di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Dovessimo tener conto
solo delle posizioni e delle dichiarazioni ufficiali delle due parti,
l’ipotesi di una tregua tra Usa e Iran ci apparirebbe del tutto
infondata. Il quadro però è in continua evoluzione e non escluderei che
questa possibilità passi per l’Iraq, al momento il terreno di scontro
principale tra Washington e Tehran».
È stato questo il commento dell’analista Mouin Rabbani alla nostra
domanda sul «cessate il fuoco» politico e diplomatico non dichiarato in
atto tra Iran e Usa di cui si sussurra in Medio Oriente. Tehran
avrebbe ordinato alle milizie sciite irachene sotto il proprio controllo di
placare, per il momento, la sete di vendetta per l’assassinio, compiuto
dagli Usa lo scorso 3 gennaio, del generale iraniano Qassem Soleimani
e del vice comandante delle Brigate Hezbollah irachene Abu Mahdi al
Muhandis. E di contenere gli attacchi alle basi militari Usa in Iraq. In
cambio Washington chiuderà un occhio sul rispetto da parte di alcuni
paesi delle sanzioni che ha varato contro l’Iran, consentendo così a
Tehran di respirare.
Secondo Middle East Eye, un giornale online sul Medio
Oriente ben informato, al centro di questa presunta soluzione ci
sarebbe Mustafa Al Kadhimi, primo ministro iracheno da qualche
settimana, gradito a Washington e decisamente meno a Tehran. Al Khadimi,
ex capo dell’Inis, l’intelligence dell’Iraq, è considerato ostile
dall’Hezbollah iracheno. Abu Ali al Askari, il comandante di questa
milizia, ha accusato Al Kadhimi di essere coinvolto nell’attacco a
Soleimani e Al Muhandis.
Alcuni hanno ricordato la storia di collaborazione del nuovo
capo del governo con la Cia e i suoi rapporti con Ahmed Chalabi un
«oppositore» dell’ex leader iracheno Saddam Hussein che nel
2003 chiese con forza agli Usa di attaccare e invadere l’Iraq,
sostenendo il possesso da parte di Baghdad di armi di distruzione di
massa che in realtà non esistevano.
Al Kadhimi intende stringere i rapporti con l’Arabia Saudita nemica dell’Iran. Il
premier iracheno ha subito inviato l’influente ministro Ali Allawi a
Riyadh per siglare un accordo per la fornitura di energia elettrica, in
vista della scadenza della proroga delle sanzioni Usa sulle importazioni
dall’Iran; per sviluppare la produzione di gas nel giacimento
di Okaz e per sbloccare l’invio di un ambasciatore saudita in Iraq.
Allawi ha anche incontrato il ministro degli esteri saudita, Faisal bin
Farhan al Saud, il quale ha espresso sostegno al governo iracheno e i
suoi sforzi «per superare la difficile situazione contro il terrorismo».
Ed ha affermato la disponibilità del suo paese a sostenere l’Iraq «in
tutti i campi».
In sostanza Riyadh si propone di prendere il posto dell’Iran che
mantiene una forte influenza sull’Iraq portandogli però scarsi benefici
economici. E proprio mentre Kadhimi va ripetendo la volontà di porre
tutte le milizie irachene filo-Iran sotto il pieno controllo del governo
e delle forze armate, Faik Sheikh Ali, segretario del Partito popolare
per la riforma, ha denunciato davanti alle telecamere della tv saudita Al Arabiya
che le Pmu – la coalizione di forze paramilitari a maggioranza sciita
creata nel 2014 per combattere l’Isis dalla massima autorità sciita
irachena, l’ayatollah Ali al Sistani – pagano salari per 130 mila uomini
avendone in realtà solamente 48 mila.
Tehran guarda a questi sviluppi con preoccupazione ma, sottolinea Middle East Eye,
deve fare buon viso a cattivo gioco pur di vedere allentate le sanzioni
Usa che penalizzano la sua economia. Un tribunale lussemburghese il
mese scorso a sorpresa ha scongelato beni iraniani bloccati dalle misure
statunitensi. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha salutato con
enfasi «la vittoria» contro «la prepotenza» della Casa Bianca.
Da parte sua una fonte autorevole ma anonima citata da Mee ha commentato: «Gli americani hanno ottenuto il loro uomo a Baghdad (Al Kadhimi, ndr) e gli iraniani i loro soldi».
Altre fonti parlano di intese dietro le quinte per scongelare beni
iraniani e fondi della Banca centrale iraniana, ufficialmente per
aiutare Tehran nella lotta al coronavirus. E non è passato inosservato
il recente ritiro da parte degli Usa di missili Patriot posizionati in
Arabia Saudita.
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