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28/02/2022

La pace tra gli oppressi, la guerra agli oppressori

Mentre scriviamo, continuano i combattimenti in Ucraina. Non ci piacciono le guerre tra Stati, non ci piace il nazionalismo. Sappiamo che tra i russi esistono lavoratori e sfruttatori, lo stesso tra gli ucraini. I nostri fratelli e le nostre sorelle sono i popoli che vengono sfruttati ad ogni latitudine: sappiamo che il loro riscatto avverrà solo unendosi contro chi li opprime, contro il sistema che li sfrutta.

Si dice che gli avvenimenti di questi giorni sarebbero l’“ora più buia per l’Europa”. Ci viene detto, con tonnellate di retorica e bugie, che la guerra è tornata in Europa per la prima volta dal 1945.

Nel 1999 le truppe USA con l’aiuto dei paesi NATO europei bombardarono per 80 giorni Belgrado(1). Allora non si disse nulla, allora i finti pacifisti che oggi scendono in piazza in difesa del governo filonazista ucraino, erano tra coloro che inviavano i bombardieri sulla Serbia.

Ancora, ci viene detto che l’invasione dell’Ucraina è ingiustificabile. Evidentemente dobbiamo pensare che il colpo di Stato in Ucraina, finanziato e foraggiato dagli USA in combutta con le bande paramilitari neonaziste, fosse giustificato, visto che i governi e le cancellerie lo hanno alimentato e sostenuto(2). Così come era giustificato il massacro nella casa dei sindacati di Odessa, dove furono bruciati vivi decine di compagni e compagne dai nazisti ucraini, intenti a festeggiare la conquista del potere sotto lo sguardo benevolo della polizia di quello Stato(3).

In Donbass le repubbliche popolari vivono sotto i bombardamenti dell’esercito ucraino da otto anni. Secondo l’OCSE, il conflitto ha fatto 14 mila morti(4). Ci vuole una buona dose di coraggio, alimentata da una propaganda nauseante, per sostenere che la guerra è stata iniziata dalla Russia.

Alcuni compagne e compagne ci spiegano che dobbiamo stare alla larga da Putin, che il suo regime è infarcito da uno spirito biecamente nazionalista e anticomunista. Lo sappiamo, non certo da oggi. Ma il nazionalismo altro non è che il prodotto determinato dalla fine dell’URSS (con contorno di referundum traditi e sollecitazioni ai popoli in senso nazionalista allo scopo di smembrare la federazione sovietica(5)). Che si sviluppi il nazionalismo non è poi tanto strano, visto che è stato alimentato, sostenuto e foraggiato da chi oggi se ne lamenta perché si ritorce contro i propri interessi immediati. Esattamente la stessa storia che è accaduta e accade con le bande islamiste che imperversano in varie aree del pianeta. Erano i migliori amici della NATO quando combattevano (e combattono tutt’ora) contro i paesi socialisti, sono diventati nemici quando si sono ritorti contro i loro interessi.

L’intervento russo è pericoloso, può innalzare il livello di scontro verso una guerra incontrollabile. Ma il conflitto non lo ha alimentato la Russia. La NATO sta accerchiando la Russia da decenni(6). Ogni tentativo di ragionare su questo fatto è stato sempre rifiutato dagli USA e dall’Unione Europea. Oggi, dichiararsi pacifisti e scendere in piazza a sostegno di una organizzazione criminale che negli ultimi anni ha colpito indiscriminatamente in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Siria è semplicemente impossibile.

Pensiamo che occorra porre un freno all’escalation. Pensiamo che sia opportuno un ritorno al negoziato. Ma tutto questo non significa equidistanza. Oggi siamo solidali con i popoli del Donbass che dopo anni di sterminio hanno la possibilità di sopravvivere. Il fatto che, in questi anni, la scintilla proletaria che si era accesa in quel quadrante sia venuta meno e si sia rifugiata sotto le bandiere nazionaliste non può farci dimenticare che quel popolo coraggioso e antifascista stava subendo un genocidio. Il fatto che questo possa finire è da considerarsi una vittoria dell’umanità.

Crediamo che russi e ucraini, così come i popoli di tutto il mondo debbano vivere in pace e non dividersi su base nazionale. Hanno entrambi da lottare contro le proprie oligarchie.

Noi dobbiamo lottare contro le nostre. Noi dobbiamo lottare per la pace, ma non quella che piace alla NATO o all’Unione Europea. Semplicemente perché quella non è pace.

Oggi il sistema capitalista è in grandissima crisi. L’aggressività della NATO nei confronti dei competitori si svolge in una situazione in cui il mondo sta cambiando. In cui a vecchi poteri se ne sostituiscono di nuovi. Gli USA e la NATO potrebbero perdere il dominio sul mondo. Da qui la loro aggressività verso tutti coloro che non sono direttamente piegati ai loro interessi. Da qui la loro volontà di perpetrare il proprio dominio, imponendo con la forza militare il raggiungimento dei propri interessi. Gli interessi di pochi padroni contro il resto dell’umanità.

Ma i popoli oppressi del mondo non hanno da preoccuparsi di questo. Hanno invece la necessità impellente di organizzarsi perché a una oppressione non ne venga sostituita una diversa.

Hanno invece da costruire un Nuovo Mondo in cui l’oppressione non avrà più ragione di esistere. In cui le guerre saranno quelle di liberazione, non Stato contro Stato, ma lavoratori contro sfruttatori.

La possibile disgregazione della NATO e dei suoi alleati ci parla di una prospettiva che oggi non siamo in grado di sfruttare o determinare, ma apre una possibilità per tutti i popoli.

Lottare e avanzare su questa strada significa combattere il proprio nemico tutti i giorni con le lotte sociali, contro i traffici di armi, per la solidarietà internazionalista. Il nostro nemico non è un popolo, non è una etnia, ma è una classe sociale, quella dei padroni e dei loro gendarmi che si chiamano NATO e Unione Europea.

Collettivo Comunista Genova City Strike

CALP, Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali

Note:

1) Da Diritti Globali (l’articolo è uscito sul Manifesto).

«Buona sera signore e signori. Ho appena dato ordine al comandante supremo delle Forze alleate, il generale Clark, di dare inizio alle operazioni nella Repubblica federale di Jugoslavia». Sono le 23 del 23 marzo 1999 e questa fu la dichiarazione di venti anni fa del segretario della NATO, lo spagnolo Javier Solana, ahimé socialista e attivo protagonista delle nostre manifestazioni pacifiste negli anni ’80. (Ma si sa che la pace è cosa da ragazzi, gli adulti si occupano di politica internazionale). Il 24 marzo, alle 20:25, il primo bombardamento su Belgrado; il 26 le «operazioni», chiamate interventi umanitari, sono già 500. Dureranno 78 giorni e scaricheranno 2.700 tonnellate di bombe. (Molte settimane, perché, alla domanda posta dall’allora presidente del Consiglio D’Alema il 5 di marzo – «che faremo se Milosevic resiste?» «Continueremo a bombardare» – il consigliere dell’allora presidente americano Clinton, Sandy Berger, aveva risposto: «che faremo se Milosevic resiste?» «Continueremo a bombardare»).

2) La rivoluzione colorata ucraina cominciò nel novembre del 2013. Le proteste scoppiarono il giorno dopo la rottura delle trattative tra l’Ucraina e l’Unione Europea per un accordo di libero scambio. Per il Presidente Janukovich significava che l’Ucraina si sarebbe dovuta riavvicinare alla Russia. Inizialmente le proteste erano appoggiate dall’Unione Europea. Dopo poco, gli USA presero in mano la situazione anche attraverso la mobilitazione di combattenti nazisti inquadrati in milizie che entreranno poi nelle istituzioni politiche e militari ucraine.

3) La strage di Odessa avviene il 2 maggio del 2014. L’assedio dei nazisti dura ore. In rete è presente un lungo video che lo documenta. Il massacro fu inizialmente addebitato ai filo russi. Il giornale del PD l’Unità titolò in tal senso nei giorni successivi. Da Wikipedia:
Il nuovo governo ucraino a capo di Oleksandr Turčynov e Arsenij Jacenjuk si limitò a parlare di una fatalità che era costata la vita a circa 30 persone. Il Ministro degli Interni ucraino e la Polizia sostennero da subito che i manifestanti anti-governativi fossero rimasti uccisi dalle fiamme scaturite dai loro stessi lanci di bombe molotov. Anche la stampa vicina al nuovo governo attribuì l’incendio ai manifestanti filo-russi. Ben presto questa versione venne smentita dalle testimonianze dei sopravvissuti e di vari osservatori.
Il Parlamento europeo si espresse in tal senso:
«Numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell’edificio a uccidere coloro che si trovavano all’interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere. Esistono filmati che mostrerebbero poliziotti sparare sui disperati che cercavano di fuggire dalle finestre e tutte le prove disponibili indicano che gli assedianti intendevano uccidere».
Ad oggi (2022) nessun processo è stato intentato per la strage.

4) I dati dei morti differiscono a seconda degli enti. Si parla comunque di più di 10 mila morti.

5) Il referendum si tenne il 17 marzo del 1991 con il seguente quesito:
«Considerate necessario preservare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come una rinnovata federazione di repubbliche uguali e sovrane in cui saranno pienamente garantiti i diritti e la libertà dell’individuo di ogni nazionalità?»
Il referendum si tenne in quasi tutte le Repubbliche dell’ex URSS. Non parteciparono Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia e Armenia dove però alcuni soviet locali organizzarono seggi. Il risultato fu una affluenza intorno all’80% degli aventi diritto con il “sì” che prevalse al 78%.

6) Per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente una immagine che riporta i confini della NATO nel 1998 e nel 2022. In rosso i paesi aderenti alla NATO.


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