Premessa: innanzitutto demistificare.
Il ddl concorrenza, attualmente in discussione al Senato come atto n. 2.469 recante “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, come tutti gli atti normativi che vengono proposti e attuati dai Governi liberisti ha bisogno di un preliminare lavoro di demistificazione per poterne, successivamente, affrontare, almeno in parte, gli aspetti di merito.
Questo ddl, nella relazione di accompagnamento, ci viene presentato come atto dovuto per le numerose condizionalità previste dal PNRR e ciò è una mezza verità perché si tratta di un provvedimento la cui proposta era già elemento caratterizzante il programma dell’attuale Governo nelle dichiarazioni rese in Parlamento all’atto dell’insediamento nel febbraio 2021 dove non si cita il PNRR ma la necessità di far approvare la legge annuale per il mercato e la concorrenza secondo quanto stabilito da una legge del 2009[2] approvata durante uno dei governi Berlusconi.
Fare questa precisazione ci sembra importante perché smaschera una delle ipocrisie che ci viene propinata da anni come corollario del “ce lo dice l’Europa” e dimostra, ancora una volta, come ci sia identità di strategie nell’UE a trazione liberista.
Alcuni profili ricostruttivi con particolare riferimento al ruolo del PD e del centrosinistra nel campo delle liberalizzazioni/privatizzazioni.
Provare a richiamare alcuni profili ricostruttivi ci serve a meglio contestualizzare il ddl concorrenza come parte della “lunga marcia” delle istituzioni europee e nazionali nello smantellamento dell’intervento pubblico in economia per affidarsi al “libero” mercato.
Ogni studente di economia del primo anno sa che il “libero” mercato può verificarsi solo nell’ipotesi della “concorrenza perfetta” che, però, è del tutto astratta in quanto esiste solo come ipotesi di scuola e non nella realtà; pertanto, è chiaro che si agisce per favorire le concentrazioni oligopolistiche nel campo dei servizi che spesso prendono la forma di multinazionale.
Non a caso alcuni hanno opportunamente parlato, in proposito, di “cortina fumogena della concorrenza”[3] come dimostra anche un dato proveniente da una fonte istituzionale quale la Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti che, nell’ultima Relazione al Parlamento sulle Società Partecipate degli EE.LL.[4], c’informa che la gestione in house dei servizi pubblici locali si aggira intorno a ben 9 miliardi e mezzo.
Insomma se il business fosse stato di pochi milioni di euro non staremmo parlando né di libero mercato, né di legge sulla concorrenza, né di condizionalità del PNRR.
Questi dati li dobbiamo far uscire dalla ristretta cerchia degli attivisti perché chiariscono quali siano le vere spinte dietro la corsa alla ”efficienza” tramite la gestione privata dei servizi.
Dieci anni fa vincemmo il referendum proprio perché riuscimmo a spiegare con chiarezza quale fosse la vera posta in gioco.
Nel passare dal piano economico a quello politico c’è da notare che è veramente difficile trovare degli elementi distintivi nelle politiche del centrodestra e del centrosinistra rispetto a quello che la Confindustria (e non solo) ha definito polemicamente il “socialismo municipale”.
In particolare, per quanto riguarda il centrosinistra, si è dato molto spazio alle liberalizzazioni inventando la favola che fossero diverse dalle privatizzazioni e, come foglia di fico, si è adoperato (e si continua a farlo) la “tutela del consumatore” dando, magari, qualche informazione in più sulle bollette contrabbandando il tutto come maggiore trasparenza.
Più nello specifico, sia nel Governo D’ Alema che nel Prodi 2, vennero approvati provvedimenti noti come “decreti Bersani” – dal nome dell’allora Ministro dell’Industria prima e dello Sviluppo Economico poi – e anche quelle esperienze ci hanno dimostrato che le liberalizzazioni sono state (e sono) uno strumento di accompagnamento indispensabile alle privatizzazioni.
Del resto, venendo ad un arco temporale a noi più vicino, gli attuali processi di “riforma” prendono corpo nell’allora Governo Renzi col “Piano Cottarelli” dell’agosto 2014 – che prevedeva una riduzione delle Partecipate locali da 8.000 a 1.000 – e, successivamente, dall’attuazione della “legge Madia” del 2015 – anche qui dal nome di una Ministra dell’epoca – col decreto legislativo contenente il Testo Unico delle Società Partecipate (T.U.S.P.).
Alcuni aspetti dell’articolo 6 del ddl concorrenza.
L’articolo 6 del ddl in questione, quindi, è, sostanzialmente, un aggravamento/aggiornamento di quanto previsto dapprima nella citata legge delega del 2015 e, successivamente, nel TUSP.
Qui, per motivi di sinteticità, si toccano soltanto alcuni aspetti.
Nella lettura della “delega al Governo in materia di servizi pubblici locali” occorre evitare due opposti tipi di analisi:
da un lato, non bisogna porre un eccessivo accento sulla continuità rispetto al vigente quadro normativo, dall’altro, evitare di valutarne i contenuti come se fossero delle assolute novità.
Infatti, nel primo caso minimizzeremmo l’impatto delle nuove disposizioni nel favorire la prossima ondata di privatizzazioni, nel secondo caso, nei fatti, cadremmo in una sorta di decontestualizzazione ed è proprio per evitare questo pericolo che in precedenza ci siamo soffermati su alcuni profili ricostruttivi.
Pertanto, si tratterà di cogliere come la conferma del quadro normativo liberista s’intrecci con degli importanti elementi di novità.
Ad esempio, per quanto riguarda sia gli “oneri di motivazione analitica” incombenti su quelle Amministrazioni locali intenzionate a mantenere la forma gestionale in house, che in termini di controlli della Corte dei Conti, si tratta di disposizioni già esistenti[5] ma per la motivazione analitica se ne prevede un cambiamento rispetto al momento in cui la stessa deve essere resa perché non può più essere successiva alla scelta dell’affidamento ma “anticipata e qualificata” (co.1, lett. f) dell’art. 6).
È chiaro che questo cambiamento è fatto per rafforzare il potere d’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed interviene per gli affidamenti al disopra della soglia comunitaria.
Da notare che anche il codice dei contratti già prevede l’obbligo per l’Ente Locale di stendere una relazione in cui viene motivato il ricorso all’affidamento in house.[6]
A differenza di quanto sin qui argomentato, si è notato, invece, che in alcuni settori di Movimento e in qualche iniziativa contro l’art. 6 del ddl concorrenza è sembrato che ci trovassimo difronte a delle assolute novità, quindi, su questo punto, andrebbe operata una correzione di rotta sotto il profilo dell’analisi per non dover pagare fattori di confusione negli obiettivi da portare avanti.
Per i controlli della Corte dei Conti, sempre nell’articolo in commento, si procede ad un rafforzamento ed accentramento degli stessi passando dall’attuale competenza delle Sezioni Regionali a quella delle Sezioni Riunite in sede di controllo già competenti nell’esame degli atti deliberativi delle Partecipate Statali e degli Enti Regionali e che ora dovrebbero avere il controllo anche degli atti deliberativi di Regioni ed EE.LL. riguardanti le proprie Partecipate.
Altri elementi già previsti nell’attuale quadro normativo sono quelli riguardanti i meccanismi sostitutivi, tuttavia né nella “legge Madia”, né nel TUSP viene citato l’art. 120 della Costituzione e questo è un cambiamento di non poco conto visto che la citata disposizione costituzionale non è mai stata attuata quando si è trattato di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in alcuni territori ad iniziare da quelli meridionali.
L’insieme dei tre elementi sinteticamente descritti (rafforzamento dei poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato attraverso il cambiamento intervenuto nella tempistica della motivazione, il rafforzamento/accentramento dei controlli della Corte dei Conti, possibilità di ricorso all’art. 120 della Costituzione) rappresentano un vero e proprio svuotamento dell’Autonomia Locale e sul piano dei riferimenti costituzionali sono una forma di antinomia in quanto entrano in palese contraddizione con disposizioni come quella dell’art. 5, facente parte dei “Principi fondamentali”, dove si disegna una sorta di Repubblica delle Autonomie[7].
Non a caso il concetto di antinomia, presente nella “legge Madia” sparisce nell’art. 6 e viene sostituito da quello più blando di “armonizzazione” o da quello più ipocrita di “razionalizzazione” che, in realtà, nella logica liberista è un sinonimo di tagli.
Comunque il richiamo alla disposizione costituzionale contenuto nell’art. 6 sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di concorrenza fa comprendere in maniera inequivocabile in che direzione si vuol portare l’armonizzazione/revisione delle discipline settoriali dei servizi pubblici locali.
Nella recente audizione in Senato, ANCI e UPI si sono saldamente ancorate al quadro legislativo vigente e alla luce dello stesso hanno apportato delle caute ma significative critiche all’articolo 6 anche se, soprattutto per l’ANCI, traspare pure la preoccupazione di non far toccare il blocco di potere delle società multiservizi del centro-nord dando anche un giudizio positivo sugli incentivi alle aggregazioni che vanno in direzione della logica privatistica delle multiutility;
tuttavia le critiche delle due rappresentanze istituzionali possono essere utilizzate per meglio sensibilizzare Consigli comunali e Amministrazioni locali.[8]
Le iniziative in corso e quelle da sviluppare a partire dagli EE.LL (e non solo).
Purtroppo, rispetto alla pesantezza dell’attacco in atto, non c’è ancora una risposta adeguata anche se alcune iniziative sono state realizzate: dalla manifestazione di novembre a Napoli, alla petizione nazionale in difesa dell’acqua pubblica, all’odg da presentare nei Consigli comunali richiedente lo stralcio dell’articolo 6 del ddl, inoltre un certo attivismo si riscontra in alcuni territori come quello flegreo o dell’area Nord di Napoli.
Più nello specifico, si sta tentando di presentare l’ordine del giorno nei Consigli comunali di Pozzuoli e Napoli mentre si sono avuti incontri con Sindaci più sensibili alla difesa del carattere pubblico dei servizi.
Tuttavia, fermo restante la centralità della battaglia per lo stralcio del pluricitato articolo 6, occorrerebbe anche valutare altri obiettivi difronte all’avanzata dell’iter parlamentare.
Ad esempio, nella legge delega n. 124/2015 (“legge Madia”) all’articolo 19, contenente la delega per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, al comma 1 lett. c) a proposito dell’individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, seppur limitatamente ai servizi idrici, si è stabilito che il riordino normativo dovesse avvenire tenendo conto “dell’esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011”.
Il riferimento al referendum nella stesura originaria del ddl d’iniziativa governativa non era presente e venne introdotto nel corso del dibattito parlamentare comparendo nel testo licenziato dalla I Commissione Permanente del Senato rintracciabile nei lavori preparatori della “legge Madia” come Atto Senato n. 1577-A.9
Si tratta di un precedente importante su cui occorrerebbe contattare al più presto i parlamentari più disponibili alla difesa dei beni comuni e di ciò che resta dell’intervento pubblico in economia proponendo, ad esempio, un emendamento in tal senso al primo comma dell’art. 6 cui andrebbe aggiunta una frase contenente un richiamo all’esito referendario.
Quindi il testo con l’emendamento aggiuntivo diventerebbe il seguente:
Il Governo è delegato ad adottare, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo di riordino della materia dei servizi pubblici locali anche tramite l’adozione di un apposito testo unico e tenendo conto dell’esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011.
Naturalmente anche la presentazione di un simile emendamento, oltre che a trovare parlamentari disponibili, richiede un aumento della mobilitazione sul territorio e sui posti di lavoro coinvolti a partire da quelli delle lavoratrici e dei lavoratori delle Partecipate pubbliche locali.
Note
1) Questo contributo nasce da una rivisitazione di una comunicazione fatta ad un’iniziativa tenutasi lo scorso 9 febbraio a Pozzuoli (NA) contro il ddl concorrenza con particolare riferimento all’art. 6 del citato ddl.
2) Il riferimento è alla legge 23/7/2009 n. 99 recante “disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” che all’art. 47 prevede la legge annuale per il mercato e la concorrenza mirante a “rimuovere gli ostacoli regolatori di carattere normativo e amministrativo all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza…”
3) Il riferimento è all’interessantissimo contributo dei compagni economisti di “Coniare Rivolta”. https://coniarerivolta.org/2021/11/13/si-scrive-concorrenza-si-legge-monopolio-privato/
4) Cfr. Corte dei conti-Sezione delle Autonomie deliberazione n. 15/2021 pag. 148.
5) Si veda l’art. 5 del d-lgs n. 175/2016 (TUSP).
6) Cfr. art. 192, co. 2, d-lgs n. 50/2016.
7) Art. 5 Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; (omissis); adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. – E’ chiaro che l’art. 6 del ddl concorrenza è l’inversione di questa impostazione.
8) Ad esempio l’UPI nel documento consegnato per l’audizione del 10 febbraio presso la Commissione Industria del Senato, a proposito della relazione “anticipata e qualificata”, osserva che “l’introduzione, attraverso il principio della delega di una ulteriore disciplina di sfavore nei confronti di un modello di gestione del servizio pubblico di interesse economico generale non appare opportuno rispetto al quadro di regole del diritto comunitario in materia. – Per quanto attiene (omissis) all’obbligo del parere dell’Antitrust per gli affidamenti in house – continua l’UPI – si attiva una procedura farraginosa, complessa ed amministrativamente onerosa, tale da renderla impraticabile”.
Di tenore molto simile le osservazioni contenute nel documento ANCI dove nella premessa si scrive, tra l’altro, che il ddl per gli EE.LL. presenta “alcune criticità in quanto incidono negativamente sul grado di autonomia degli stessi in merito alla scelta dei modelli di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica”.
9) https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLCOMM/910742/index.html Il testo approvato dalla I Commissione aprendo il link si trova dopo i pareri delle varie Commissioni parlamentari e la modifica d’interesse è all’articolo 14, successivamente diventato articolo 19 nel testo definitivo della legge 124/2015.
Fonte
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