di Marco Santopadre
Domenica il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha presenziato alla cerimonia che ha ufficialmente avviato la produzione di energia elettrica nella centrale collegata alla Grande Diga della Rinascita (Grand Ethiopian Renaissance Dam, GERD), realizzata da Addis Abeba sul Nilo Azzurro, nella regione nord-occidentale di Benishangul-Gumuz, a 15 km dal confine con il Sudan.
Un progetto faraonico
La Grande Diga, i cui lavori sono iniziati nel 2011, è destinata a diventare la più grande infrastruttura idroelettrica del continente africano; anche se il progetto iniziale puntava a una potenza massima di 6400 megawatt, a regime l’opera sarà in grado di produrne circa 5200 raddoppiando comunque l’attuale produzione dell’Etiopia, che mira a diventare un paese esportatore. Per ora la centrale ha iniziato a generare 375 megawatt di elettricità da una delle 13 turbine previste una volta ultimata, ma Addis Abeba è già in trattativa con il Kenya per la fornitura di elettricità.
Il sistema di dighe – che hanno creato un bacino di quasi 1900 km quadrati – e di centrali idroelettriche è costato finora 3,5 miliardi di euro; realizzata dalla “WeBuild Group” (ex Salini Impregilo Costruttori) in collaborazione con l’impresa statale Ethiopian Electric Power, la mastodontica infrastruttura è lunga circa 1800 metri e alta 150, e il suo bacino ha una capacità totale di 74 miliardi di metri cubi di acqua.
Il progetto della GERD è stato avviato durante l’era dell’ex primo ministro etiope Meles Zenawi, che ha governato il paese dal 1991 fino alla sua morte nel 2012, ma la sua realizzazione è stata accelerata negli ultimi anni, dopo l’ascesa al potere dell’attuale premier Abiy Ahmed Ali nel 2018. Al momento, secondo il governo di Addis Abeba, l’infrastruttura è stata completata all’84% e serviranno altri due o tre anni per ultimarla.
Per la realizzazione della faraonica grande opera il paese si è speso molto: i dipendenti pubblici hanno contribuito donando un mese di stipendio e, ogni anno, Addis Abeba ha emesso dei titoli di stato per finanziare la costruzione di quella che è considerata una straordinaria opportunità di sviluppo e un motivo di orgoglio nazionale. La GERD dovrebbe infatti consentire l’accesso alla rete elettrica a decine di milioni di etiopi, funzionando da volano per l’economia e lo sviluppo di vaste aree del paese. Attualmente l’Etiopia, che è il secondo paese più popoloso del continente, secondo la Banca Mondiale non riesce ad assicurare l’utilizzo della rete elettrica a più di metà dei circa 110 milioni di abitanti.
L’enorme bacino, inoltre, dovrebbe anche consentire di irrigare e rendere quindi produttivi milioni di ettari di terre attualmente incolte o soggette alle piene del Nilo, frequenti durante la stagione delle piogge, riducendo inoltre danni provocati dalle alluvioni.
Il contenzioso con Egitto e Sudan
«Non abbiamo intenzione di danneggiare in alcun modo Egitto e Sudan e le nostre relazioni con i due popoli sono basate sui principi di fratellanza» ha dichiarato il primo ministro Ahmed durante l’inaugurazione, aggiungendo che il beneficio prodotto dalla Grande Diga sarà esteso anche ai paesi a valle: «Le acque del Nilo continueranno a fluire verso l’Egitto e il Sudan, e non vi sarà alcuna conseguenza per loro».
Ma l’infrastruttura è oggetto di una disputa con i paesi confinanti che dura ormai dal 2011 e che si è intensificata man mano che i lavori di realizzazione procedevano. Egitto e Sudan considerano infatti l’utilizzo delle acque del Nilo per produrre elettricità una grave minaccia alla loro sicurezza. Soprattutto l’Egitto dipende dalle acque del fiume per coprire il 97% del fabbisogno idrico destinato all’irrigazione e ai rifornimenti di acqua potabile.
Il Sudan da un lato spera che l’infrastruttura diminuisca l’impatto delle distruttive inondazioni annuali, ma dall’altro teme una riduzione della portata del fiume che danneggerebbe gravemente l’agricoltura e provocherebbe un calo della produzione di elettricità da parte delle sue centrali idroelettriche. I rapporti tra Etiopia e Sudan, negli ultimi anni, sono peggiorati a causa delle conseguenze del conflitto tra il governo centrale di Addis Abeba e la guerriglia tigrina del TPLF, in un clima reso già “caldo” dal contenzioso sul possesso del “triangolo di Fashaqa”, una regione frontaliera contesa tra i due paesi.
Alternando minacce e offerte di dialogo, l’Egitto e il Sudan hanno esercitato forti pressioni sull’Etiopia per ottenere la realizzazione di un accordo vincolante sul tasso di riempimento della diga e sul suo funzionamento, ma i tentativi di mediazione intentati dall’Unione Africana e dalle Nazioni Unite non hanno sortito alcun effetto. Nei mesi scorsi il regime egiziano ha anche provato a creare una sorta di alleanza africana antietiope, coinvolgendo Ruanda, Kenya, Burundi e Uganda – oltre al Sudan – in una rete di relazioni basata su accordi militari e cooperazione economica.
Addis Abeba, però, ha tirato dritto mettendo di volta in volta i suoi vicini di fronte al fatto compiuto ed alla strategia di isolamento dell’Egitto ha opposto il rafforzamento delle relazioni economiche e militari con l’Eritrea e il Sud Sudan. La propaganda del governo etiope, del resto, dipinge la diga come il frutto di un “grande sforzo patriottico” che attori stranieri starebbero cercando di frenare.
La politica del fatto compiuto
Com’era prevedibile, sia il Cairo sia Karthum hanno reagito con stizza all’avvio della turbina. In un comunicato stampa, il ministero degli Affari esteri egiziano denuncia che il passo di domenica è stato annunciato “unilateralmente” come del resto è già avvenuto in occasione del primo e del secondo riempimento della diga avvenuti nel 2020 e nel 2021. Il regime di Al Sisi, inoltre, ha definito l’inizio della produzione di energia da parte del governo etiope una violazione della Dichiarazione dei Principi firmata tra Etiopia, Egitto e Sudan nel 2015. Il DOP aveva concesso infatti all’Etiopia il consenso degli altri due paesi alla costruzione della GERD in cambio però dell’impegno, da parte di Addis Abeba, a non arrecare alcun danno agli stati a valle del Nilo. Il Cairo si richiama anche ad altri due accordi internazionali, uno siglato in epoca coloniale (nel 1929) con il Sudan e l’altro risalente al 1959. Mentre il primo concede all’Egitto il potere di veto sulla realizzazione di infrastrutture lungo il corso del Nilo, il secondo accordo sancisce l’appartenenza al Cairo del 66% delle acque del fiume, mentre a Karthum spetterebbe il 22%. L’Etiopia però non riconosce questi due accordi non essendo stata coinvolta nella loro approvazione.
Il Cairo spera in Washington
Solo pochi giorni prima dell’avvio della centrale il ministro degli Esteri etiope, Redwan Hussein, aveva esortato tramite un comunicato Sudan ed Egitto a superare la loro tradizionale opposizione alla Grande Diga in considerazione del fatto che gli etiopi non «aspetteranno all’infinito». Hussein si era poi lamentato del fatto che Il Cairo e Khartum avevano lasciato cadere nel vuoto le diverse alternative presentate dall’Etiopia ai due paesi affinché potessero beneficiare della diga.
Il regime egiziano continua a spingere per il raggiungimento di un accordo legalmente vincolante sulla gestione dell’infrastruttura e spera nel sostegno degli Stati Uniti, che nei mesi scorsi hanno già imposto delle sanzioni all’Etiopia dopo la recrudescenza del conflitto tra esercito regolare e la guerriglia del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray ed altre milizie di opposizione. Washington, in particolare, non gradisce l’ampio supporto concesso ad Addis Abeba dalla Cina sul fronte economico ma anche militare.
Ma attualmente l’amministrazione Biden sembra particolarmente concentrata sullo scontro con Mosca nel dossier ucraino e il suo intervento potrebbe essere blando e non risolutivo. Intanto molti media regionali sottolineano con preoccupazione la militarizzazione del contenzioso: l’Egitto avrebbe ottenuto dal Sudan l’autorizzazione a schierare alcune batterie di missili puntati verso il Gerd mentre Addis Abeba avrebbe affidato la protezione della diga a circa 2 mila militari, coadiuvati da alcune batterie antimissile.
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