La mutata natura della guerra che si è imposta dall’inizio degli anni ’90 non sempre balza agli occhi della politica che è abituata a considerare le crisi internazionali solo in termini geopolitici (occupazione dei territori e governo delle sfere di influenza) come all’inizio del ‘900. In realtà, ancora prima della nascita della geopolitica, specie in ambito tedesco è chiarissimo come al conflitto sul campo, di cui la geografia rappresenta la codificazione grafica e concettuale, si sovrappongano altre modalità di condurre la guerra tra cui la Finanzkrieg, la guerra finanziaria, come quella condotta da Bismarck contro l’impero russo. A quel punto la finanza e la moneta da strumento tecnico e di calcolo, già prima del ‘900, si svelano per come sono sempre stati: un’arma nella guerra tra nazioni mentre i mercati si scoprono come qualcosa di diverso dal luogo d’incontro, e anche di scontro, tra domanda e offerta.
Questo per ricordare che, arrivando ai giorni nostri, un conflitto russo-ucraino c’è già stato, nel 2014, condotto a bassa intensità sul terreno, Donetsk e Crimea, e ad alta intensità sui mercati finanziari, in particolar modo sul mercato dei cambi dove, durante il conflitto sul campo, la banca centrale russa ha lasciato sul terreno una considerevole porzione delle proprie riserve per salvare il salvabile del rublo. Allo stesso tempo, l’altro grande attacco alla stabilità economico-finanziaria della Russia, il crollo del prezzo del petrolio nello stesso periodo, anche se di origine diversa da quella americana, ha fatto provare a Mosca il brivido di un conflitto sul campo combinato con differenti assalti speculativi alla propria moneta, ai fondi sovrani e ai principali asset nazionali.
Quasi otto anni dopo, la crisi russo-ucraina si ripropone in tutte le proprie criticità: da un lato l’amministrazione democratica USA torna ad applicare la dottrina Brzezinski, nella quale l’influenza Usa in Ucraina è preciso obiettivo di una strategia che guarda a una rinnovata egemonia americana nel mondo della rivoluzione industriale da noi chiamata 4.0, dall’altra la Russia che, nel momento in cui cresce, si trova l’alleanza ucraino-americana come problema. Come spesso accade gli interessi diversi sullo stesso luogo generano conflitti, a volte lentamente e a volte in modo devastante. Bisogna infatti ricordare come nel ’91, all’indomani della indipendenza ucraina fu la stessa Nato a rifiutare l’affiliazione a Kiev per non turbare gli equilibri con Mosca. Nel corso degli anni le posizioni sono cambiate e il conflitto del 2014, frutto di mutazioni di equilibrio nell’area, può generarne un altro ancora peggiore del precedente.
Anche stavolta il conflitto che si intravede ha caratteri di sovrapposizione tra conflitto sul campo e conflitto finanziario. Inquadriamone alcune caratteristiche.
– Nella guerra di comunicazione tra Russia e Usa, che è parte del conflitto perché sposta consenso, le parti si accusano reciprocamente di porre le condizioni per un attacco su larga scala. Bene, al momento le condizioni per un conflitto in larga scala non ci sono. La Russia, che potrebbe piegare la resistenza ucraina in pochi giorni, non ha chance per occupare con successo l’Ucraina, non più di quanto l’abbiano avuta gli Usa di mantenere l’occupazione in Iraq. Allo stesso tempo gli Usa e la Nato nell’area non sono strutturati per un confronto diretto di questo tipo. Siamo di fronte non tanto a scenari da Operazione Barbarossa, l’invasione delle pianure sovietiche da parte dell’esercito tedesco del 1941, ma a un nuovo possibile conflitto a bassa intensità – in aree limitate senza armi di distruzione di massa – magari però con effetti multipli sugli altri piani di conflitto.
– Un effetto possibile, con serie ripercussioni nell’economia europea, è legato al blocco del gasdotto North Stream 2, sostanzialmente russo-tedesco quanto ufficialmente prioritario nelle politiche UE, che da oltre un decennio è sotto il tiro proprio degli americani. Qui, come su altri piani, non è importante tanto l’estensione del conflitto sul campo quanto la possibilità che, una volta scatenata la guerra della comunicazione, si arrivi a creare una pressione politico-diplomatica tale da bloccare il gasdotto a favore degli interessi americani e dei prodotti finanziari legati al gas made in USA.
– Altro terreno legato all’estensione del conflitto sul campo, “limitato” ma con il consueto corredo di vittime e lutti, è quello dell’allargamento del cyberwarfare per il danneggiamento delle strutture materiali e immateriali del paese attaccato. La dimensione possibile del cyberwarfare russo-ucraino è così estesa che recentemente The Times of India, un paese che ha prospettive di potenza nell’economia digitale, ha suggerito al proprio governo politiche inedite nella protezione dagli attacchi cybernetici proprio a causa nelle novità emerse, nella crisi russo-ucraina, nel modo di condurre il conflitto in questo campo.
– Veniamo infine all’altro modo principe di condurre la guerra: quello finanziario. Gli Usa hanno minacciato di escludere la Russia dallo Swift, il sistema internazionale dei pagamenti, e una serie severa di sanzioni anche sul piano finanziario. Ci sono analisti convinti che il sistema Russia sia, dopo la crescita degli ultimi anni, sostanzialmente resiliente rispetto a questi attacchi. Se la situazione precipita questo piano rappresenterà per Mosca un vero banco di prova rispetto ai danni subiti nel 2014.
È anche possibile che la crisi russo-ucraina si risolva come la crisi dei missili di Cuba che non fu l’atto finale della guerra fredda ma non sfociò in un conflitto devastante. Altrimenti è sensato prevedere un conflitto “limitato” sul campo, nelle zone rurali al confine tra i due paesi, con un serio fallout sulle politiche energetiche, nel cyberwarfare, nella guerra finanziaria in modo da ridefinire i rapporti di forza russoamericani e il ruolo dell’UE. In questo modo, la mutata natura della guerra, che vede la presenza del campo ristretta rispetto al passato, sembrerebbe un oggetto razionale e governabile. Niente di tutto questo però: infatti, quando si tratta di una sovrapposizione di conflitti di questo genere, come scriveva Raymond Aron, a un certo punto “Cleopatra ci mette il naso” e accade qualcosa d’imprevedibile.
Oltretutto, la dimensione finanziaria di questo genere di conflitti è imprevedibile, sconosciuta e temuta dalla politica quanto innervata nella mutata natura della guerra, nel quale il conflitto sul campo per quanto doloroso è a bassa intensità, e nella quale la finanza è un’arma e la guerra un momento della finanza.
E l’Italia? Dando per scontato che, in questo genere di crisi, nell’UE ogni paese gioca la propria partita privata, è bene vedere questo grafico
Come si può notare, oltre al fatto che la Russia è il principale importatore dell’Ucraina, l’Italia è il quinto importatore di entrambi i paesi. Se la crisi precipitasse, seguire fedelmente l’alleato Usa potrebbe essere anche molto doloroso per gli equilibri economici del nostro paese. Il sovrapporsi di guerra sul campo e guerra finanziaria, dove i due elementi combinati amplificano i danni provocati ben oltre il terreno di battaglia, potrebbe essere qualcosa di caro per l’Italia. Sempre se la politica e i media, sostanzialmente arruolati come ufficio stampa della Nato, e la società, soprattutto in lotta per la sopravvivenza in questo delicato passaggio epocale, riescono ad accorgersene. Provare dolore e conoscerne l’origine non è sempre la stessa cosa.
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