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28/02/2022

L’Unione Europea gioca con la guerra

Il Modo di Produzione Capitalista è caratterizzato da una peculiare configurazione dello spazio, che consiste essenzialmente nel fenomeno verificatosi durante il passaggio dal feudalesimo al capitalismo: questo non è più determinato dalla contraddizione tra campagna e città, ma dall’articolazione tra il centro e la periferia e, come avviene nel periodo attuale, può cominciare ad essere analizzato in termini statistici semplici.

È interessante notare che i taccuini e gli scritti di Marx dalla metà degli anni Quaranta dell'800 in poi affrontano queste contraddizioni nel sistema di Smith, anticipando in qualche modo gli studiosi contemporanei.

In effetti il peso dell’economia nordamericana, misurato dalla sua capacità di generare salari e benefici, in termini di redditi da capitale a partire dai profitti (cioè il PIL finale), mostra un andamento ciclico, con punti di svolta nel 1980, 1985, 1995, 2001…

Tutto ciò si osserva calcolando l’evoluzione del peso del PIL pro capite degli Stati Uniti, in dollari correnti del 2015 tra il 1970 e il 2019. Ogni cinque anni cambia il peso dell’economia statunitense, e ogni dieci anni si verifica un ciclo completo, durante il quale l’economia statunitense oscilla tra il 25% e il 32% del PIL mondiale.

Ma nel 21° secolo le cose cambiano sostanzialmente. Nel 2005-2006 non vi è alcuna tendenza verso una fase di ripresa rispetto al resto del mondo; al contrario, l’economia statunitense è ancora in recessione, per cui possiamo dire che la crisi del 2009 è stata in realtà un peggioramento della fase già depressiva – e anche questo è rilevante – senza un successivo prolungato recupero del suo peso nell’economia mondiale, che rimane stagnante intorno a un quarto del PIL mondiale.

Se questa tendenza continuerà nei prossimi anni, significherà che, statisticamente, l’economia statunitense non sarà più il motore dell’accumulazione globale.

Nella configurazione della piramide mondiale, non conta solo il valore lordo della produzione controllata da ciascun centro, tale valore deve essere anche rapportato alla popolazione relativa delle aree geografiche in questione.

Nei decenni del cosiddetto “postfordismo” e del neoliberismo, gli Stati Uniti hanno continuato ad allargare il divario tra il valore aggiunto per cittadino statunitense e quello degli abitanti del pianeta.

Ancora una volta, questa tendenza si è interrotta all’inizio del secolo, e sia nel periodo di crescita associato alla bolla finanziaria sia dopo lo scoppio della Grande Depressione, gli Stati Uniti hanno iniziato una nuova fase di declino.

Tuttavia, il declino è lento perché, a parte i problemi legati al tasso di cambio tra le valute mondiali in cui si esprime il valore aggiunto nazionale e il dollaro USA, la perdita di ricchezza relativa degli americani rimane contenuta, attestandosi ora su livelli simili a quelli degli anni ’80: circa 5,5 volte la ricchezza pro capite del mondo, rispetto a cinque volte nei primi anni della crisi fordista degli anni ’70.

In altre parole, l’indebolimento dell’economia statunitense nel contesto mondiale segue un lento slittamento verso la stagnazione generalizzata.

Nonostante in termini annui vi siano ancora periodi di significativa crescita del PIL reale pro capite, tale incremento è progressivamente più debole, come si evince dal trend che, per mitigare le fluttuazioni e la variabilità anno su anno, si presenta come una media mobile a quattro periodi.

Gli elementi di cui sopra possono anche essere utili come base per guidare la nostra analisi del ruolo della Cina nella cooperazione internazionale.

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