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23/05/2020

L’organizzazione della verità’ e gli “errori opposti”

“Verità: carattere di ciò che è vero, conformità o coerenza a principi dati o una realtà obiettiva, e in particolare ciò che è vero in senso assoluto”.

Mi sono permesso di riportare questa definizione classica del termine “verità” intesa in senso filosofico dopo che, leggendo l’articolata analisi di Marco Assennato al proposito della pubblicazione del secondo volume degli scritti di Etienne Balibar (Il Manifesto 21 maggio), sono stato colpito dalla citazione di un frammento di Pascal “la verità marcia sempre tra errori opposti”.

Sempre seguendo la traccia di Assennato provo allora a collegare questa citazione alla posta in gioco che, fin dall’inizio, viene proposta dal testo: “Si tratta di immergersi nell’aporia che oppone da sempre – con Machiavelli – la voce del Principe e quella della Moltitudine, per imparare ad ascoltare, sui bordi del loro conflitto, la verità effettuale della cosa: verità della politica alla quale non cessiamo di correre dietro”.

A questo punto mi pare si rende necessario uno spunto di riflessione: nella modernità, infatti, l’oggetto del contendere non sembra più risiedere nel correre dietro alla verità della politica cercando di individuare la linea di marcia che si insinua tra gli errori opposti.

La questione centrale sembra essere ormai quella di individuare la capacità di “organizzare la verità” e amplificarla attraverso tutti i mezzi possibili che appunto la modernità ci ha messo a disposizione.

La “quaestio” diventa così quella della “potenza di fuoco” dell’organizzazione della verità, la forza della “bestia” capace di costruire l’immaginario al di fuori della fantasia del singolo e della sua capacità di distinguere.

A quel punto, eseguita la fusione tra verità e fantasia Principe e Moltitudine si mescolano dentro a una inedita (almeno per i nostri tempi) espressione di soggettività politica che realizza insieme “fusione” e “confusione”, facendo sparire la linea di demarcazione tra gli errori opposti.

La politica si riduce così a semplice espressione del potere e viene posta al riparo dal conflitto che potrebbe essere suscitato dalla divergenza di interessi.

La politica si trasforma in un gigantesco inganno.

Così si è superato il ‘900 affermando la “fine della storia” e la caduta delle ideologie.

Allora vale la pena ricordare ancora come, nel secolo scorso, la verità fosse posta tra gli errori opposti perché organizzata, da una parte e dall’altra, attraverso un concretamente visibile demiurgo: il partito.

Il tema del “partito” non poteva essere considerato come mero strumento dell’esercizio del potere e, insieme, come il soggetto che forniva il contributo decisivo all’annullamento delle espressioni di contraddizione sociale e politica.

Oggi viviamo una crisi nella proposta di “verità”.

Una crisi posta proprio sul terreno del passaggio dal particolare all’universale.

Emerge una difficoltà di indicazione che potrebbe essere superata tornando a riflettere sul partito come “intellettuale collettivo”, promotore di una “rivoluzione morale”.

Gramsci sviluppò la concezione del partito come “intellettuale collettivo” per il tramite del quale si costruiva la risposta alla “verità” degli altri.

Nella sua analisi il dilemma tra Principe e Moltitudini si risolveva con l’intervento diretto di grandi masse nella vita delle nazioni moderne, la costituzione di una vasta rete di organi di informazione e di mezzi di comunicazione, rendendo indispensabile l’organizzazione e la centralizzazione delle forze e delle aspirazioni, della “volontà collettiva”.

Gramsci intendeva che questa funzione – di “volontà collettiva” – fosse svolta da un organismo che fosse elemento della società complessa, nella quale proprio come quella “volontà collettiva” iniziasse a concretarsi, affermandosi anche parzialmente nell’azione.

Gramsci pensava a una “compartecipazione attiva e consapevole” allo scopo di formare un legame stretto tra grande massa, partito, gruppo dirigente; ovviando così, sul piano teorico, al rischio concreto di trascinarsi in una visione totalizzante di un’unica espressione politica tendente alla ricerca della “verità”.

Da questo punto di vista assistiamo invece oggi a una sorta di abdicazione da parte delle teorie politiche critiche della società, mentre si moltiplicano teorie (e movimenti sociali) che riducono il problema a una pura e semplice mistificazione: appunto, l’organizzazione di una verità che finisce con l'ingarbugliare tra loro gli “errori opposti” e formando la riduzione corrente al pensiero unico.

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