L'”Occidente è furioso“, scrive su Vzgljad l’economista Gevorg Mirzajan. “La Russia ha osato violare l’ordine politico globale e lanciare un’operazione per smilitarizzare l’Ucraina“. In realtà, il significato dell’operazione è molto più ampio: non solo costringere l’Ucraina alla pace, ma anche dare un colpo di sveglia all’Occidente, «o mettere l’America in grave crisi».
La Russia è un «paese educato» dice Mirzajan; per anni «ha cercato di convincere i partner occidentali a rispettare i documenti firmati sia da essi (gli accordi sulla stabilità strategica) che dagli ucraini (accordi di Minsk). Poi, per mesi, ha negoziato con Joseph Biden, che sembrava rendersi conto della necessità di un dialogo con Mosca».
In tutti questi mesi, Mosca ha cercato di convincere i “partner americani” a tenere conto delle preoccupazioni russe, fornire garanzie di sicurezza e costruire insieme un sistema di sicurezza efficace e inclusivo in Europa.
Ma ha sentito solo mantra su “le frontiere aperte della NATO“, “l’inammissibilità dell’ingerenza russa negli affari interni dell’alleanza“, e sul fatto che la NATO è un blocco difensivo (come no: Jugoslavia, Libia, ecc.), e che la vera minaccia viene dalla Russia “aggressiva”, “revanscista”, che “sogna di restaurare l’Unione Sovietica“.
Di conseguenza, nel «disperato tentativo di convincere i partner occidentali della necessità di avviare un vero processo negoziale, Mosca è ricorsa all’ultimo mezzo. Ora l’Occidente sarà costretto a una nuova configurazione globale con la Russia».
Gli USA hanno ora tre varianti di risposta.
Prima: inviare truppe in Ucraina, gli Stati Uniti hanno rinunciato da tempo.
Seconda: sanzioni contro il sistema finanziario russo e l’import tecnologico; proprio in questa direzione si muovono gli americani. Ma con le sanzioni, nemmeno gli USA godranno, non solo «perché, con quelle, spingeranno Mosca ancor più nelle braccia di Pechino, ma perché colpiranno l’economia occidentale».
Terza opzione: «calmarsi, prendere l’operazione russa in Ucraina come una lezione e sedersi al tavolo dei negoziati con la Russia su un nuovo sistema di sicurezza».
Tuttavia, conclude Mirzajan, anche qui ci sono forti insidie, sotto forma di «distruzione delle regole globali basate sulla volontà e sul dominio americani», nel senso che se «Washington permette alla Russia di cambiare lo status quo globale, così, senza punizioni, allora dov’è la garanzia che domani altri Stati non seguiranno la strada di Mosca, fregandosene di Washington?».
La presa di posizione del KPFR di Gennadij Zjuganov è nettamente a favore dell’intervento russo in Ucraina. «Il nostro partito e le forze patriottiche di sinistra» dice Zjuganov, «hanno da tempo formulato la propria posizione nei confronti del regime nazi-banderista ucraino... comprendiamo la decisione presa dai vertici del nostro Paese.
È principalmente finalizzata a garantire la sicurezza e ristabilire la pace in terra ucraina, così a lungo martoriata e, soprattutto, in Donbass... Grandi russi, bielorussi, malorusi (ucraini, ndt) costituiscono un unico popolo, con una storia unitaria, una cultura comune, fede e vittorie comuni».
Dopo che gli USA hanno fatto di «tutto per distruggere la nostra comune patria sovietica, l’Ucraina è finita nelle loro grinfie, quale miccia» cui essi intendevano dar fuoco sul suolo russo. A quale scopo?
Per «mettere i nostri popoli gli uni contro gli altri ed eliminare il loro principale concorrente dall’arena geopolitica. Un tempo era l’Unione Sovietica; oggi è la Federazione Russa», ha detto Zjuganov. In questo, a quanto pare, esattamente in linea con l’idea di Vladimir Putin su URSS-Russia.
Sul piano dell’azione, Zjuganov afferma che si debba «fare di tutto per garantire che la pace sia stabilita in Ucraina e in Donbass. Pertanto, auguro ai nostri capi militari, ai nostri ufficiali e soldati che tutto sia fatto con competenza e professionalità», come fecero in Crimea nel 2014, quando «c’erano trentamila soldati ucraini e circa lo stesso numero di truppe russe.
Non un solo mitra, non un solo cannone sparò allora. Perché? Perché tutti avevano capito che i cittadini della Crimea non vogliono avere un governo nazi-baderista che brucia vive le persone, come accaduto a Odessa; un governo banderista, che reprime chiunque non sia d’accordo con la sua ideologia nazista».
Netta e pronta anche la presa di posizione del VKPB (Partito comunista dei bolscevichi di tutta l’Unione) che esordisce notando come non sia corretto parlare di “inizio della guerra in Ucraina“, dato che la guerra in Ucraina è iniziata nel 2013-2014, con la vittoria del “majdan” neofascista e una crescente interferenza straniera negli affari ucraini.
Ora, «l’operazione militare delle truppe russe è di natura preventiva: occupare il territorio dell’Ucraina, stabilirvi un regime amico o neutrale, in modo che non vi compaiano basi NATO. I bolscevichi non hanno simpatia per il regime di V. Putin. E Putin non ha simpatia per i bolscevichi. Ma la realtà va vista per quella che è».
Azzardando un parallelo alquanto stiracchiato, ma efficace, il VKPB scrive che l’attuale operazione russa può paragonarsi a una «situazione ipotetica, come se nel 1933-1938 Inghilterra e Francia avessero attaccato la Germania nazista per rovesciare il regime hitleriano... È improbabile che i comunisti europei fossero contrari a un simile sviluppo degli eventi».
Anche il VKPB, come quasi tutta la sinistra e le organizzazioni comuniste russe, giudica tardiva l’operazione attuale: avrebbe potuto «essere realizzata senza vittime (o quasi) nel 2014. Anche allora, durante il colpo di stato, la Russia avrebbe potuto sostenere il presidente “legittimo” V. Janukovič e mantenerlo al potere.
A quel tempo, i militari ucraini, nei negoziati con gli insorti filo-russi a Slavjansk, dissero chiaramente che se la Russia avesse inviato truppe, essi sarebbero passati dalla parte della Russia e delle forze filo-russe».
Ma il regime putiniano perse l’opportunità e anzi riconobbe il governo di Petro Porošenko, contribuendo così al suo riconoscimento internazionale: «allora Putin e il suo entourage commisero errori di calcolo giganteschi. Le ragioni sono chiare: i circoli dirigenti russi speravano ancora di poter negoziare la pace sia con l’Occidente che con le nuove autorità ucraine».
Come si inseriscono in questo quadro gli attacchi antisovietici di Putin nel suo discorso del 21 febbraio? Non sono che «tentativi di trasferire sui predecessori, la responsabilità dei propri fallimenti in politica estera».
Concludendo, dicono al VKPB, prima o poi, la Russia avrebbe dovuto combattere la crescente forza dell’esercito ucraino e dei suoi alleati della NATO. È possibile che «si sarebbe dovuto combattere da questa parte, quella russa, del confine. Tuttavia, ora il regime russo sta cercando di correggere ciò che, logicamente, avrebbe dovuto fare nel 2014 (e che non ha avuto il coraggio di fare allora), per prevenire lo scenario peggiore».
E i comuni moscoviti, come reagiscono? Komsomol’skaja Pravda scriveva ieri che nei negozi e supermarket, a dispetto di quando diffuso in rete, non c’erano code e non c’era alcun “aggiotaggio” di prodotti alimentari di altro tipo. Di contro, sembra che delle code si siano registrate a diversi sportelli bancari e apparecchi bancomat, per ritirare contanti; ma tutto senza minime manifestazioni di “panico”.
Sporadiche manifestazioni contro la guerra si sono invece svolte in varie città della Russia, per la verità con scarsa partecipazione. La Tass scrive di circa 600 fermati a Mosca per “manifestazione non autorizzata”.
Una buona notizia è arrivata per gli abitanti dalla Crimea, sottoposti da anni al blocco idrico da parte di Kiev: il blocco sarebbe stato neutralizzato, anche qui con l’intervento di reparti russi.
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