di Nico Maccentelli
1. Cosa non ha funzionato?
In questi ultimi tre mesi la vita di gran parte della popolazione
mondiale è stata letteralmente stravolta dall’irruzione della pandemia
da Covid-19. Tra proibizioni, quarantene, forme di controllo sociale
iper-tecnologiche, bastonate, a seconda del paese, questa nuova realtà è
subentrata a quella precedente all’improvviso creando panico sociale.
Al tempo stesso le autorità e i media hanno cercato di spacciare i
provvedimenti presi come inevitabili e i migliori possibili. Ma in
realtà, se solo ci soffermiamo sulle modalità con cui per esempio il
nostro governo ha affrontato questa pandemia, dobbiamo renderci conto
che quello che è stato fatto sui cittadini italiani è un vero e proprio
TSO di massa, con controlli polizieschi ossessivi, divieti di
spostamento, sanzioni ad cazzum, a seconda dei tiramenti dei tutori
dell’ordine che incontravi.
Prendiamo allora il Giappone, paese con una cultura della gerarchia
piuttosto spiccata. Lì le cose stanno andando diversamente: ai cittadini
nipponici è stato indicato, non ordinato, di evitare assembramenti e di
uscire di casa il meno possibile e con attenzione. Trattando la gente
come cittadini appunto, non come dei bambini imbecilli da
criminalizzare. Sulle singole situazioni la polizia è intervenuta
informando e invitando a evitare comportamenti rischiosi. Questo fa uno
stato civile. Ma l’Italia abbiamo visto civile non è. E si è posta come
la capofila di un “sorvegliare e punire” nel mondo occidentale, il
laboratorio sociale di un vero e proprio stravolgimento antropologico
del tessuto delle ordinarie relazioni sociali e interpersonali.
Che qualcosa non abbia funzionato è divenuta una percezione comune. E
questo non è un dettaglio: assistiamo a una crisi di egemonia da parte
delle classi dominanti e delle loro narrazioni. Infatti, con la
pandemia, il sistema economico e politico capitalista è arrivato a una
vera e propria crisi di credibilità. E seppur non vi sia ancora una
coscienza politica diffusa sulla necessità di un cambio rivoluzionario
al socialismo, e questo orientamento progettuale non sia lontanamente
percepito come unica possibilità per le classi popolari e la comunità in
generale di superare la barbarie del demone neoliberista, è però sempre
più evidente a tutti che nulla sarà più come prima. Ma è altrettanto
chiaro che non è neppure possibile continuare così...
Vediamo allora in
breve quel qualcosa che non ha funzionato, senza formulare una pur
doverosa analisi sui massimi sistemi e senza la velleità di voler essere
esaustivo.
Non ha funzionato il mercato come regolatore della
società con le sue privatizzazioni, il suo privatizzare i profitti e
socializzare le perdite. Soprattutto dove il capitalismo ha imposto il
dogma delle sue ricette neoliberiste, abbiamo avuto i maggiori guasti e
disfunzioni, nei paesi come gli USA dove il sistema sanitario è
privatizzato e in mano alle compagnie assicurative e le fasce meno
abbienti non hanno alcuna tutela medica. Ma anche in paesi come il
nostro dove il sistema sanitario pubblico è stato smantellato con tagli e
privatizzazioni, dimostrandosi del tutto inadeguato a una crisi
pandemica di tale portata.
Non ha funzionato l’Unione Europea, un coacervo di
classi dirigenti cosmopolite fino a quando non tocchi loro il sistema di
sfruttamento e dominio finanziario che hanno messo in piedi anche
grazie ai nostri politici europeisti bipartisan. Sin dall’inizio della
crisi la questione è stata quella di non affrontare insieme, tra paesi
membri, la pandemia e le sue conseguenze economiche, ma ogni governo ha
remato per sé, rivelando una volta di più che non esiste l’Europa come
entità politica paritaria tra paesi e che non esistono soluzioni che non
siano quelle dei prestiti usurari come il MES. Che soprattutto gli
stati del Nord Europa, come Germania e Olanda non sono disposti a
rimettere in discussione le politiche di governance economica e
rinunciare ai loro vantaggi di posizione. E ciò che si profila è l’uso
della pandemia da parte delle oligarchie nazionali e finanziarie più
forti per predare i paesi più deboli, le loro popolazioni mantenendo i
medesimi criteri della macelleria sociale ordinaria in questa situazione
straordinaria.
Non ha funzionato la logica di big pharma, tra
vaccini annunciati che fanno innalzare i titoli in borsa, speculatori
“filantropi” alla Bill Gates e terapie efficaci messe sotto il tappeto
perché interferiscono con il grande guadagno imminente. Come ha
sostenuto Naomi Klein in “Shock economy”, proprio riferendosi anche alle
pandemie, le crisi sono da sempre un’occasione di guadagno per i grandi
gruppi multinazionali sulla pelle delle popolazioni. E queste dinamiche
si sono viste piuttosto bene nelle nostre trasmissioni tv, con
“esperti” che fanno il bello e cattivo tempo con un’aria di censura
preventiva che trasforma la scienza in dogma.
Non ha funzionato il sistema paese nella sua
indisponibilità a proteggere le sue categorie più deboli: intere
generazioni di anziani, il più prezioso patrimonio umano e culturale del
paese, degradato a polli d’allevamento del profittificio, sono sparite
nell’incubo dell’incuria, del contagio e della malasanità delle RSA
privatizzate e subappaltate. Il caso estremo si è visto in Lombardia nel
tentativo non sempre riuscito di convogliare i pazienti Covid
all’interno delle strutture residenziali per anziani, è cosa da far
tremare le vene dei polsi. Come buttare un cerino in un bidone di
benzina.
Non ha funzionato lo Stato, che ha “risolto” la
distanzialità necessaria a contenere i contagi con la reclusione di
tutta la popolazione e ha messo in opera una repressione poliziesca che
non ha precedenti, criminalizzando da una parte comportamenti innocui e
soprattutto quelli critici, proprio per glissare dall’altra sui
desiderata di una Confindustria senza scrupoli. Abbiamo visto così
migliaia di lavoratori andare a lavorare in posti di lavoro privi di
protezioni e senza alcun controllo (lì i carabinieri non hanno mai
controllato!). Abbiamo visto la calca di massa sui bus dei pendolari che
andavano a lavorare in aziende che non hanno mai sospeso la loro
attività. Abbiamo visto in azione il lobbying padronale nel non far
dichiarare rosse zone luoghi ad alto contagio come il bergamasco e il
bresciano. E le conseguenze di tutto questo laissez faire, mentre
venivano sanzionate le signore a spasso col cagnolino, si sono viste...
Non ha funzionato la scuola a distanza: si stima che
almeno il 30% degli studenti non può usare il “DAD”, la didattica a
distanza perché non ha l’accesso a internet a casa e non ha i
dispositivi (pc, tablet) necessari a seguire le lezioni online: un
divario tecnologico che descrive le differenze di classe (non
scolastiche, ma sociali...) sempre più polarizzate...
Non ha funzionato l'”adesso-dopo” degli aiuti governativi:
la ciccia per le imprese (pur sempre prestiti sono), le briciole per
gli autonomi e un calcio in bocca per tutti gli altri. Ci sono milioni
di lavoratrici e lavoratori che sono diventati disoccupati, a partire da
quelli precari, e che a tutt’oggi non hanno ricevuto alcun sostegno
economico.
Non ha funzionato il globalismo, morto e sepolto e
non da oggi, ma oggi ancora di più impraticabile. E gli scenari che si
prefigurano sono quelli di un ritorno a nazionalismi reazionari che già
da tempo stanno irrompendo sulla scena politica mondiale, in particolare
quella europea, come in Ungheria, Polonia, Slovenia...
Non ha funzionato l’antistatalismo neoliberista,
visto che ora pescecani piccoli e grandi si appellano allo Stato, che
tornerà a essere protagonista sul piano della gestione economica per
mantenere una redistribuzione della ricchezza sociale dal basso all’alto
e un comando semischiavistico del capitale sul lavoro: la borghesia non
cederà le posizioni acquisite e Confindustria con il neopresidente
Bonomi affila già le sue armi, chiedendo soldi per le industrie e
attaccando il reddito di emergenza, ma in particolar modo la
contrattazione collettiva. Il solito capitalismo nostrano, familista e
feroce, ma soprattutto parassitario, che non vuole lo Stato nel nome del
libero mercato ma i fondi pubblici invece sì...
Non ha funzionato la “democrazia” quella foglia di
fico del dominio oligarchico e classista che tutti i servi e gli illusi
chiamano così. Quando un governo si assume tutti i poteri, esautora il
Parlamento e decide da solo il da farsi a colpi di decreti siamo al
capolinea di un sistema democratico rappresentativo di pochi, di una
democrazia ex-liberale, oggi liberista, che da sempre è condizionata dai
poteri forti e dalle potenze atlantiste di cui siamo vassalli.
E oggi quel che restava delle libertà più elementari viene asfaltato da
un rullo compressore mal consigliato da “esperti”, scienziati buoni solo
per la comunicazione televisiva, ma voluto evidentemente da qualcuno
che ha trovato più comoda e facile la scorciatoia della galera sociale.
Il che fa pensare che si sia colta la palla al balzo del virus per
intraprendere un grande esperimento di ingegneria sociale e sondare fin
dove un regime (che considera totalitari sistemi come il Venezuela, che
totalitari non sono) può arrivare con il totalitarismo sui corpi e nello
spazio fisico e con le restrizioni adottate sulla socialità e il tempo
per noi stessi, in funzione della mitologia del lavoro e della sua
centralità nella vita quotidiana.
Tuttavia sono molti gli episodi di insofferenza in Europa, a partire
dalla Germania da Alexander Platz a Berlino, a Francoforte, con
manifestanti scesi in strada contro questo proibizionismo demente nella
sua interpretazione mito-lavoristica e di azzeramento di ogni azione di
socialità all’aria aperta. Sono molti i flash mob di intere categorie
sindacali, professionali e sociali: con critiche che partono dalle
singole specificità, ma che hanno nell’insofferenza e nella ribellione
tutti i germi della critica politica e dell’inizio di ragionamenti e
percorsi che vanno ben oltre la particolare rivendicazione, data la
drammaticità della crisi sociale.
Più in generale, iniziano a esserci gli elementi politici e culturali
per aprire finalmente la strada all’idea che il capitalismo sia
incompatibile con la vita: quella della comunità umana e quella del
pianeta, del suo ecosistema. Ormai sono tanti i fronti in cui la crisi
dei rapporti sociali e di produzione, di sfruttamento delle risorse e
del consumo è operante in senso distruttivo. Solo che dopo decenni di
imbonimento anticomunista, anticollettivistico, e con i limiti e la
sconfitta del socialismo reale, sino ad oggi non era riuscita a
riemergere una visione alternativa a questo stato di cose. Oggi parlare
di rimessa al centro dello Stato nella pianificazione dell’economia, nel
welfare, nel mettere in sicurezza intere categorie sociali dalla
miseria nera, nel ricostruire una rete di garanzie sociali dal lavoro
salariato al piccolo commercio e all’artigianato, significa riporre le
basi per una grande riflessione sociale e culturale su un cambio
profondo di paradigma.
2. Il “blocchetto storico” dei cretini
Dunque, di fronte a questa percezione diffusa riguardo un intero
mondo a pezzi, a ben poco serve la retorica dei balconi e dei medici
“eroi” lasciati però senza presidi, attrezzature e con turni massacranti
in un sistema sanitario pubblico devastato in decenni di tagli.
Oltre ai lavoratori salariati, anche i piccoli commercianti, gli
artigiani sono scesi in piazza: flash mob e manifestazioni ormai non si
contano più. Di fronte alla materialità e fisicità della crisi, le
narrazioni dominanti saltano.
Per questo, con tutta evidenza siamo all’inizio di una battaglia
sociale epocale. D’ora in poi l’egemonia la possono mantenere solo con
la repressione di ogni comportamento trasgressivo e di ogni forma
rivendicativa e antagonistica. Questo è il senso del grande laboratorio
disciplinare di massa messo in opera in particolare in Italia e in
questi ultimi cento giorni.
Ma sotto la cenere cova il fuoco. E solo dei cretini (non in senso
letterale, ma intesi come affetti dal virus del cretinismo politico)
come quelli dell’appello pro-governo Conte apparso su il Manifesto del 3 maggio scorso
possono non accorgersi che il vaso di pandora trabocca di fascismo
reale, di una veloce fascistizzazione della società mediante le
biotecnologie della “cura” e i dispositivi tecnologici del controllo
sociale e individuale.
E giusto sui cretini politici è doveroso aprire una parentesi, perché
sono sempre loro, puntuali come le cartelle delle tasse, a fare da
mosche cocchiere al capitalismo neoliberista e ai vari governi nelle
varianti di “sinistra” che hanno devastato in tutti questi decenni
diritti e stato sociale.
È un mini “blocco storico” che, al di là di ogni ragionevole evidenza,
nell’era della pandemia e del “tutti a casa” segna l’approdo definitivo
di una certa “sinistra” al sostegno attivo alle linee fondamentali di
repressione di massa e all’irrigimentazione coatta per la produzione
sociale del capitale.
L’appello “basta con gli agguati”, infatti non è altro che un’ignobile e
fideistica adesione ideologica (senza alcuna mena critica concreta) al
pensiero unico neoliberale declinato in una nuova forma di fascismo
globale.
Ancora una volta coloro che per anni ci hanno decantato la possibilità
di cambiare il sistema dall’interno, cercando di far ingoiare a milioni
di lavoratori e cittadini la riformabilità di ciò da cui ci si può solo
affrancare: la gabbia UE (e prima lo si fa e meglio è), non hanno perso
l’occasione di fare il gioco delle classi dirigenti nostrane e
continentali.
I firmatari di questo appello, questi soloni della democrazia astratta
nella fine della democrazia liberale (un po’ come fare i marinai in
montagna) non hanno nulla da dire sullo scempio che ho descritto
poc’anzi.
Se estendiamo la visuale a tutto il campo della sinistra “riformista”
attuale questo comportamento politico ha la sua spiegazione
nell’appartenza alla classe borghese: il PD e i suoi cespugli sono
infatti da sempre espressione di vari settori di borghesia, burocrati
sindacali di media e piccola pezzatura, boiardi di Stato, tecnici
dell’informazione coi soldi pubblici, docenti. Tutti personaggi che
l’antifascismo lo vedono nelle sagre e nelle liturgie di partito, che
hanno separato la loro critica sociale astratta dalla materialità
concreta di chi per raccogliere i pomodori a due euro l’ora deve passare
dal caporale, di chi lotta ogni giorno contro lo sfruttamento
padronale.
Peccato per loro però. Perché in questo frangente di crisi pandemica
vediamo a “sinistra” un’ulteriore caduta di consenso anche riguardo i
ben noti e togliattiani “ceti medi”, che oggi annaspano nella battigia
del “tutto chiuso” e della mancanza di risorse per far esistere le loro
attività. Soggetti spesso arruolati nelle fila del populismo reazionario
che sta già scaldando i motori per un certo avvicendamento al governo
nelle prossime politiche quando e se ci saranno.
Ma come gli euroburocrati, queste marieantoniette delle brioches non lo
capiscono. Non hanno proprio capito il dramma attuale del paese reale e
pensano di comportarsi come hanno sempre fatto nelle situazioni di
ordinaria e pessima politica.
3. Una bella rivolta sociale in Italia non fu mai vista, ma sarebbe ora
A tutti questi esegeti del buonismo servile va detto chiaro e forte:
chi lavora per la “pace sociale”, oggi più che mai serve lo status quo,
serve uno stato di cose ormai devastante. E giunti a questo punto di ben
altra sinistra ci sarebbe bisogno. Il rischio con questi personaggi è
proprio quello che costoro vedono come la peste: consegnare il paese
alle destre dichiaratamente fasciste. Non che la cosa sia meglio o
peggio. Perché il peggio è in realtà la grande confusione sul che fare
in questo vuoto di prospettive, al quale si aggiunge la confusione su
cui giocano i cretini politici sinistrati: far credere alla massa e al
suo immaginario, con stereotipi un po’ retrò, che la sinistra siano
loro. Il nulla pseudo-riformista e post-socialista senza i valori di
uguaglianza sociale, di solidarietà, senza conflitto di classe, lotta
alle ingiustizie per una società liberata dallo sfruttamento.
Ma intanto l’ingegneria sociale messa in moto “grazie” ai governanti a
cui questi euroriformisti plaudono, ritesse la trama della
redistribuzione iniqua della ricchezza sociale, riporta al centro il
peggiore lobbismo dei comitati d’affari del capitale. Con il darwinismo
sociale neoliberista del più forte che schiaccia il più debole, ai
milioni di salariati senza lavoro e reddito si aggiungono i milioni di
piccoli commercianti che non hanno i mezzi e le possibilità di riaprire
rispettando i criteri imposti. E dall’altra imperano i grandi gruppi
industriali e commerciali: il piccolo commercio muore e la grande
distribuzione, così come i colossi del commercio elettronico, si afferma
senza concorrenza e lavora per riplasmare le modalità del consumo
distanziale e su ordinazione. La shock economy del capitalismo non fa
prigionieri e questa devastazione economica ha il carattere di un vero e
proprio processo di proletarizzazione di interi strati sociali, in
particolare dei ceti medi: commercianti, autonomi, professionisti che
andranno ad accrescere la massa precaria oggi ancora più precaria. Un
processo sociale pre-esistente alla pandemia, ma che con la pandemia ha
avuto un’accelerazione esponenziale.
Questa è la realtà che stiamo vivendo oggi: una polveriera. E tutto
perché i ceti dominanti stanno cercando di rideterminare le logiche
economiche e le dinamiche di governance neoliberiste, producendo una
situazione peggiore di prima. Questo è anche ciò che percepisce sempre
più gente, finita in un incubo dall’oggi al domani. E vista così, si
riesce a comprendere il perché di questo passaggio disciplinare e
repressivo totalizzante. Così la brutalità idiota della divisa che ti
ferma e ti sanziona al parco assume una connotazione telica, un ruolo
molto più funzionale a ciò che ci stanno preparando, basato sulla
consapevolezza di battere sul tempo la conflittualità sociale montante.
La crisi d’egemonia ha bisogno di un controllo pervasivo: questa è la
scommessa che le classi dirigenti fanno nella loro indisponibilità a
cambiare.
Per questo, alla brutta piega che ha preso la situazione, sarebbe
preferibile una rivolta sociale generalizzata: anche sorda, istintiva e
spontanea, mal dotata di una coscienza politica sviluppata e orientata a
dovere. Un tumulto trasversale a più settori sociali che finalmente
sarebbe il primo in Italia dopo la guerra di Liberazione e dopo la
guerra civile a bassa intensità che mise in campo la grande minoranza
gioiosa e antagonista degli anni ’70.
E visto che sul terreno del conflitto siamo ancora indietro soprattutto
per identità di classe, chiarezza del nemico e solidarietà sociale, c’è
da auspicarsela sul serio una bella rivolta di massa, che provenga dal
profondo della pancia del paese: precari, salariati o autonomi,
dipendenti del sommerso, disoccupati, popolo delle saracinesche
abbassate.
Altro che pace sociale! Sarebbe comunque taumaturgica e liberatoria
perché aprirebbe a questioni sociali dirimenti e non più rinviabili. La
gabbia che ci hanno costruito attorno, da Bruxelles alle nostre
periferie metropolitane, va rotta.
E quella sinistra che ancora tiene alta la bandiera della rivoluzione
sociale, dell’anticapitalismo, smetterebbe di parlarsi addosso, dato
che sarebbe costretta a confrontarsi con una prassi antagonista
spontanea, data dal momento contingente. Del resto la classe e le sue
avanguardie imparano solo nel fuoco della lotta. Da qui si vedrà chi
saprà costruire egemonia. Chi avrà più tela tesserà.
Mario Monicelli aveva ragione: quella che è mancata sin’ora al nostro
paese è una bella rivoluzione. L’importante è aprire le danze.
Fonte
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