In queste ore molti si stanno chiedendo se nei prossimi giorni ci alzeremo la mattina mentre il nostro pezzo di mondo – l’Europa – è entrato in guerra. Un risveglio indubbiamente doloroso e inquietante per un continente nel quale si sono combattute due guerre mondiali.
Nella campagna di guerra mediatica, questo scenario sarebbe addirittura già accaduto un settimana fa con il lancio dell’agenzia Bloomberg, la quale annunciava l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Quella fake news, piuttosto simile a quelli che in gergo si chiamano coccodrilli (articoli preparati in anticipo per la morte di qualche personaggio noto), è durata però 24 minuti per essere poi cancellata dall’agenzia.
Ma quel falso lancio di Bloomberg non è molto dissimile dalle altre fake news di guerra. Anzi, queste sono ormai parte integrante delle guerre che vengono oggi definite “ibride” e vengono diffuse a piene mani in queste settimane, riprese in modo decisamente vergognoso dai mass media italiani e in parte anche europei.
Infatti l’uso bellico di queste false informazioni è diventato parte stessa della guerra, prima e insieme a quella combattuta sul fronte con artiglierie, carri armati, missili e quant’altro.
Una campagna di fake news ripetute e diffuse punta ad ottenere gli stessi effetti di una guerra senza combatterla direttamente, un po’ come lo sono diventate le sanzioni: panico, disinvestimenti, insicurezza, danni economici al paese nemico, ma anche ai paesi coinvolti.
Non è un caso che da settimane lo stesso governo ucraino implori di non esagerare con le fake news sull’invasione russa. I danni maggiori, per ora, li sta infatti soffrendo proprio l’Ucraina che gli Stati Uniti e la Nato affermano di voler “proteggere”.
Ultima in ordine di tempo la non chiusura dello spazio aereo ucraino da parte del governo di Kiev mentre le compagnie aeree occidentali sospendono i voli da e per l’Ucraina. C’è poi l’evacuazione dei propri cittadini dichiarata dalle ambasciate dei paesi Nato, inclusa l’Italia, e sulla quale si assiste ad una curiosa non coincidenza dei numeri (1).
Ma l’escalation cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno lavorato sistematicamente, lasciando credere che la Russia stia per invadere l’Ucraina, a ben vedere ha obiettivi assai diversi da quelli dichiarati e un retroterra meno solido di quanto lascino intravedere.
Domande e risposte semplici
Ci sono domande semplici che presentano risposte altrettanto semplici.
- Da una guerra in Europa o da tensioni geopolitiche in Europa, chi ci rimette di più, gli europei o gli Usa e la Gran Bretagna? Risposta facile e quasi scontata.
- Da tensioni nelle relazioni economiche ed energetiche con la Russia ci rimette di più l’Unione Europea o gli Stati Uniti? Anche qui la risposta è facile.
- Dal canto suo, la Russia ha più interesse ad avere buone relazioni o a guastare con una avventura militare in Ucraina le sue relazioni complessive con l’Unione Europea? La risposta non è molto difficile.
- E, da un altro punto di vista, gli Stati Uniti hanno più interesse o timore dell’autonomia strategica dell’Unione Europea sul piano energetico, politico, monetario e tecnologico? Qui la risposta richiede qualche sforzo in più.
Come appena scritto, non essendo particolarmente complesse le risposta a queste domande, è evidente che per evitarle – da parte dell’imperialismo Usa – occorre fare in modo che tali domande non siano poste, producendo una rimozione di senso invocando altri parametri.
Gli Usa e la Gran Bretagna attraverso la NATO negano di interferire negli affari europei perché intendono rappresentare “l’eterna sfida tra la società liberale e il dispotismo asiatico”, una categoria vaga che estende la sovrastruttura ideologica della guerra fino alla Cina.
Ieri era la Guerra Fredda contro il socialismo reale, oggi la guerra contro “sistemi autocratici” che sono sopravvissuti e si sono rafforzati anche dentro i meccanismi della globalizzazione capitalista del mondo compiutasi con la dissoluzione dell’Urss.
Il “bluff” degli Stati Uniti
Ma perché gli Stati Uniti sono dovuti ricorrere ancora una volta al solito gioco di alzare la tensione in Europa? Lo stanno facendo per ragioni interne e per motivi che hanno a che fare con la nuova fase storica in cui ci siamo infilati negli ultimi venti anni.
Sul piano interno gli USA stanno facendo i conti con la loro stessa vulnerabilità. La polarizzazione sociale è ai massimi livelli, tanto che alcuni osservatori evocano i rischi di una guerra civile.
C’è poi una inflazione al 7,5%, un livello che non si verificava dal 1982. Ma era consuetudine che gli Usa scaricassero le loro crisi interne e l’inflazione sul resto del mondo attraverso la supremazia del dollaro nell’economia mondiale.
Poi, quando valutavano che c’erano le condizioni, usavano spesso e volentieri anche il fattore militare. Dal 1982 in poi lo hanno fatto spesso.
Nel 1983 hanno invaso la piccola isola di Granada, “colpevole” di essersi avvicinata politicamente a Cuba; nello stesso anno hanno inviato i marines in Libano (ma ne hanno lasciati sul terreno parecchie decine); nel 1989 hanno bombardato e invaso Panama.
Nel 1991 hanno attaccato l’Iraq; nel 1993 hanno mandato i marines in Somalia (ma anche qui ne sono rimasti uccisi diversi); nel 1999 hanno attaccato la Serbia; nel 2001 l’Afghanistan (e tutti sappiamo come è andata).
Nel 2003 hanno invaso nuovamente l’Iraq e nel 2012 hanno inviato soldati e forze speciali in Siria (e anche qui sappiamo come è andata), nel 2008 avrebbero voluto mandare le truppe della NATO in Georgia, ma gli alleati europei hanno risposto “picche”.
Alla luce di tutto questo si comprende perché l’11 settembre 2001 c’era un mondo – da Seattle a Riga – che si è costernato, ed un altro mondo – da Bogotà a Jakarta – che ha esultato. E viene da chiedere agli statunitensi, ma come facevate a non capire o non sapere e domandarvi: “perché ci odiano tanto?”.
Nonostante queste ripetute avventure militari contro nemici immensamente più deboli – le hanno definite guerre asimmetriche – il mondo stava cambiando sotto i loro e i nostri occhi.
È vero che il dollaro è ancora la principale moneta per le transazioni economiche internazionali. Ma da venti anni non è più l’unica: adesso c’è anche l’euro, e non solo.
Inoltre diversi paesi come Russia, Cina, Venezuela, Iran, ecc., da tempo hanno cominciato a commerciare tra loro ed a neutralizzare le sanzioni statunitensi ricorrendo ad altri sistemi di pagamento nelle rispettive transazioni.
Inoltre, quando Usa e Gran Bretagna hanno proposto di adottare tra le sanzioni anche l’esclusione della Russia dal sistema Swift per le transazioni bancarie internazionali, gli “alleati europei” hanno detto di lasciar perdere, perché le perdite sarebbero state notevoli anche per i paesi occidentali. A renderlo noto è stato addirittura il ministro degli Esteri ucraino Dmitry Kuleba, in una intervista televisiva.
Inoltre gli europei già stanno pagando gli effetti delle tensioni con la Russia sul piano energetico e delle mancate esportazioni di diversi prodotti a causa delle sanzioni in atto dal 2014.
Nel frattempo la Russia ha allargato ampiamente il giro d’affari con la Cina ed altri paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. In qualche caso mettendo anche gli scarponi sul campo attraverso i contractors della compagnia Wagner.
È il quotidiano francese Le Monde del 13 febbraio a farci sapere che Mosca non si preoccupa molto del rischio di sanzioni occidentali in caso di invasione dell’Ucraina. “Perdonate l’espressione, ma non ce ne frega niente di tutte le loro sanzioni”, ha detto l’ambasciatore russo in Svezia Viktor Tatarintsev a Aftonbladet, in un’intervista pubblicata sabato tardi sul sito del giornale svedese.
“Ci sono già state imposte tante sanzioni e in un certo senso hanno avuto effetti positivi sulla nostra economia e agricoltura”, dice l’esperto Tatarintsev, che parla correntemente lo svedese e ha ricoperto diverse posizioni in Svezia.
Dunque gli Stati Uniti stanno strepitando al massimo – e le fake news sono uno strumento rumoroso – per cercare di condizionare una situazione su cui non hanno molte possibilità di agire come facevano in passato.
Se il mondo oggi è più multipolare di ieri, se il dollaro è ancora forte ma non è più il monopolista nelle transazioni economiche internazionali, se poi anche altre potenze hanno capacità di deterrenza militare e di ingerenza politica sullo scacchiere mondiale, vuole dire che il solito gioco potrebbe non funzionare più.
È vero che gli USA sono ancora un giocatore potente, ma se gli avversari conoscono esattamente come giochi perché fai sempre lo stesso gioco, che qualcuno poi ti sfili la sedia da sotto il sedere diventa meno improbabile che in passato.
Il dramma è che gli Usa sono consapevoli di questa loro maggiore vulnerabilità a livello internazionale e della loro accresciuta fragilità a livello interno.
Fermare la guerra, con ogni mezzo necessario
Gli Stati Uniti possono cercare di fare – e lo stanno facendo – tutto il possibile per evitarsi lo scenario peggiore (il loro relativo declino), il che li rende più ostativi e pericolosi anche per la voglia di affrancamento degli alleati europei, non solo per i nemici.
Detto in soldoni: gli USA hanno hanno maggiori necessità di alzare la tensione incluso il rischio di una guerra mentre la Russia e l’Europa no. Ma quella contro la Russia e/o la Cina non sarebbe una “guerra asimmetrica” come in passato. Ragione per cui testano gli effetti di una “guerra ibrida” in Europa sapendo che una guerra vera non sarebbe un pranzo di gala neanche per gli apologeti dell'“America First”.
Se nei prossimi giorni ci sveglieremo con i tamburi di una guerra alle porte di casa o meno, dipenderà anche dalla consapevolezza di tutto questo da parte delle classi dirigenti a livello internazionale e di quelle europee in particolare.
Ormai devono decidere se perseguire “l’autonomia strategica” dell’Unione Europea e diventare un giocatore in proprio nella competizione globale, oppure allinearsi anche questa volta agli Usa e perdere ogni credibilità. Il rovinoso intervento e ritiro dall’Afghanistan è lì a rammentarlo, come un convitato di pietra.
A noi spetta però un altro compito: quello di impedire la guerra e, in questo caso, una guerra in Europa, e poi di rimettere sul tavolo, anche a forza di pugni, l’idea che un Italia fuori dalla Nato sarebbe un beneficio – per questo paese e per i popoli a noi vicini – enormemente superiore alla subalternità ad un trattato atlantico ormai fuori dalla storia.
Se la catena imperialista si spezza in uno dei propri anelli, il resto potrebbe venire giù prima di quanto immaginabile.
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