russe”), le ragioni di gran parte delle milizie e della popolazione che li sosteneva convintamente avevano uno spiccato senso antifascista, con motivazioni ideali socialiste e rivendicazioni che prevedevano anche la nazionalizzazione di industrie e miniere di proprietà degli oligarchi post-sovietici, ucraini e russi.

Solo in malafede si può dunque parlare di “separatismo”, nel senso gretto del termine, se non per denigrare la lotta di una popolazione che si opponeva e si oppone al nazismo di un potere centrale sponsorizzato, addestrato e diretto da ben precisi poteri, al di qua e al di là dell’Atlantico.

Non a caso, tra le centinaia e centinaia di “analisi” dedicate all’Ucraina dagli evangelizzatori europeisti, solo raramente si prendono in considerazione i focolai di “irredentismo” – questo sì, separatista – che esistono nelle regioni occidentali e sudoccidentali del Paese.

Quando lo si fa, è quasi per inserire un corollario alla “tesi” che si intende inculcare, di un separatismo tout court delle regioni del sudest; per “dimostrare” cioè come, a ovest, le ambizioni alla separazione da Kiev e all’unione alle entità statali di cui quelle minoranze si sentono parte, siano cosa accettabile, a differenza delle aspirazioni del sudest, “colpevoli” di volere la disintegrazione dell’Ucraina, ma, soprattutto, di aver dato vita a un movimento di massa, di popolo, che non ha nulla a che vedere con il separatismo di piccoli gruppi animati da localismi e da un “patriottismo” puramente nazionalistico.

E anche in certa “sinistra”, quando si mettono in rilievo le differenziazioni nazional-territoriali ai “quattro angoli” dell’Ucraina, lo si fa quasi alla maniera putiniana, per “dimostrare” quale «mina» avessero «messo i bolscevichi» non solo «sotto l’edificio che si chiama Russia... sotto l’edificio dello Stato unitario», ma anche sotto tutta una serie di ex Repubbliche sovietiche, sconvolte da reciproche rivendicazioni territoriali, eccessi di nazionalismo, ecc.


Si infioretta la storia, transitando fluidamente dall’impero russo, al periodo sovietico e poi alla Russia borghese, mitizzando le “conquiste” zariste, canonizzando le famiglie imperiali che fecero stragi di rivoluzionari e di operai (per tutti: il massacro del Lena nel 1912, quando i gendarmi zaristi, così fedeli alla “madre Russia”, agirono a difesa di proprietà straniere) le “riforme” stolypiniane e la “democratizzazione” della nuova Russia, in modo da accusare di ogni male i malvagi e sanguinari bolscevichi, che turbarono, come un “corpo estraneo”, il fluido corso storico russo.

Si fa questo, eludendo ogni mutamento (e che mutamenti) nei rapporti di classe tra feudalesimo e servitù della gleba zaristi, dittatura del proletariato, controrivoluzione borghese.

In questo modo, si evita di dire che quella “mina” è stata innescata non dai bolscevichi, non da Lenin per il sudest dell’Ucraina, non da Stalin per il sudovest, ma da chi si era posto l’obiettivo di affossare il socialismo e, con ciò, l’Unione Sovietica.

A frantumare il tanto mitizzato impero russo, non furono i bolscevichi, ma i borghesi Costituzional-Democratici, Ottobristi, Menscevichi, Social-Rivoluzionari. I bolscevichi non fecero che rovesciare il regime borghese sostenuto dagli “Alleati” per la continuazione della guerra.

Ad affossare l’Unione Sovietica furono i Gorbačëv, gli Ševardnadze, gli Eltsin, i Sobčak (“padrino” politico di Putin) & Co.

Quanto alla frantumazione dell’Impero russo, basti dire che se nella guerra civile avessero prevalso i generali “bianchi” che, a detta di Putin, «sostenevano una Russia indivisibile» e ai quali si innalzano oggi monumenti a ogni angolo del paese, non solo non sarebbe esistita nessuna URSS, ma la stessa Russia già 100 anni fa sarebbe stata spezzettata in tanti “protettorati”, fornitori di materie prime per i monopoli mondiali.

Con un tocco magico, con la pura enumerazione cronologica della storia, vista attraverso un idealistico “continuum statale” – la “statualità”, di cui parla così spesso Vladimir Putin, come a voler esorcizzare, con tale termine, l’essenza di classe dello Stato, trasformato in una entità astratta – si transita naturalmente dal XII al XXI secolo, con una sola parentesi di 70 anni di “sciagure”.

Scompaiono i rapporti tra le classi, l’evoluzione sociale, l’emancipazione da feudalesimo e servitù della gleba al nascente capitalismo russo, da quella grandiosa pietra miliare nella storia mondiale che fu il potere operaio e contadino, alla restaurazione capitalistica, così che rimane la pura e mistica idea di uno Stato della “madre Russia” e della “Russia storica”, soggetto astratto in cui le classi svaniscono nel vuoto.

Ora, tornando alla questione del separatismo in Ucraina, questo esiste per davvero. In epoca sovietica, i separatisti chiedevano il distacco dall’URSS, tanta era la “spinta ideale” dei nazionalisti ucraini. Oggi, paradossalmente, è alimentato dalla volontà accentratrice di Kiev, che rifiuta ogni accenno a ipotesi confederative.

Ma, ovviamente, si tende a nasconderne le vicende, dirottando l’attenzione esclusivamente sul “separatismo filo-russo”. Ad esempio, a intervalli regolari, scoppi di separatismo si ripetono in Transcarpazia, alimentati da piccoli gruppi, con debolissimi o nessun legame con la popolazione.

Tendenze separatiste esistono in varie aree dell’Ucraina, così come le minacce al loro indirizzo da parte delle organizzazioni neo-naziste e nazionaliste.

Opinione diffusa in Ucraina è ad esempio quella secondo cui più attivamente Vladimir Zelenskij si sbraccia per l’euro-integrazione e l’adesione alla NATO, più forte risuona l’opposizione di Polonia, Ungheria, Romania, che non desiderano affatto vedere l’intera Ucraina nella NATO, ma vorrebbero vedervi solo i territori che loro fanno più gola: regione di L’vov, Bukovina, Transcarpazia.

Quelli in cui, alla massiccia ucrainizzazione proclamata da Kiev, la risposta di Varsavia, Budapest o Bucarest è quella di alimentare il separatismo, con la concessione di passaporti, la sponsorizzazione di Centri, scuole, comunità etnico-linguistiche che contano “minoranze” del 12-13% e, in alcuni casi, agglomerati urbani abitati al 100% da tali minoranze.

In molti casi, si assiste a una contrapposizione “inter-nazista”, tra squadracce locali dei diversi battaglioni ucraini e i vari “Lager della Grande Polonia”, “Nuove destre” rumene, “Legioni ungheresi”, ecc.: in molti casi, su entrambi i fronti, si contrappongono riedizioni di raggruppamenti nazionalisti e filo-nazisti degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso.

Quello di cui si manca quasi completamente di far cenno è, ad esempio, il nazionalismo e il separatismo della Galizia, sempre attivo – in maniera aperta ora, per ovvi motivi, in periodo sovietico, più mascherata – a partire dall’opposizione alla Rivoluzione d’Ottobre, tra il 1917 e il 1922.

Poi con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e, quindi ancora negli anni ’60-’80, facendo sì che proprio l’Ucraina occidentale – maggiormente influenzata dal nazionalismo più gretto – dai richiami del patriarcato ucraino (contrapposto a quello russo) e dai rimandi alla cosiddetta Repubblica popolare dell’Ucraina occidentale, nettamente anti-sovietica, sia stata l’area del più aperto separatismo, autoproclamatasi “locomotiva ucraina” per l’euro-integrazione.

Ma, secondo Vladimir Putin, sono stati i bolscevichi a minare, in vari modi, la “Russia storica”: in particolare, quando dettero vita alla Repubblica socialista sovietica d’Ucraina.

Il fatto è che Putin sembra dimenticare che la RSSU vide la luce solo nel gennaio 1918 (quattro anni prima della nascita dell’URSS) in contrapposizione alla Repubblica popolare ucraina (RPU), borghese, nata nella primavera 1917 sulla scia della “rivoluzione” borghese di febbraio in Russia.

E se Putin parla del nazionalismo che sarebbe stato provocato dai bolscevichi e sarebbe alle origini della disgregazione della “Russia storica”; se sostiene che approvando il «diritto per le repubbliche a separarsi liberamente dall’Unione... gli autori hanno piazzato alla base della nostra Statualità la più pericolosa bomba a orologeria, che è esplosa nel momento in cui è svanito il meccanismo di sicurezza fornito dal ruolo guida del PCUS, cioè quando il partito stesso è imploso», allora è il caso di ricordare che, in generale, il partito non è «imploso» per cause sovrannaturali, ma affossato da chi sapeva che, togliendo di mezzo il partito, si sarebbe sfilacciato il legame ideale che univa gli operai, i kolkhoziani, gli intellettuali delle 15 Repubbliche sovietiche,

Da chi insomma sapeva – molte delle figure tutt’oggi vicine o direttamente ai vertici russi – che, dove sorge il mercato, crescono anche il nazionalismo, il separatismo, la lotta per le sfere di influenza, per le risorse, ecc.

Ed è anche il caso di ricordare che, nello specifico dell’Ucraina, proprio la RPU di cent’anni fa scaturiva dal nazionalismo delle élite locali, di latifondisti e capitalisti, sconfitti solo dall’internazionalismo dei bolscevichi, ucraini e russi, dal potere operaio e contadino.

L’unica eredità della “Russia storica” rimasta nella RSSU dopo il 1917 furono la miseria e l’analfabetismo dell’osannato impero russo: quelle sì “minate”, anzi deflagrate con la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e liquidate completamente dalla “dittatura staliniana”.

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Ucraina: e le ragioni di Mosca?


La proposta di negoziato avrà un suo primo atto nelle prossime ore in Bielorussia. Zelensky negozierà con l’auricolare dal quale la Casa Bianca gli dirà persino come respirare. Mosca attende che vi siano le condizioni per la tregua richiesta da Zelensky, che chiede tutto e il contrario di tutto a distanza di due tweet. Una buona notizia comunque, ma lo step che conta è il prossimo con Biden. La fine della guerra non comporta necessariamente la fine delle ostilità, ma chiedere una tregua senza proporre contemporaneamente una riunione dove aprire il confronto è azione ipocrita e velleitaria. Se si vuole fermare l’azione militare ne serve una politica. Il resto è avanspettacolo.

Servirebbe un quadro veritiero della situazione a Kiev e non immagini dei bombardamenti in Siria o nella ex Jugoslavia spacciati per bombe russe in Ucraina. Tra i paradossi cialtroneschi spicca la manifestazione di israeliani nei territori occupati della Palestina che protestano contro l’occupazione russa dell’Ucraina! Tra le migliaia di fake news brilla la storiella inventata degli eroi dell’isola dei serpenti che sarebbero morti insultando i russi: niente di più falso, gli 82 militari si sono arresi senza sparare un colpo e la Russia ha già diffuso il relativo video. Ma è rimarchevole anche la scena del padre che saluta il figlio che scappa dalle bombe: non erano di Kiev, era una famiglia del Donbass e scappava verso la Russia. E così diverse altre immondizie spacciate dai giornali, radio e tv affiliati alla NATO. Tutto già visto. La propaganda di Zelensky si copre di ridicolo. Sul ponte di comando delle fake news c’è il MI-6 inglese, come già fece per la Siria.

Le ovvie proteste occidentali circa l’inviolabilità di uno stato sovrano da parte di chi negli ultimi anni ha invaso quattro paesi ed ha causato circa 2 milioni di morti non sono serie. Ascoltare l’indignazione occidentale per l’invasione dell’Ucraina da chi ha occupato e distrutto Libia, Siria, Iraq e Afghanistan appare ridicolo.

I più benevoli con la Russia dicono che sia un errore strategico, i più stupidi che Putin ha perso il controllo della situazione. Dal punto di vista del Diritto Internazionale nessuna invasione può essere accettata; appunto, nessuna e in nessun luogo, non solo in Ucraina. Dal punto di vista del consenso internazionale, non favorisce in nessun modo Mosca, sia sotto il profilo dell’immagine sia nelle relazioni internazionali. Comporta un indubbio vantaggio per gli Stati Uniti e riduce i mercati per l’economia russa.

Ma allora, perché? Se si vuole capire da dove nasce e in che contesto si sviluppa, sarebbe bene non incedere sul cammino della satanizzazione di Putin, o della sua presunta pazzia, un cammino già intrapreso contro tutti gli avversari di Washington, da Gheddafi a Saddam fino ad Assad passando per Kim Jong Il e Lukashenko. Più serio cercare di capire ragioni e obiettivi di una decisione che il Cremlino ha considerato inevitabile.

Pensare che la Russia lanciasse un allarme circa la situazione che si veniva determinando con l’entrata nella Nato e nella UE di Kiev e che minacciasse a vuoto, è stato un grave errore di valutazione, frutto della russofobia che risiede alla Casa Bianca e che ha dato il via alle operazioni militari russe.

Le richieste di Putin sulla sicurezza russa erano state ignorate, addirittura fatte segno di disprezzo ed i relativi avvertimenti che aveva lanciato erano stati snobbati. Eppure il presidente russo aveva invitato a non superare la “linea rossa”, ovvero a fermare il procedimento d’ingresso dell’Ucraina nella NATO. L’allargamento della NATO, come ampiamente dimostrato, non risponde alle esigenze di maggiore sicurezza ma a quelle di maggiore dominio occidentale. L’ingresso dell’Ucraina è un vettore di accelerazione importante verso l’obiettivo: circondare la Russia e colpirla non appena possibile per azzerarne la crescita ed occupare anche il resto dell’Europa e la parte asiatica dei suoi territori. Perché Mosca dovrebbe rimanere a guardare la NATO che la circonda in attesa di colpirla?

La Russia pretende una neutralità militare dell’Ucraina e con molte buone ragioni, tra queste che non vuole e non può consentire ad un governo di destra, fortemente influenzato da formazioni naziste incorporate nel Ministero della Difesa e dell’Interno, (il famigerato battaglione Azov su tutte e di altre formazioni come Settore destro, i Patrioti dell’Ucraina e i Battaglioni di difesa territoriale) di disporre di armamenti e di un vincolo politico-militare di levatura internazionale.

La richiesta di Zelensky di adesione alla NATO e alla UE, ha rotto definitivamente gli accordi di Minsk e fatto scattare le operazioni militari. L’Ucraina non può essere immaginata come paese NATO, perché non è accettabile per Mosca che sia trasformata in una rampa di lancio missilistica alle porte della Russia, oltretutto con il bottone dello start in mano a chi sventola vessilli nazisti e fa professione di odio antirusso.

La Russia ha pagato con 22 milioni di morti la tragedia nazista e nessuno con un minimo di decenza e di onestà intellettuale può chiedergli di restare indifferente nel vedere una parte del suo popolo bombardato e costretto a ritirarsi avendo missili nemici e bandiere con la svastica alle proprie frontiere.

Mosca aveva chiesto anche l’immediato stop ai bombardamenti dell’esercito ucraino sulle popolazioni civili di Lugansk e Donetzk, che dal 2014 sono costati 15.000 morti nell’assoluta indifferenza occidentale. Tremila giorni di bombe, cecchini e terrorismo contro gli abitanti russi della Regione che non hanno scandalizzato nessuno, non hanno visto manifestazioni per la pace o sanzioni, riunioni urgenti o decisioni da parte dell’Occidente che invece applaudiva o si girava dall’altra parte.

Alla disponibilità di dialogo da parte di Mosca, l’Ucraina rispondeva bombardando ininterrottamente il Donbass; questo ha fatto capire al Cremlino come ogni apparente disponibilità al dialogo fosse in realtà tattica dilatoria, perché ogni spazio di mediazione si era esaurito. Anzi si stava approfittando della disponibilità a negoziare per accelerare sia il processo di entrata di Kiev nella NATO che lo sfondamento in Donbass, per poter così arrivare ad un eventuale tavolo negoziale da una posizione di forza sul campo.

A questo punto il governo russo ha rotto ogni titubanza e fatto da parte ogni calcolo tattico sull’opportunità di rimanere agganciata al dialogo con un Occidente che stava barando per l’ennesima volta come già sugli accordi per i missili a breve e medio raggio e su quelli sulla sicurezza dei cieli.

Quando è in gioco la sicurezza nazionale e la difesa dei russi, a Mosca ci si alza dalla scacchiera e si agisce. Dalla Cecenia fino all’Ucraina questo è stato un punto irrinunciabile. Perché prima della tattica ci sono i principi, che per Putin – come per alcuni altri capi di Stato – non sono negoziabili. Il principale di questi risiede appunto nel garantire l’inviolabilità del territorio russo, la difesa della sua popolazione, la sovranità della nazione. Di questo si tratta.

I russi hanno già esposto la modalità del loro intervento, fino ad ora destinato alla distruzione delle basi militari e dell’aviazione, al controllo degli aeroporti e delle vie di comunicazione. Non vi sono attacchi militari alle città e vittime civili, nonostante le menzogne a mezzo stampa.

Se l’Occidente darà prova di aver compreso come Mosca non stia scherzando, allora la presenza russa in territorio ucraino sarà di breve durata e sostanzialmente dedicata solo alla dichiarazione di neutralità dell’Ucraina e alla sua “denazificazione”. Ovvero alla messa in condizione di non nuocere delle bande paramilitari naziste che aggrediscono con atti di terrorismo il Donbass ed esercitano una forte influenza sul governo e il terrore sulla popolazione civile russofona.

I nazi-atlantici, i nuovi contras

Le sanzioni finanziarie, politiche, diplomatiche in Occidente sono già note, quello che non è ancora noto è chi davvero pagherà il prezzo. Sul piano politico-affaristico si tratta di mantenere il legame di interessi tra il sistema oligarchico ucraino e Washington, che ha permesso in questi anni agli USA di depredare l’Ucraina molto più di quanto inviato in aiuti militari. La famiglia Biden ne sa qualcosa, anzi molto.

Risposte militari, invece, non si prevedono. Le parole di Stoltenberg ribadiscono come la NATO si limiterà a rafforzare il suo contingente in Polonia e nel Baltico e stanno ad indicare l’intenzione di non retrocedere dalle posizioni acquisite sulla scacchiera dell’Est più che di avanzare aggiungendo l’Ucraina. Per garantirsi una continuità della sua influenza all’interno del sistema politico e della società ucraina, la NATO ostacolerà con ogni mezzo l’insediamento di un governo che intenda cooperare con Mosca sulla sicurezza regionale.

Quali che siano gli sviluppi della crisi militare, si vorrà costituire un blocco paramilitare e politico che lavori alla diffusione di un odio antirusso che sia il cemento ideologico di una forza politica ucraina destinata a tenere in vita il legame di dipendenza con l’Occidente. L’obiettivo militare è di non disperdere le forze dei gruppi neonazisti che in questi anni hanno ottenuto sostegno dagli oligarchi ucraini e dagli Stati Uniti, e salvaguardare il sistema di relazioni intessuto con altre frange neonaziste nell’Est europeo.

D’altra parte la NATO dimostra la sua idea di sicurezza addestrando da anni i 1.260 membri del criminale Battaglione Azov, responsabile tra molti altri crimini di aver bruciato vive 42 persone ad Odessa che si erano rifugiate nella sede del sindacato. Riempirà di armi e munizioni, consiglieri e dotazioni le bande naziste ucraine e si tenterà di far convergere quell’internazionale nera dal resto dell’Europa dell’Est, dalla Spagna e anche dagli stessi USA. E’ la colonna vertebrale del neonazismo filo-atlantista ucraino, che verrà ribattezzato dalla propaganda occidentale come “resistenza ucraina” ma che avrà sostanzialmente il compito di generare anche attraverso il terrorismo interno un clima di incertezza politica che impedisca la formazione di un governo che non sia agli ordini della NATO.

Una sorta di riedizione delle formazioni contras utilizzate contro il Nicaragua degli anni ’80, quando il governo statunitense formò un esercito composto da ex membri della Guardia Nazionale di Somoza che vennero supportate da mercenari provenienti da ogni parte del mondo.

Si tenterà di ripetere il tutto in Ucraina, sognando un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa. Parallelamente si decideranno altre sanzioni e nuove provocazioni nell’intento di circondare ed asfissiare Mosca. Ma provare a rinverdire il sogno di una Europa che mette la Russia con le spalle al muro è già costato la caduta di Napoleone, di Hitler e Mussolini. Non sarà la NATO, specializzata in sconfitte, ad avere la meglio.

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L’Unione Europea gioca con la guerra

Il Modo di Produzione Capitalista è caratterizzato da una peculiare configurazione dello spazio, che consiste essenzialmente nel fenomeno verificatosi durante il passaggio dal feudalesimo al capitalismo: questo non è più determinato dalla contraddizione tra campagna e città, ma dall’articolazione tra il centro e la periferia e, come avviene nel periodo attuale, può cominciare ad essere analizzato in termini statistici semplici.

È interessante notare che i taccuini e gli scritti di Marx dalla metà degli anni Quaranta dell'800 in poi affrontano queste contraddizioni nel sistema di Smith, anticipando in qualche modo gli studiosi contemporanei.

In effetti il peso dell’economia nordamericana, misurato dalla sua capacità di generare salari e benefici, in termini di redditi da capitale a partire dai profitti (cioè il PIL finale), mostra un andamento ciclico, con punti di svolta nel 1980, 1985, 1995, 2001…

Tutto ciò si osserva calcolando l’evoluzione del peso del PIL pro capite degli Stati Uniti, in dollari correnti del 2015 tra il 1970 e il 2019. Ogni cinque anni cambia il peso dell’economia statunitense, e ogni dieci anni si verifica un ciclo completo, durante il quale l’economia statunitense oscilla tra il 25% e il 32% del PIL mondiale.

Ma nel 21° secolo le cose cambiano sostanzialmente. Nel 2005-2006 non vi è alcuna tendenza verso una fase di ripresa rispetto al resto del mondo; al contrario, l’economia statunitense è ancora in recessione, per cui possiamo dire che la crisi del 2009 è stata in realtà un peggioramento della fase già depressiva – e anche questo è rilevante – senza un successivo prolungato recupero del suo peso nell’economia mondiale, che rimane stagnante intorno a un quarto del PIL mondiale.

Se questa tendenza continuerà nei prossimi anni, significherà che, statisticamente, l’economia statunitense non sarà più il motore dell’accumulazione globale.

Nella configurazione della piramide mondiale, non conta solo il valore lordo della produzione controllata da ciascun centro, tale valore deve essere anche rapportato alla popolazione relativa delle aree geografiche in questione.

Nei decenni del cosiddetto “postfordismo” e del neoliberismo, gli Stati Uniti hanno continuato ad allargare il divario tra il valore aggiunto per cittadino statunitense e quello degli abitanti del pianeta.

Ancora una volta, questa tendenza si è interrotta all’inizio del secolo, e sia nel periodo di crescita associato alla bolla finanziaria sia dopo lo scoppio della Grande Depressione, gli Stati Uniti hanno iniziato una nuova fase di declino.

Tuttavia, il declino è lento perché, a parte i problemi legati al tasso di cambio tra le valute mondiali in cui si esprime il valore aggiunto nazionale e il dollaro USA, la perdita di ricchezza relativa degli americani rimane contenuta, attestandosi ora su livelli simili a quelli degli anni ’80: circa 5,5 volte la ricchezza pro capite del mondo, rispetto a cinque volte nei primi anni della crisi fordista degli anni ’70.

In altre parole, l’indebolimento dell’economia statunitense nel contesto mondiale segue un lento slittamento verso la stagnazione generalizzata.

Nonostante in termini annui vi siano ancora periodi di significativa crescita del PIL reale pro capite, tale incremento è progressivamente più debole, come si evince dal trend che, per mitigare le fluttuazioni e la variabilità anno su anno, si presenta come una media mobile a quattro periodi.

Gli elementi di cui sopra possono anche essere utili come base per guidare la nostra analisi del ruolo della Cina nella cooperazione internazionale.

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27/02/2022

Gatto nero, gatto bianco (1998) di Emir Kusturica - Minirece

L’Unione Europea gioca con la guerra

Purtroppo non sono “voci dal sen fuggite” ma deliberazioni dei governi, o almeno di alcuni governi, dell’Unione Europea, Italia inclusa.

Non ritenendo sufficienti le pesanti sanzioni che sono state adottate – della cui efficacia sulla Russia abbiamo solo annunci ma delle cui conseguenze sulle condizioni di vita delle famiglie in Italia abbiamo certezza – alcuni governi europei annunciano esplicitamente l’invio di armi e armamenti all’Ucraina.

Siamo ben oltre l’invio di contingenti militari nei paesi del fianco est della Nato, siamo ben dentro una partecipazione attiva e dichiarata alla guerra contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Su questo non ci sono iprocrisie o arzigogoli giuridici che tengano.

Se la Russia e Putin hanno messo l’Europa di fronte al fatto compiuto entrando militarmente in Ucraina e non solo nelle Repubbliche del Donbass, le avventuriste classi dirigenti europee lo seguono sulla stessa strada dichiarando pubblicamente ed agendo per armare l’Ucraina. Dunque non solo le sanzioni ma forniture di armi.

La Germania ha autorizzato l’invio in Ucraina di 1.000 armi anticarro e 500 missili terra-aria di classe “Stinger”. La Gran Bretagna ha fornito finora all’Ucraina circa 2.000 missili anticarro. La Francia invierà più armamenti, ha annunciato venerdì sera il presidente Emmanuel Macron, ma senza specificare quali. L’Olanda intende consegnare 200 missili antiaerei Stinger oltre ad armi leggere, munizioni e sistemi radar. La Repubblica Ceca ha approvato consegne di armi per un valore di 7,6 milioni di euro, tra cui mitragliatrici, pistole, fucili d’assalto e munizioni. In precedenza, il governo aveva deciso di donare 4000 proiettili di artiglieria.

La Danimarca ha annunciato di voler inviare 2.000 giubbotti antiproiettile e 700 borse mediche. Il Belgio è pronto ad aggiungere 2.000 mitragliatrici e 3.800 tonnellate di olio combustibile. Estonia e Lettonia stanno inviando missili anticarro e antiaerei. La Lituania sta fornendo maschere antigas, passamontagna e imbarcazioni per un valore di 1,8 milioni di euro.

L’Italia, finora ha annunciato l’invio di 3.400 soldati e aerei per rafforzare il fianco est della Nato e l’invio di armi anticarro, armi antiaeree e mitragliatrici all’Ucraina.

Un passaggio questo che allineerebbe l’Italia alle decisioni già prese da altri Stati dell’Unione Europea, ma dovrà esserci una votazione formale in Parlamento per una autorizzazione che appare scontata dato il consenso multipartisan, dal Pd ai fascisti di Fratelli d’Italia. Vedremo se in Parlamento si leverà qualche voce di saggezza e lungimiranza contro quello che, di fatto, diventa un coinvolgimento dell’Italia nella guerra.

Secondo fonti britanniche, i governi che avrebbero inviato o deciso di inviare armi e munizioni in Ucraina sarebbero al momento oltre venti. La Gran Bretagna ha però chiuso la porta alla richiesta di Kiev di un supporto aereo perchè questo “Significherebbe che la Nato dichiara guerra alla Russia”, ha spiegato il ministro della Difesa di Londra Ben Wallace. Una dichiarazione furbesca di chi ha soffiato sul fuoco affinché l’invasione dell’Ucraina avvenisse e che fa il paio con quella di Biden.

Paradossalmente infatti, mentre italiani, francesi e tedeschi si battono il petto con furore bellicista, gli Stati Uniti affidano a Joe “Sleeping” Biden il ruolo del vecchio saggio nel dichiarare che “l’alternativa alle sanzioni sarebbe la Terza Guerra Mondiale”.

Insomma i governi europei vogliono dimostrarsi “più realisti del Re” e si spingono più avanti sul piano dell’escalation di quanto facciano i lontani Stati Uniti, tra l’altro al riparo dalla guerra in Europa e dagli effetti delle sanzioni alla Russia.

Siamo in mano agli avventuristi per un verso e agli apprendisti stregoni per l’altro. Occorre fermarli prima che ci trascinino su quel piano inclinato rivelatosi come tale da almeno venti anni nelle relazioni internazionali, ma che le classi dirigenti occidentali hanno rifiutato di vedere per quello che è. Anzi, hanno agito affinché si inclinasse ancora di più.

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Guerra in Ucraina - Si profila negoziato. La Russia allerta deterrenza nucleare

Si profila l’inizio di un negoziato tra Russia e Ucraina

Una delegazione ucraina è in partenza per Gomel, piccola città in Bielorussia al confine con l’Ucraina, per avviare negoziati con la Russia. Kiev ha confermato la sua disponibilità, ha annunciato il capodelegazione russo, Vladimir Medinsky, all’agenzia russa Tass. La notizia viene confermata anche da fonti di Kiev.

La Russia non sospenderà le operazioni militari durante i colloqui con la parte ucraina, ha detto il portavoce del Cremlino Peskov, il quale ha ricordato ieri che nel pomeriggio di venerdì quando si era profilata la possibilità di un negoziato, il presidente russo Vladimir Putin aveva dato l’ordine di fermare il movimento delle forze militari russe in Ucraina, ma di fronte all’impasse il pomeriggio di 26 febbraio nel pomeriggio le operazioni militari erano riprese.

La Russia allerta le forze di deterrenza nucleare

Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato al comando militare di mettere in allerta le forze di deterrenza nucleare “dopo le dichiarazioni aggressive dei paesi Nato”. In un incontro con il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valery Gerasimov, ha ordinato il trasferimento delle forze di contenimento dell’esercito russo a una modalità speciale di servizio di combattimento. ”I Paesi occidentali non stanno solo intraprendendo azioni ostili contro il nostro Paese nella sfera economica, intendo sanzioni illegittime, di cui tutti sono ben consapevoli, ma anche gli alti funzionari dei principali Paesi NATO fanno dichiarazioni aggressive contro il nostro Paese”, riferisce la Ria Novosti.

Il fronte militare

Sul fronte militare si segnalano, intorno alle 13:15, tre forti esplosioni nel centro di Kiev nell’arco di 20 minuti. Lo ha constatato l’inviato dell’ANSA nella capitale ucraina. Anche nella notte un’enorme esplosione ha illuminato il cielo della città. L’esplosione è avvenuta vicino a Vasylkiv, a circa 30 chilometri a sud di Kiev. A Vasylkiv ha sede una grande base aerea militare ucraina, già teatro di pesanti combattimenti venerdì sera.

Nei combattimenti è stato colpito un gasdotto a Kharkiv. Le forze armate ucraine dichiarano di aver ripreso il controllo di Kharkiv, la seconda città del Paese, dove stamattina erano penetrate le truppe dell’esercito russo ingaggiando una battaglia strada per strada. Secondo l’agenzia russa Tass le forze armate russe hanno bloccato le città di Kherson e Berdyansk, hanno preso il controllo di Genichevsk e di un aeroporto vicino a Kherson.

Il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov scrive su Facebook che “i soldati, la polizia, i medici e tutti i cittadini che hanno preso le armi hanno condotto una resistenza di 72 ore. Il mondo non ci credeva. Il mondo dubitava. Ma noi siamo rimasti qui. Abbiamo continuato a combattere l’occupante russo. Abbiamo dimostrato al mondo che non abbiamo paura della Russia, siamo forti e li respingiamo”.

Comprensibile la dichiarazione del ministro ucraino per tenere alto il morale e alimentare una certa narrazione, ma occorre rammentare che nel 1939 la Polonia ha resistito all’invasione della Germania, assai superiore sul piano bellico, per 26 giorni (dal 1 settembre al 27 settembre). Kiev ha davanti a sé almeno altri 23 giorni prima di uguagliare quel risultato.

La Russia annuncia contromisure e ritorsioni per le sanzioni Usa e UE

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev ha ipotizzato che la Russia possa nazionalizzare la proprietà di persone registrate negli Stati Uniti, nell’UE e in altre giurisdizioni ostili a seguito delle nuove sanzioni anti-russe.

La Banca di Russia annuncia che fornirà continuamente alle banche liquidità in contanti e non in rubli. “L’asta REPO (pronti contro termine) di lunedì si terrà a titolo illimitato, con piena soddisfazione di tutte le richieste pervenute dalle banche“, si legge nel comunicato diffuso dal servizio stampa della Banca Centrale. ”La Banca di Russia dispone delle risorse e degli strumenti necessari per mantenere la stabilità finanziaria e garantire la continuità operativa del settore finanziario”, ha affermato, aggiungendo che il sistema bancario del Paese è “stabile, dispone di capitale e liquidità sufficienti per funzionare senza intoppi in qualsiasi situazione“, i fondi detenuti sui conti bancari sono al sicuro e i servizi bancari verranno forniti come di consueto.

Governi europei ormai in pieno furore bellicista. La Germania riarma

La Germania stanzierà in via eccezionale 100 miliardi di euro per modernizzare la propria difesa. Lo ha annunciato il cancelliere tedesco Olaf Scholz al Bundestag. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Germania aumenterà la spesa per la difesa a oltre il 2% del suo Pil annuo, che è più di quanto chieda la Nato, ha spiegato Scholz al Parlamento. “D’ora in poi, di anno in anno, investiremo più del 2% del nostro Pil nella nostra difesa”, ha sottolineato Scholz intervenendo al Bundestag ribadendo però di essere ancora “aperto a colloqui” con la Russia.

Fonti: Ansa, Nova, Agi, Ria Novosti, Tass, Reuters, Swissinfo

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Sanzioni, il masochismo europeo

Le nuove sanzioni internazionali contro la Russia rischiano di danneggiare soprattutto l’economia europea. Mosca è sotto regime punitivo dal 2014 e, prima di invadere l’Ucraina, ha sicuramente previsto le nuove mosse di Usa e Ue. Ha quindi avuto più tempo degli altri per prepararsi alle conseguenze, organizzandosi su due livelli: le ritorsioni contro l’Europa e la ridefinizione del proprio mercato di import/export, il cui baricentro va sempre più spostandosi verso oriente.

Il settore più delicato è quello dell’energia. L’Unione europea importa circa il 40% del suo fabbisogno di gas dalla Russia, un dato che sale al 46% per l'Italia e al 49% per la Germania. Vista l’importanza di Mosca per gli approvvigionamenti, gli europei hanno evitato di inserire il gas nelle sanzioni in campo energetico. Tuttavia, è scontato che la prima ritorsione della Russia sarà proprio sulle forniture di gas: il flusso dei rubinetti diminuirà e i prezzi si impenneranno (ancora), insieme alle bollette. La sola incertezza ha già iniziato a far salire le quotazioni.

Un altro danno gravissimo per l’Europa è la sospensione del progetto North Stream 2, il gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas russo direttamente in Germania. Berlino ha già bloccato l’entrata in funzione dell’infrastruttura, rinunciando così a un’importante fonte di gas a basso prezzo per l’intero continente.

Oltre ai rincari, questo scenario produrrà in quasi tutta l’Unione europea due conseguenze: primo, andranno rimesse in funzione almeno alcune centrali a carbone, con tanti saluti alle preoccupazioni per l’ambiente; secondo, aumenterà l’importazione di gas liquefatto (e parecchio costoso) dagli Stati Uniti, che saranno gli unici a uscire da questa vicenda con le tasche più gonfie.

Intanto, Mosca ha già autorizzato la realizzazione di un nuovo gasdotto che, attraverso la Mongolia, porterà il gas in Cina. È questa l’ennesima dimostrazione di un principio generale: anche se le sanzioni colpiscono la Russia nell’immediato, con il passare del tempo Mosca è in grado di sostituire l’Ue spostando le rotte commerciali verso Oriente. Una compensazione del genere è invece preclusa agli europei, che quindi, nel medio-lungo periodo, sono i più colpiti dalle loro stesse sanzioni.

Sul piano finanziario, poi, le banche europee hanno ridotto la propria esposizione in Russia rispetto al 2014, ma rimangono comunque a rischio decine di miliardi di euro. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, al 30 settembre 2021 gli istituti europei più esposti verso Mosca sono quelli italiani, con prestiti e finanziamenti per 25,3 miliardi di dollari, a cui si aggiungono garanzie per altri 6 miliardi. Si tratta per la maggior parte di crediti vantati verso clienti privati, aziende e gruppi russi, più alcune operazioni a sostegno dello scambio commerciale con Mosca, specialmente sulle materie prime. È chiaro che, con la guerra, diversi prestiti rischiano di entrare in sofferenza.

La banca italiana più esposta è Unicredit, che opera in Russia tramite AO Unicredit Bank (ex International Moscow Bank), con 103 filiali e 2 milioni di clienti. In tutto, i crediti ammontano a circa 8 miliardi di euro, che nel 2021 hanno fruttato 180 milioni. Tuttavia, secondo gli analisti di Citi, il rischio di controparte per Unicredit arriva a 14,2 miliardi di euro, pari al 2,6% dell'esposizione creditizia di gruppo.

Quanto a Intesa Sanpaolo, gestisce le 28 filiali di Banca Intesa Russia e a fine 2021 dichiarava un'esposizione complessiva in termini di impieghi per 5,57 miliardi. In valore assoluto, la banca europea più esposta in Russia è la francese Société Générale, che – sempre secondo Citi – arriva a quota 18 miliardi di euro, pari all’1,7% dei prestiti totali.

Sempre in ambito finanziario e bancario, da giorni Usa e Ue valutano la possibilità di escludere le banche russe dalla Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), la piattaforma telematica che collega migliaia di banche in tutto il mondo, permettendo pagamenti internazionali facili, sicuri e a basso costo. Una mossa simile rischia di trasformarsi nell’ennesimo boomerang per gli europei, perché renderebbe più difficile e costoso pagare il gas a Mosca. Inoltre, avvicinerebbe ulteriormente Russia e Cina, che insieme potrebbero far crescere Cips (Cross-Border Interbank Payment System), sistema cinese rivale di Swift, anche se molto più limitato. Almeno per ora.

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Intervento sulla situazione ucraina di Maurizio Vezzosi - Giovedì 24 febbraio 2022

Ucraina - Il video che mostra un padre piangente che saluta la figlia in partenza nell'Ucraina orientale è un fake virale

Il padre in lacrime che saluta la figlia in un videoclip diventato virale sui social media venerdì, dopo essere stato male interpretato da alcuni media occidentali, in realtà non restava per combattere le truppe russe, ma l'esercito ucraino che bombarda il Donbass.

Nel video, il padre è scoppiato in lacrime mentre salutava la sua compagna e la giovane figlia mentre stavano per salire su un autobus diretto in Russia, mentre lui decideva di rimanere nell'Ucraina orientale per combattere i soldati ucraini.

Il video è stato inizialmente pubblicato lunedì dal sindaco di Gorlovka Ivan Prikhodko sulla piattaforma di social media russa VK.

La descrizione scritta che accompagna il video originale dice: "I residenti di Gorlovka vengono evacuati quotidianamente in Russia, in fuga dall'aggressione ucraina. Oggi abbiamo assistito al toccante addio del capofamiglia a sua moglie e sua figlia, in partenza per la Russia. L'uomo è rimasto nella sua città per difendere la Repubblica di Donetsk dalle forze armate ucraine con le armi in mano, con le lacrime agli occhi".

Gorlovka è una delle principali città della "Repubblica popolare di Donetsk" nell'Ucraina orientale che lunedì il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto come stato indipendente e sovrano.

Il videoclip, tuttavia, è stato successivamente travisato da un account Twitter che si chiama Marios Komnos, mistificando la narrazione in "Il padre ucraino dice addio a sua figlia mentre rimane indietro per combattere contro la Russia". Il tweet è stato caricato online nel mezzo dell'escalation del conflitto tra Russia e Ucraina venerdì.

Il video è stato rapidamente ripubblicato da un gruppo di occidentali che sostengono l'Ucraina perché era in linea con l'indirizzo della "correttezza geopolitica" occidentale. E alla fine, numerosi mezzi di informazione occidentali tra cui il New York Post, il Daily Mail, il Newsweek e il Sun hanno pubblicato il video sui loro siti web senza nemmeno controllare i fatti di base. Anche alcuni media indiani come il Times of India hanno diffuso l'interpretazione sbagliata.

Nessuna delle testate giornalistiche si è scusata per l'errore al momento della pubblicazione.

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Il ritorno degli imperi

di Guido Salerno Aletta

Le sanzioni che in questi giorni vengono comminate alla Russia per punire il suo intervento militare in Ucraina, e le ritorsioni che Mosca adotterà per infliggere a sua volta danni economici e finanziari, determineranno nuovi equilibri geo-economici.

Tutte le sanzioni degli Occidentali rafforzeranno comunque il ruolo di arbitraggio che la Cina gioca nei confronti della Russia, e limiteranno ulteriormente le ambizioni geopolitiche della stessa Europa nel Mediterraneo, progressivamente ridottasi per via della accresciuta presenza della stessa Russia e della Turchia e dal rinfocolarsi di vecchie tensioni: dal Libano alla Siria, dalla Libia all'Algeria, la sponda meridionale è quasi impraticabile.

Non saranno più solo i prezzi ed i costi, ma le sanzioni ed i dazi a condizionare i processi economici e finanziari di ciascun Paese: dal mercato globale si sta tornando indietro alle aree di pertinenza, ai tempi in cui ogni impero si garantiva ogni sorta di esclusiva e concedeva ai terzi una qualche preferenza per l'acquisto delle merci e lo sbocco alle produzioni.

Niente di nuovo, ma solo all'apparenza.

C'è una nuova segmentazione, in considerazione della evoluzione dei mercati: mentre c'è da secoli un diritto del mare che garantisce la navigazione in acque internazionali, gli Stati possono invece interdire il sorvolo del proprio territorio al traffico aereo anche di un solo Paese, come atto di sanzione. Sta accadendo da qualche tempo alla Francia da parte della Algeria, con grave ostacolo per i collegamenti verso le aree africane a cui Parigi è molto legata.

Questa stessa misura interdittiva è stata appena adottata dalla Gran Bretagna nei confronti della compagnia di bandiera russa, Aeroflot, e subito per ritorsione dalla Russia nei confronti delle aerolinee britanniche.

A creare nuove distorsione sul mercato ci sono anche i dazi.

Negli scorsi anni abbiamo già assistito alla diversione delle produzioni agricole che è stata determinata da quelli imposti dalla Amministrazione Trump nei confronti della Cina: Pechino si è rivolta sempre più alla Argentina, a danno delle produzioni statunitensi. Nei suoi scambi con l'estero, l'economia argentina è dunque regredita, puntando sempre di più sulla agricoltura e sull'allevamento rispetto alla manifattura. Del pari, l'embargo posto dalla Cina verso il carbone australiano, anche stavolta per ritorsione nei confronti delle insinuazioni sulla responsabilità per la epidemia di Covid, ha completamente stravolto la geografia dei mercati di sbocco.

Il mercato globale si segmenta.

Se la Russia si fa largo militarmente in Ucraina, viene immediatamente spiazzata economicamente e finanziariamente dalle sanzioni degli Usa, della Gran Bretagna e dell'Europa. A sua volta si proietta nel Mediterraneo, in Siria ed in Libia, ed in molti Paesi dell'Africa.

La Cina fa lo stesso, dopo aver subito l'onere dei dazi americani sulle sue produzioni: si crea un'area di relazioni forti nel quadrante indo-pacifico, avanza in Africa pur tra mille difficoltà.

Gli Stati Uniti hanno il vantaggio incommensurabile del dollaro, mentre la Gran Bretagna cerca di tenere vivi i fasti del Commonwealth.

Solo l'Europa si trova sempre più stretta, ad Est dalla Russia colpita dalle sanzioni e a Sud da un Mediterraneo in fibrillazione.

Europa ai margini, mentre Usa, Russia e Cina si spartiscono il mondo

Il Ritorno degli Imperi

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In Ucraina Putin si avvicina alla vittoria e controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale, quindi di chi è il bluff?

Ambrose Evans Pritchard pubblica sul Telegraph due articoli in stretta successione che offrono una visione approfondita e chiarificatrice sulla vicenda Ucraina e il contesto economico in cui si muovono le parti in causa.

Nel primo articolo, intitolato In Ucraina Putin è vicino alla vittoria, pubblicato il 15 febbraio, Pritchard mostra come la Russia in realtà non abbia motivo di temere le sanzioni occidentali. Nel secondo, pubblicato il 22 febbraio e intitolato Putin controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale, quindi di chi è il bluff?, focalizza l'attenzione su un aspetto meno noto: la capacità della Russia di ostacolare gli approvvigionamenti di materie prime indispensabili alle industrie del mondo occidentale.

Partiamo dal primo, In Ucraina Putin è vicino alla vittoria.

Per cominciare Pritchard descrive l'economia russa come un sistema ordinato, dotata di un ingente ammontare di riserve valutarie, un debito estero tra i più bassi al mondo, un sistema bancario solido e una valuta dal cambio flessibile che consente all'economia di adattarsi bene alle vicende degli scambi internazionali, oltre ad una finanza pubblica in avanzo che non dipende dagli investitori stranieri per il proprio finanziamento.

In contrasto con i sistemi economici dell'occidente, che si reggono sull'helicopter money delle banche centrali e sui grandi debiti pubblici, come afferma Christpher Granville, di TS Lombard, questo si può definire "il paradosso del mandato di Vladimir Putin, che dirige uno dei regimi politici più ortodossi del pianeta, con un team macroeconomico, presso la banca centrale e il tesoro, decisamente esemplare".

Ma che peso e che conseguenze potrebbero avere le sanzioni sulla Russia? E quali sarebbero invece le conseguenze sui paesi europei? Per le articolate risposte a queste domande riportiamo direttamente le parole di Pritchard:
"Il Cremlino potrebbe interrompere tutti i flussi di gas verso l'Europa – il 41% della fornitura dell'UE – per due anni o più senza incorrere in gravi problemi finanziari.

L'Occidente parla di sanzioni 'devastanti' se Putin invaderà l'Ucraina. Martedì è il turno del cancelliere tedesco Olaf Scholz di rilanciare gli avvertimenti a Mosca, ma nel suo caso con una certa umiltà. È un rituale, nella migliore delle ipotesi l'espressione di un pio desiderio, che a volte maschera l'interesse economico.

La verità più dura è stata riassunta dall'ambasciatore russo in Svezia. 'Scusate il mio linguaggio, ma non ce ne frega un cazzo delle sanzioni occidentali', ha detto al quotidiano Aftonbladet.

Washington afferma che infliggerà una punizione molto più dura rispetto al 2014, iniziando dalla cima della scala dell'escalation. Ma il Cremlino potrebbe aver già calcolato – secondo me con precisione – che l'impatto sarà in effetti minimo.

Le sanzioni successive all'annessione della Crimea hanno coinciso con un grande crollo delle materie prime, il motivo principale per cui il reddito disponibile reale russo è diminuito del 12%. Questa volta coincidono invece con un boom secolare delle merci.

La Russia oggi ha un'economia semi-autarchica e il suo principale partner commerciale è la Cina. Il voluminoso documento firmato da Putin e Xi Jinping alle Olimpiadi Invernali di Pechino – Entrare in una nuova era globale – stabilisce un'alleanza de facto tra i due Paesi.

Dovremmo prendere la retorica con le pinze. Sono pur sempre due scorpioni in una bottiglia, amorosi come gli amanti Ribbentrop-Molotov. Ma in questo momento la Cina ha l’appoggio della Russia contro l'Occidente, e questo rende impossibile applicare sanzioni significative.

Il Cremlino sa che l'Europa ha posto il veto all'espulsione della Russia dalla rete SWIFT dei pagamenti internazionali. 'L'Occidente deve fare qualcosa per salvare la faccia, ma non ci aspettiamo altro che sanzioni su due o tre grandi banche russe. Sarebbe un fatto dirompente, ma i russi ci sono abituati. L'unica sanzione che avrebbe un impatto reale sarebbe cercare di estromettere del tutto la Russia dal sistema finanziario globale', ha affermato Granville.

'Ovviamente la Russia crescerebbe più velocemente se fosse integrata nelle catene di approvvigionamento occidentali, ma in un certo senso il danno è già avvenuto in seguito agli eventi della Crimea. Ulteriori misure non cambierebbero molto le cose'.

È chiaro che non ci sarà alcun blocco definitivo del condotto energetico russo. La dipendenza della Germania dal gas è così totale che Scholz fa ancora fatica ad affermare inequivocabilmente che il gasdotto Nord Stream 2 verrebbe definitivamente abbandonato in seguito a un'invasione in piena regola.

Qualunque decisione richiede l'unanimità di tutti i 27 stati e quindi graviterà sul minimo comune denominatore.

"L'Europa non può fare a meno dell'energia russa e non ha nessun altro a cui rivolgersi. Non si tratta solo di gas: ci sono oleodotti, oltre a 2,5 milioni di barili al giorno di prodotti raffinati come carburante per aviazione e diesel", ha affermato Weafer di Macro-Advisory.

Le consegne di gas naturale liquefatto, principalmente dagli Stati Uniti, hanno rallentato il tasso di esaurimento delle riserve di gas europee nell'ultimo mese, con l'aiuto del clima mite.

Ma le riserve sono spiacevolmente basse – Austria (19%), Paesi Bassi (24%), Francia (28%) – e la portata globale del GNL è al limite. Un taglio totale delle forniture da parte del Cremlino metterebbe l'Europa in ginocchio in poche settimane.


La Casa Bianca pensa che Putin non potrà realizzare il suo piano di investimenti da 400 miliardi di dollari per diversificare l'economia nel prossimo decennio senza la tecnologia occidentale, ma la Cina può colmare molte lacune e non c'è alcuna possibilità di sostenere un regime di sanzioni ermeticamente sigillato su scala globale.

Putin ha un'opportunità irripetibile di distruggere l'accordo post-Guerra Fredda e riaffermare l’egemonia russa sul suo vicinato estero. Niente nell'attuale menu di sanzioni può modificare il suo calcolo."
Quindi le sanzioni secondo quanto afferma Pritchard non hanno alcuna probabilità di far retrocedere la Russia dai suoi obiettivi. Vi sono soltanto due ragioni che potrebbero farla desistere:
"La prima è che Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia hanno spedito in Ucraina armi sufficientemente sofisticate per spostare gli equilibri sul campo: missili anticarro e antiaerei e droni.

Gli stati della Nato dell'Europa orientale hanno tenuto duro. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno mobilitato la loro capacità di guerra informatica per conto dell'alleanza. Washington ha chiarito che sosterrà una resistenza per aumentare i costi dell'occupazione militare russa.

Putin deve soppesare il rischio che i riservisti ucraini temprati dalla battaglia possano opporre una resistenza più rigida del previsto e che un attacco lampo su Kiev possa rivelarsi più difficile di quanto sembri."
A questo proposito, Pritchard sottolinea invece come l'Europa centrale arrivi completamente impreparata di fronte a queste sfide strategiche. Ossessionata dalla sua complicata architettura istituzionale e dalla necessità di salvare l'unione monetaria dalle sue stesse contraddizioni, ha tagliato la spesa per ammodernare la difesa, seguendo obiettivi di austerità arbitrari e prociclici, e questi sono stati enormi errori di governo.

L'altro motivo per cui Putin potrebbe desistere sarebbe questo:
"una possibile promessa a porte chiuse di Germania e Francia di dargli ciò che vuole ottenere senza una guerra: offrirgli l'Ucraina su un piatto d’argento, spogliata della sua sovranità e rinchiusa nell'orbita strategica di Mosca.

Scopriremo abbastanza presto cosa è successo in queste riunioni private, ma è stato rivelatore vedere il volto cinereo e il sussulto involontario dell'ucraino Volodymyr Zelensky mentre il cancelliere tedesco parlava a Kiev.

Il signor Scholz è sembrato davvero tirargli il tappeto da sotto i piedi, raffreddando la speranza dell'Ucraina di una vera indipendenza con parole pacate e con un'attenta precisione da avvocato del lavoro, ex professione del Cancelliere.

I mercati stanno implicitamente scommettendo che il probabile risultato sarà una resa occidentale alle condizioni di Putin e che l'Ucraina sarà spinta verso un riallineamento "volontario" – come i cechi nel 1938 – consentendo agli affari di continuare come al solito.

Il cinismo assoluto è di solito la scommessa più sicura."
Il secondo articolo, Vladimir Putin controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale, quindi di chi è il bluff?, mostra come la Russia sia in realtà in grado di ostacolare le industrie chiave negli Stati Uniti e in Europa limitando le forniture per loro indispensabili.

Riportiamo nelle parti essenziali le parole di Pritchard:
"È già ben chiaro che l'Europa è prigioniera del gas russo e non osa espellere la Russia dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT perché subirebbe una crisi più immediata della Russia stessa.


Meno compreso è invece l'aspetto della tecnologia.

Washington afferma di avere un'arma killer per evitare il rischio di un simile contraccolpo (il blocco delle forniture da parte della Russia, ndt) e far quindi indietreggiare Putin: minaccia di tagliare l'accesso russo al mercato globale dei semiconduttori.

Questo sarebbe l'equivalente moderno di un embargo petrolifero del 20° secolo, dal momento che i chip sono il carburante fondamentale dell'industria elettronica.

Gradualmente asfissierebbe le industrie avanzate della Russia e, in teoria, ridurrebbe il regime di Putin a un rachitico nano tecnologico.

Eppure questo è un gioco pericoloso. Putin ha i mezzi per tagliare i minerali e i gas necessari per sostenere la catena occidentale di approvvigionamento di semiconduttori, alzando la posta nel bel mezzo di una crisi mondiale dei chip.

Inoltre, potrebbe ostacolare l'industria aerospaziale e degli armamenti negli Stati Uniti e in Europa limitando la fornitura di titanio, palladio e altri metalli.

Se controllasse l'Ucraina, il suo controllo sui minerali strategici chiave sarebbe ancora più dominante, dandogli una leva simile alla stretta energetica dell'Opec nel 1973.

Il Cremlino potrebbe scatenare uno shock inflazionistico violento quanto la prima crisi petrolifera, con relativa recessione.

La Casa Bianca è stata lenta a rendersi conto della capacità di contrattacco della Russia. Non ha indagato sul rischio per le società di semiconduttori statunitensi fino a quando la società di materiali critici Technet non ha rivelato l'entità della dipendenza degli Stati Uniti dalla fornitura russa di gas C4F6, neon, palladio e scandio.


Circa il 90% della fornitura mondiale di neon, utilizzato come gas laser per la litografia su chip, proviene dalla Russia e dall'Ucraina. Due terzi del neon vengono purificati per il mercato globale da un'azienda a Odessa. Ci sono altre fonti di neon a lungo termine in Africa, ma sono irrilevanti nel breve periodo.

Il più grande produttore mondiale di titanio è VSMPO-AVISMA, situato nella "Valle del Titanio" della Siberia occidentale.

È di proprietà di Rostec, il conglomerato statale controllato da Sergey Chemezov, un ex agente del KGB che ha servito con Putin nella Germania dell'Est. Russia e Ucraina insieme rappresentano il 30% della fornitura globale di titanio.

VSMPO-AVISMA fornisce il 35% del titanio utilizzato da Boeing, principalmente per i jet 737, 767, 777 e 787. Viene utilizzato in motori, ventole, dischi e telai, apprezzato per la sua resistenza al calore e alla corrosione e per il suo rapporto peso/resistenza.

Lo scorso ottobre il Bureau of Industry and Security degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto secondo il quale VSMPO-AVISMA stava fornendo spugna di titanio ai clienti negli Stati Uniti a prezzi "artificialmente bassi", con il sostegno dello stato russo, al fine di acquisire una "quota significativa degli affari di Boeing".

Questo avrebbe dovuto far suonare un allarme. Settimane dopo Boeing si è impegnata in rapporti ancora più stretti con l'azienda.

In effetti, la Russia ha fatto ciò che già la Cina aveva fatto in precedenza con i metalli delle terre rare: vendere sottocosto per eliminare la catena di approvvigionamento occidentale. Il rapporto afferma che la Russia è sempre più in grado di utilizzare questo suo potere "come strumento di leva geopolitica".

Il Bureau ha avvertito che gli Stati Uniti sono ridotti a un solo vecchio impianto in grado di produrre spugne di titanio su larga scala e non hanno più alcuna riserva di titanio nelle scorte della difesa nazionale.

Devono contare sulla fornitura di una società controllata da uno stato ostile per costruire caccia, razzi, missili, sottomarini, elicotteri, satelliti e armi avanzate. Il rapporto chiedeva misure urgenti per ricostruire la produzione interna e acquisire riserve strategiche. Un disastro.

Airbus è ancora più vulnerabile. Metà della sua spugna di titanio proviene dalla Russia.

L'industria aerospaziale britannica dipende dalla fornitura russa. VSMPO-AVISMA ha una sede vicino a Birmingham, dove si producono leghe commerciali per l'aerospaziale, la tecnologia medica e l'esercito."
Ma qual è il reale potere degli USA per quanto riguarda la fornitura dei microchip alla Russia?
"Ma la questione è più profonda. La Russia non può essere strangolata, perché è sistematicamente centrale per l'economia mondiale. E nemmeno Washington può rifiutare facilmente i chip semiconduttori russi a lungo termine. Il paese ha le proprie società di chip, guidate da Baikal e Micron.

Possono produrre chip di fascia media fino a 28 nanometri (nm), adeguati per telefoni cellulari e simili. Queste aziende potrebbero senza dubbio alzare il tiro se fosse una priorità nazionale assoluta.

Ma la Russia non può produrre wafer da 5 nm e 7 nm necessari per dispositivi mobili 5G, intelligenza artificiale o tecnologia CPU e GPU

Gli Stati Uniti controllano l'ecosistema globale di chip avanzati e potrebbero impedire a TSMC di Taiwan o alla Samsung coreana di rifornire la Russia. Ma la catena dei semiconduttori è notoriamente complessa e popolata da intermediari.

'Ci sarebbero molti tipi di soluzioni alternative: la Russia non sarebbe in grado di ottenere prodotti all'avanguardia, ma potrebbe cavarsela con chip intermedi per la maggior parte delle sue armi', ha affermato James Lewis, direttore della tecnologia presso il Center for Strategic and International Studies di Washington.

'Possono sempre ripiegare sui cinesi, e questo diluirebbe l’impatto delle sanzioni. Non sarebbe facile per la Russia, perché non è semplice cambiare. Tutto deve essere riprogettato per utilizzare i chip cinesi, che non sono nemmeno i migliori. Questo li farebbe tornare indietro di due o tre anni'.

Le aziende cinesi erano riluttanti a violare le sanzioni statunitensi dopo l'annessione della Crimea nel 2014. Oggi è un mondo diverso. Xi Jinping ha dichiarato illegale rispettare le sanzioni extraterritoriali statunitensi.

Anche se l'accordo strategico tra Russia e Cina alle Olimpiadi invernali di Pechino fosse sopravvalutato, Xi deve aver dato a Putin una sorta di via libera sull'Ucraina.

Altrimenti la Russia non avrebbe ritirato la maggior parte delle sue forze militari dall'Estremo Oriente per fare la guerra in Occidente, lasciando scoperto il confine cinese.
Queste, per ora, le conclusioni di Pritchard:
"Una volta che si approfondisce il menu delle sanzioni occidentali, diventa dolorosamente chiaro che il deterrente economico non rende, o perché le misure sono inferiori a quanto sembrano o perché il rischio di ritorsioni le rende inutilizzabili.

La conferenza di Monaco è stata tre giorni di fumo negli occhi su questi problemi, un rituale di negazione collettiva, una pretesa che niente tranne il fornire le armi all'Ucraina conti davvero.

La sede di Monaco era fin troppo adatta. Il destino del popolo ucraino non è così diverso dalla storia dei cechi del settembre 1938."
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26/02/2022

Into the Wild (2007) di Sean Penn - Minirece

Xi e Putin tengono colloqui nel momento cruciale della crisi ucraina, sottolineano un approccio pacifico

Due importanti leader mondiali, il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo russo, Vladimir Putin, hanno tenuto una telefonata cruciale venerdì, un giorno dopo che la Russia ha lanciato operazioni militari contro l'Ucraina, in cui Xi ha sottolineato l'importanza di risolvere la crisi attraverso i negoziati.

Gli analisti cinesi ritengono che la conversazione Xi-Putin nel mezzo della rapida escalation della crisi ucraina abbia inviato forti segnali al mondo che le relazioni e la fiducia tra Cina e Russia sono tangibili e solide nonostante i tentativi occidentali guidati dagli Stati Uniti di seminare discordia tra loro usando la crisi. La conversazione ha anche mostrato al mondo che, in quanto grande potenza responsabile, la Cina sta attivamente sostenendo una soluzione pacifica della questione esortando le due parti a sedersi e parlare, il che è in netto contrasto con l'approccio statunitense che mira ad alimentare le tensioni.

Il presidente Xi ha affermato che il drammatico cambiamento della situazione nell'Ucraina orientale ha recentemente attirato un alto livello di attenzione da parte della comunità internazionale. La Cina determina la propria posizione sulla questione ucraina in base ai propri meriti. È importante rifiutare la mentalità della Guerra Fredda, prendere sul serio e rispettare le ragionevoli preoccupazioni per la sicurezza di tutti i paesi e raggiungere un meccanismo di sicurezza equilibrato, efficace e sostenibile in Europa, ha affermato Xi.

Xi ha affermato che la Cina sostiene la Russia nella risoluzione del problema attraverso i negoziati con l'Ucraina.

Putin ha affermato che gli Stati Uniti e la NATO hanno da tempo chiuso ogni margine di trattativa sulle legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e hanno ripetutamente negato le proprie promesse alla Russia. Il continuo dispiegamento militare USA\NATO verso est ha sfidato la linea rossa strategica della Russia. Putin ha anche espresso la volontà della Russia di intrattenere negoziati ad alto livello con l'Ucraina.

Yang Jin, ricercatore associato presso l'Istituto di studi russi, dell'Europa orientale e dell'Asia centrale presso l'Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato venerdì al Global Times che l'appello di Xi-Putin ha mostrato al mondo le sostanziali relazioni Cina-Russia e che i due paesi hanno una forte fiducia reciproca e il loro canale di comunicazione è aperto.

Secondo l'analista, le parole di Xi, che hanno sottolineato una soluzione pacifica attraverso i negoziati, mostrano ancora una volta al mondo che la Cina è una grande potenza responsabile e contribuisce ad attenuare la crisi.

Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, durante il briefing con i media di venerdì ha affermato che la Cina ha attivamente promosso la soluzione politica della questione ucraina e ha sottolineato che tutte le parti interessate dovrebbero aderire a una soluzione politica. Ha inoltre affermato che la Cina continuerà a compiere i propri sforzi per promuovere una soluzione politica della questione ucraina e che l'approccio della Cina è in netto contrasto con l'approccio statunitense che mira a creare una crisi e trarre vantaggio da essa.

"La storia arriverà a una giusta conclusione su quale approccio sia più favorevole alla sicurezza e alla stabilità a lungo termine dell'Europa", ha affermato.

Secondo un portavoce del Cremlino espressosi venerdì, la Russia è pronta a inviare una delegazione a Minsk per colloqui.

La volontà di Putin di negoziare con l'Ucraina indica che la via diplomatica è ancora percorribile ed è probabile che Russia e Ucraina risolveranno la crisi attraverso negoziati, che apparentemente è il loro prossimo passo, hanno affermato gli analisti.

Mentre l'operazione militare russa contro l'Ucraina è entrata nel secondo giorno, le prime unità militari russe sono entrate a Kiev.

Poco prima del messaggio del Cremlino, venerdì il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha detto a Reuters che l'Ucraina vuole la pace ed è pronta per i colloqui con la Russia, comprendenti il suo status neutrale nei confronti della NATO.

Accusando l'Occidente di aver lasciato l'Ucraina sola ad affrontare Mosca, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato venerdì di aver contattato i "partner" occidentali per dire loro che era in gioco il destino dell'Ucraina.

"Ho chiesto ai 27 leader europei se l'Ucraina sarà nella NATO, l'ho chiesto direttamente a loro: tutti hanno paura e non hanno risposto", ha detto Zelensky. "Chi è pronto ad andare in guerra per noi? Onestamente, non vedo nessuno", ha continuato, ha riferito RT.

Yang ha affermato che l'Ucraina è ansiosa di parlare con la Russia in questo momento poiché sa che il modo migliore per ridurre le sue perdite è parlare.

Sebbene Zelensky stia ancora chiedendo aiuto dall'Occidente, è divenuto consapevole che l'aiuto dall'Occidente sarebbe solo aleatorio e che ha imposto solo sanzioni inefficaci alla Russia, hanno affermato gli analisti.

La NATO ha affermato chiaramente che non invierà truppe in Ucraina, il che significava sostanzialmente che l'Occidente ha abbandonato l'Ucraina, ha affermato Cui.

I due paesi alla fine si siederanno a negoziare, hanno affermato gli analisti, e la chiave dei colloqui sarà se l'Ucraina prenderà una posizione chiara sulla neutralità e se la NATO prometterà di non espandere la sua influenza vicino al territorio russo, ha affermato Yang.

Gli analisti hanno affermato che i negoziati potrebbero coinvolgere Russia, Ucraina e Stati Uniti poiché la crisi è alla fine una crisi tra Russia e Stati Uniti e gli Stati Uniti che hanno creato la crisi dunque hanno la responsabilità di risolvere il problema.

Per quanto riguarda l'esito dei negoziati, gli analisti cinesi ritengono che la neutralità dell'Ucraina sia la scelta migliore per Ucraina, Russia ed Europa.

Li Haidong, professore al l'Institute of International Relations della China Foreign Affairs University, ha detto al Global Times che è possibile che il governo filo-occidentale dell'Ucraina si dimetta e venga sostituito con un governo filo-russo, indicando che Russia, Ucraina e Bielorussia formeranno un'unione storica, culturale e spirituale guidata dalla Russia.

Ha detto, inoltre, che ciò si tradurrà in profonde divisioni in Europa e renderà difficile la posizione dell'Ucraina nel continente. La divisione dell'Europa sarà molto più profonda di quella successiva Guerra Fredda, poiché l'Europa sarà divisa dalla parte occidentale dell'Ucraina, che non si conformerà alla sicurezza integrata dell'Europa.

E gli Stati Uniti sono i colpevoli di aver causato questo possibile scenario, poiché non sono riusciti a trattare adeguatamente con l'Europa dalla fine della Guerra Fredda, ha detto Li.

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