A poco più di 24 ore dall'inizio dell'operazione militare russa in Ucraina è possibile abbozzare qualche riflessione che non sia contingentata dall'ansia di cronaca.
1) Quest'ultima costituisce il primo rilievo su cui ragionare. Le forme comunicative, in 40 anni di "mercato informativo", sono diventate talmente debordanti da costituire la sostanza stessa di ogni genere d'informazione, che di fatto non esiste più, soppiantata da una propaganda in cui il pensiero unico è azzerante rispetto a qualsiasi velleità di analisi, anche schieratissima.
Per capirci, non si tratta del consueto problema dei media "embedded" che spargono disinformazione per tutelare gli interessi del proprio capitale di riferimento. Qui il capitale dimostra plasticamente di aver abdicato all'uso di una parte fondamentali degli strumenti che ha sfruttato e contribuito a sviluppare per garantirsi l'egemonia.
2) Quanto appena scritto conduce direttamente alla seconda valutazione, quella per cui la guerra viene vissuta e analizzata, anche nella porzione maggioritaria della sinistra, entro canoni esclusivamente etici e morali. Questo a sancire la diffusa egemonia del pacifismo borghese, per cui lo scontro non deve mai travalicare i limiti che il sistema dato – dai borghesi ovviamente – stabilisce, operando un appiattimento totale in cui vittime e carnefici si confondono in posizioni del tutto intercambiabili, all'interno di un caos in cui si scende in piazza contro la guerra sventolando le bandiere di un regime, quello di Kiev, che da 8 anni ha dei nazisti dichiarati nelle proprie fila e dove il nazista Bandera è stato elevato al rango di eroe nazionale.
3) Siamo nel bel mezzo di rivolgimenti di portata storica, probabilmente più ampia di quelli intercorsi tra 1989 e 1991 con il crollo dell'URSS.
Questo perchè la fase di unipolarismo del capitale statunitense è durata appena un trentennio e, soprattutto, perchè i segni di un drastico spostamento della egemonia sugli equilibri globali da Occidente a Oriente è sempre più inequivocabile.
Si tratta di un dato che, è evidente, l'Occidente inteso come complesso contraddittorio economico e sociale è incapace non solo di comprendere, ma anche soltanto di ipotizzare. Lo dimostra lo stato di spaesamento che l'apertura del fronte ucraino da parte della Russia ha determinato nelle classi dirigenti e nell'informazione del nostro emisfero.
Le guerre insomma sappiamo concepirle, e sempre con una buona dose di minimizzazione ed auto assoluzione, soltanto quando le facciamo "noi". Quando bombardieri e carri armati, invece, sono mossi da Paesi dominati da regimi, sistemi economici e culture che consideriamo antitetiche se non inferiori, i nostri criteri interpretativi si schiantano e l'unica cosa che riusciamo a produrre sono mantra, come quello sul ritorno della "cortina di ferro" vecchi di mezzo secolo almeno.
Ciò evidenzia che la crisi sistemica in cui il capitale si dibatte ormai senza soluzione di continuità e diventata apertamente crisi di civilità.
Ce ne da conto l'intervista a Dmitrij Suslov – che riportiamo di seguito – redatta dal Corriere, in cui lo storico quotidiano del salotto buono della borghesia italiana, manifesta plasticamente il proprio smarrimento a fronte della chiarezza strategica esposta da un proprio concorrente di classe.
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Perché la Russia ha attaccato l’Ucraina? Lo spiega il consigliere per la politica estera del Cremlino: «L’obiettivo è il cambio di regime a Kiev. L’esercito russo vuole controllare l’intero territorio. Putin ha una missione: riunire due Nazioni slave»
«L’obiettivo è un cambio di regime a Kiev, né più, né meno. Putin lo ha detto chiaramente: gli obiettivi sono demilitarizzazione e denazificazione. L’esercito russo vuole prendere il controllo dell’intero territorio o della maggior parte di esso. Mosca rifiuta di parlare con il governo ucraino e questo implica che l’operazione militare continuerà e che il risultato che ci auspichiamo è l’emergere di un nuovo Paese. Stiamo vivendo le ultime ore dell’Ucraina come l’abbiamo conosciuta in 30 anni. Al suo posto nascerà un Paese che Mosca considererà amico e leale, privo di ideologia nazionalista e in rapporti del tutto diversi con l’Occidente».
Dmitrij Suslov dirige il Centro di Studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, uno dei pensatoi di politica estera più vicini al Cremlino.
Perché Putin agisce ora?
«La pazienza russa è finita. Putin ha concluso che l’Occidente, per cecità o per scelta, ha sistematicamente ignorato le sue preoccupazioni e le sue richieste, di cui si è parlato per anni, in particolare negli ultimi mesi. Alla luce dell’assoluta mancanza di progressi nell’applicazione degli accordi di Minsk, del rifiuto da parte americana delle garanzie di sicurezza chieste dal Cremlino, del pericolo militare rappresentato dagli attuali rapporti tra gli Usa e l’Ucraina, la Russia ha deciso di risolvere il problema unilateralmente».
Così non si rischia di innescare una guerra globale?
«L’Occidente reagirà con sanzioni, critiche e il rafforzamento della struttura militare della Nato nell’Europa centro-orientale. Ma sappiamo bene che non ci sarà alcuna guerra nucleare. Gli Usa hanno detto chiaramente che non combatteranno contro la Russia per l’Ucraina. Certo, non c’è dubbio che siamo già entrati in una nuova realtà geopolitica, un nuovo stato delle relazioni. Il dopo Guerra Fredda è finito per sempre e siamo dentro una confrontazione a tutto campo con l’Occidente, inclusa l’Unione Europea. Se non è una nuova Cortina di Ferro, ci manca poco. Lo scontro sarà forte, ci considereremo di nuovo nemici. Tutto ciò purtroppo è vero, ma la leadership russa considera più importante la risoluzione della questione ucraina ed è pronta a pagare il prezzo».
Al Cremlino sono emerse differenze di opinione. Putin ha deciso da solo?
«Difficile dirlo. È vero che non c’è pieno consenso nella comunità di politica estera su questa scelta. Alcuni pensavano che ci fosse una chance per la diplomazia. Ma la decisione presa è stata un’altra».
Non temete una forte resistenza interna in Ucraina, uno scenario afghano?
«La leadership russa spera che le truppe ucraine rifiutino di combattere e l’esercito si disintegri. Non escludo una forte resistenza in alcune parti del Paese, quelle più nazionaliste dell’Ovest, territori ostili dove le truppe russe probabilmente non entreranno. Ma il paragone con l’Afghanistan non regge: era un altro Paese, un territorio che offriva possibilità di santuari, non c’era nessun elemento culturale comune. Non mi aspetto una guerriglia su vasta scala. Ma lo scenario ideale sarebbe l’implosione del governo ucraino e un cambio di regime prima che le truppe russe arrivino a Kiev».
Ma questo porterà la Russia ad essere completamente isolata nella comunità delle nazioni.
«Il mondo è più grande dell’Occidente, che non lo domina più. Non c’è dubbio che la Russia sarà politicamente isolata dal mondo occidentale e i loro rapporti saranno ostili per molti anni. Ma non ha senso parlare di isolamento russo nella comunità internazionale: le nazioni che gli Usa possono motivare contro la Russia sono una minoranza. Cina, India, Medio Oriente, Africa, America latina non la isoleranno. Pechino non critica Mosca, oggi Lavrov ha parlato con il ministro degli Esteri cinese e non c’è stata una sola critica da parte sua. Forse la Cina non gioisce di fronte a questa azione, ma la sua posizione nei confronti della Russia è amichevole e questo ci aspettiamo dalla maggioranza dei Paesi. Quanto all’isolamento all’Onu, suvvia, la Russia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza».
Di fronte a sanzioni più dure, la Russia userà l’arma energetica contro l’Europa?
«No. Piuttosto sarà l’Europa a usare l’arma energetica contro sé stessa. Dopo il blocco del Nord Stream 2, se diventasse impossibile il transito del gas attraverso l’Ucraina a causa dell’azione militare, le sole condutture attive sarebbero Nord Stream 1, Turkish Stream e una molto piccola attraverso la Bielorussia. Voglio dire che l’Europa soffrirà non perché la Russia taglierà le forniture, che continueranno, ma perché ha deciso di privarsi del Nord Stream 2».
Putin vuole entrare nella storia come l’uomo che ha unificato il mondo russo?
«Non c’è dubbio che questo sia uno dei pilastri del suo lascito storico: ristabilire l’unione dei tre Paesi slavi. Non si tratta di ridare vita all’Impero russo o all’Urss. Ma ristabilire un’alleanza tra nazioni sorelle. Sanzioni e confrontazione sono temporanee, questo è per le generazioni».
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