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21/02/2022

Il secolo più lungo della storia

di Alberto Negri - ilmanifesto

Che cos’è una guerra? La prima cosa che succede si spegne la luce, come ho visto accadere a Baghdad, Kabul, Sarajevo, Belgrado, Beirut, Damasco, Tripoli, Mogadiscio. La luce può anche non tornare più per anni, sostituita dal ronzio dei generatori, mentre il cielo viene illuminato dai traccianti dei proiettili.

Gli europei sembra che se ne siano dimenticati e si spaventano soltanto adesso per l’incendio artificiale dell’Ucraina che potrebbe fermare il flusso regolare del gas russo.

Eppure di guerra gli europei ne hanno avuta una recente nel cuore dell’Europa, nella ex Jugoslavia, ma l’hanno vissuta come l’aspetto lontano di un conflitto etnico e religioso di un remoto Novecento. Ed è stato questo il più grande errore dell’Europa: pensare che il Novecento fosse finito.

In realtà non è il «Secolo breve», come scriveva il marxista britannico, nativo di Alessandria d’Egitto, Eric Hobsbawm. Questo è il secolo più lungo della storia dell’umanità. E continua ancora oggi nel cosiddetto terzo millennio. Che vi piaccia o meno.

Allora tutti pensavano, dietro uno schermo fatto di illusioni e ignoranza, che il ‘900 fosse terminato con il crollo del muro di Berlino del 1989 e poi con la successiva dissoluzione dell’Unione sovietica.

Certo cambiavano i regimi, i confini territoriali, nuove nazioni nascevano e fenomenali ideologie che avevano mosso il mondo vennero archiviate frettolosamente: ma non potevano scomparire i popoli, con la loro storia, le loro tradizioni, le loro credenze.

Così, sul finire del secolo lungo, sono risorti, in forma diversa, quelli che pensavano fossero fantasmi del passato, come gli imperi seppelliti dal tempo, da quello russo all’ottomano. Forse che oggi non chiamiamo tranquillamente Putin lo “zar” ed Erdogan il “sultano”?

Hobsbawm faceva finire il secolo con il crollo dell’Unione sovietica. In realtà il secolo era duro a morire e la fine della Jugoslavia, con guerre a ripetizione nel cuore dell’Europa, il coinvolgimento di grandi potenze e Paesi confinanti, lo dimostrava.

Con la fine della Jugoslavia si dissolveva uno degli ultimi stati multi-etnici e multi-religiosi dell’Europa. Ma c’è sempre un prezzo da pagare all’indifferenza.

Torna sempre in mente quello che aveva detto a noi cronisti, nel suo appartamentino popolare di Belgrado, Milovan Gilas, braccio destro del maresciallo Tito, colui che aveva trattato con Stalin per fermare un’invasione sovietica della Jugoslavia: «Qui stiamo regolando i conti della seconda guerra mondiale».

Tra massacri e pulizie etniche con migliaia di morti e milioni di profughi non era difficile credergli. Vicino a Srebrenica, nel luglio 1995, durante il massacro di oltre 7mila musulmani bosniaci, vidi in un bosco una donna appesa a un albero: si era impiccata pur di non finire in mano alle milizie. Il marito si era fatto saltare con una granata.

I morti non dovevi neppure cercarli: la mattina ti svegliava l’odore dei cadaveri in decomposizione al sole e all’afa.

Ma questi racconti, l’europeo medio, preso dalle vacanze dell’estate, non li voleva sentire e fino a oggi ha voltato la testa dall’altra parte. Si sveglia adesso perché oltre all’odore dei morti, sente puzza di gas e di crisi economica.

Senza dimenticare l’arroganza di Biden che ribadisce l’accusa contro la Russia dei «pretesti» di guerra, dimenticando che gli Stati Uniti ne hanno fabbricati di vergognosi per le avventure belliche in Vietnam, Kosovo e per l’Iraq nel 2003.

Altro che secolo breve... Nel 1992, con il crollo della Jugoslavia, la repubblica di Macedonia dichiarò l’indipendenza e a 100 chilometri da Salonicco la gente scese in piazza a protestare davanti alla statua di mega Alexandros. Greci e slavi si davano battaglia per l’eredità del nome.

Per risolvere questa disputa ci sono voluti quasi trent’anni con la firma dell’accordo di Prespa del 2018 e il cambio di nome della repubblica di Macedonia in Macedonia del Nord.

Per favore non chiamate più il ‘900 secolo breve. L’amico Davide Hearst, direttore di Middle East Eye – di origini polacche, ucraine ed ebree – ricorda che nel 1941, quando il Terzo Reich invase l’URSS, i nazisti vennero salutati come dei liberatori dal duro regime sovietico.

Le perdite civili totali durante la guerra e l’occupazione tedesca in Ucraina sono state stimate in quattro milioni, inclusi 1,6 milioni di ebrei. Secondo il Simon Wiesenthal Center «l’Ucraina, per quanto a nostra conoscenza, non ha mai condotto una singola indagine su un criminale di guerra nazista locale, e tanto meno ha perseguito un perpetratore dell’Olocausto». E neppure se ne è parlato nei giorni della memoria.

Oggi nell’Ucraina di Kiev bramosa della Nato, un persecutore e criminale come Stepan Bandera, che giurò fedeltà a Hitler, è considerato un eroe nazionale e le milizie e i gruppi che si richiamo a lui sono istituzionalmente la Guardia nazionale ucraina che addestra i civili e aizza alla guerra.

Chiamatelo ancora secolo breve, se ne avete il fegato.

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