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23/05/2020

Pandèmoni, pandementi e ciò che si deve fare

di Nico Maccentelli


1. Cosa non ha funzionato?

In questi ultimi tre mesi la vita di gran parte della popolazione mondiale è stata letteralmente stravolta dall’irruzione della pandemia da Covid-19. Tra proibizioni, quarantene, forme di controllo sociale iper-tecnologiche, bastonate, a seconda del paese, questa nuova realtà è subentrata a quella precedente all’improvviso creando panico sociale. Al tempo stesso le autorità e i media hanno cercato di spacciare i provvedimenti presi come inevitabili e i migliori possibili. Ma in realtà, se solo ci soffermiamo sulle modalità con cui per esempio il nostro governo ha affrontato questa pandemia, dobbiamo renderci conto che quello che è stato fatto sui cittadini italiani è un vero e proprio TSO di massa, con controlli polizieschi ossessivi, divieti di spostamento, sanzioni ad cazzum, a seconda dei tiramenti dei tutori dell’ordine che incontravi.

Prendiamo allora il Giappone, paese con una cultura della gerarchia piuttosto spiccata. Lì le cose stanno andando diversamente: ai cittadini nipponici è stato indicato, non ordinato, di evitare assembramenti e di uscire di casa il meno possibile e con attenzione. Trattando la gente come cittadini appunto, non come dei bambini imbecilli da criminalizzare. Sulle singole situazioni la polizia è intervenuta informando e invitando a evitare comportamenti rischiosi. Questo fa uno stato civile. Ma l’Italia abbiamo visto civile non è. E si è posta come la capofila di un “sorvegliare e punire” nel mondo occidentale, il laboratorio sociale di un vero e proprio stravolgimento antropologico del tessuto delle ordinarie relazioni sociali e interpersonali.

Che qualcosa non abbia funzionato è divenuta una percezione comune. E questo non è un dettaglio: assistiamo a una crisi di egemonia da parte delle classi dominanti e delle loro narrazioni. Infatti, con la pandemia, il sistema economico e politico capitalista è arrivato a una vera e propria crisi di credibilità. E seppur non vi sia ancora una coscienza politica diffusa sulla necessità di un cambio rivoluzionario al socialismo, e questo orientamento progettuale non sia lontanamente percepito come unica possibilità per le classi popolari e la comunità in generale di superare la barbarie del demone neoliberista, è però sempre più evidente a tutti che nulla sarà più come prima. Ma è altrettanto chiaro che non è neppure possibile continuare così...

Vediamo allora in breve quel qualcosa che non ha funzionato, senza formulare una pur doverosa analisi sui massimi sistemi e senza la velleità di voler essere esaustivo.

Non ha funzionato il mercato come regolatore della società con le sue privatizzazioni, il suo privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Soprattutto dove il capitalismo ha imposto il dogma delle sue ricette neoliberiste, abbiamo avuto i maggiori guasti e disfunzioni, nei paesi come gli USA dove il sistema sanitario è privatizzato e in mano alle compagnie assicurative e le fasce meno abbienti non hanno alcuna tutela medica. Ma anche in paesi come il nostro dove il sistema sanitario pubblico è stato smantellato con tagli e privatizzazioni, dimostrandosi del tutto inadeguato a una crisi pandemica di tale portata.

Non ha funzionato l’Unione Europea, un coacervo di classi dirigenti cosmopolite fino a quando non tocchi loro il sistema di sfruttamento e dominio finanziario che hanno messo in piedi anche grazie ai nostri politici europeisti bipartisan. Sin dall’inizio della crisi la questione è stata quella di non affrontare insieme, tra paesi membri, la pandemia e le sue conseguenze economiche, ma ogni governo ha remato per sé, rivelando una volta di più che non esiste l’Europa come entità politica paritaria tra paesi e che non esistono soluzioni che non siano quelle dei prestiti usurari come il MES. Che soprattutto gli stati del Nord Europa, come Germania e Olanda non sono disposti a rimettere in discussione le politiche di governance economica e rinunciare ai loro vantaggi di posizione. E ciò che si profila è l’uso della pandemia da parte delle oligarchie nazionali e finanziarie più forti per predare i paesi più deboli, le loro popolazioni mantenendo i medesimi criteri della macelleria sociale ordinaria in questa situazione straordinaria.

Non ha funzionato la logica di big pharma, tra vaccini annunciati che fanno innalzare i titoli in borsa, speculatori “filantropi” alla Bill Gates e terapie efficaci messe sotto il tappeto perché interferiscono con il grande guadagno imminente. Come ha sostenuto Naomi Klein in “Shock economy”, proprio riferendosi anche alle pandemie, le crisi sono da sempre un’occasione di guadagno per i grandi gruppi multinazionali sulla pelle delle popolazioni. E queste dinamiche si sono viste piuttosto bene nelle nostre trasmissioni tv, con “esperti” che fanno il bello e cattivo tempo con un’aria di censura preventiva che trasforma la scienza in dogma.

Non ha funzionato il sistema paese nella sua indisponibilità a proteggere le sue categorie più deboli: intere generazioni di anziani, il più prezioso patrimonio umano e culturale del paese, degradato a polli d’allevamento del profittificio, sono sparite nell’incubo dell’incuria, del contagio e della malasanità delle RSA privatizzate e subappaltate. Il caso estremo si è visto in Lombardia nel tentativo non sempre riuscito di convogliare i pazienti Covid all’interno delle strutture residenziali per anziani, è cosa da far tremare le vene dei polsi. Come buttare un cerino in un bidone di benzina.

Non ha funzionato lo Stato, che ha “risolto” la distanzialità necessaria a contenere i contagi con la reclusione di tutta la popolazione e ha messo in opera una repressione poliziesca che non ha precedenti, criminalizzando da una parte comportamenti innocui e soprattutto quelli critici, proprio per glissare dall’altra sui desiderata di una Confindustria senza scrupoli. Abbiamo visto così migliaia di lavoratori andare a lavorare in posti di lavoro privi di protezioni e senza alcun controllo (lì i carabinieri non hanno mai controllato!). Abbiamo visto la calca di massa sui bus dei pendolari che andavano a lavorare in aziende che non hanno mai sospeso la loro attività. Abbiamo visto in azione il lobbying padronale nel non far dichiarare rosse zone luoghi ad alto contagio come il bergamasco e il bresciano. E le conseguenze di tutto questo laissez faire, mentre venivano sanzionate le signore a spasso col cagnolino, si sono viste...

Non ha funzionato la scuola a distanza: si stima che almeno il 30% degli studenti non può usare il “DAD”, la didattica a distanza perché non ha l’accesso a internet a casa e non ha i dispositivi (pc, tablet) necessari a seguire le lezioni online: un divario tecnologico che descrive le differenze di classe (non scolastiche, ma sociali...) sempre più polarizzate...

Non ha funzionato l'”adesso-dopo” degli aiuti governativi: la ciccia per le imprese (pur sempre prestiti sono), le briciole per gli autonomi e un calcio in bocca per tutti gli altri. Ci sono milioni di lavoratrici e lavoratori che sono diventati disoccupati, a partire da quelli precari, e che a tutt’oggi non hanno ricevuto alcun sostegno economico.

Non ha funzionato il globalismo, morto e sepolto e non da oggi, ma oggi ancora di più impraticabile. E gli scenari che si prefigurano sono quelli di un ritorno a nazionalismi reazionari che già da tempo stanno irrompendo sulla scena politica mondiale, in particolare quella europea, come in Ungheria, Polonia, Slovenia...

Non ha funzionato l’antistatalismo neoliberista, visto che ora pescecani piccoli e grandi si appellano allo Stato, che tornerà a essere protagonista sul piano della gestione economica per mantenere una redistribuzione della ricchezza sociale dal basso all’alto e un comando semischiavistico del capitale sul lavoro: la borghesia non cederà le posizioni acquisite e Confindustria con il neopresidente Bonomi affila già le sue armi, chiedendo soldi per le industrie e attaccando il reddito di emergenza, ma in particolar modo la contrattazione collettiva. Il solito capitalismo nostrano, familista e feroce, ma soprattutto parassitario, che non vuole lo Stato nel nome del libero mercato ma i fondi pubblici invece sì...

Non ha funzionato la “democrazia” quella foglia di fico del dominio oligarchico e classista che tutti i servi e gli illusi chiamano così. Quando un governo si assume tutti i poteri, esautora il Parlamento e decide da solo il da farsi a colpi di decreti siamo al capolinea di un sistema democratico rappresentativo di pochi, di una democrazia ex-liberale, oggi liberista, che da sempre è condizionata dai poteri forti e dalle potenze atlantiste di cui siamo vassalli.

E oggi quel che restava delle libertà più elementari viene asfaltato da un rullo compressore mal consigliato da “esperti”, scienziati buoni solo per la comunicazione televisiva, ma voluto evidentemente da qualcuno che ha trovato più comoda e facile la scorciatoia della galera sociale.

Il che fa pensare che si sia colta la palla al balzo del virus per intraprendere un grande esperimento di ingegneria sociale e sondare fin dove un regime (che considera totalitari sistemi come il Venezuela, che totalitari non sono) può arrivare con il totalitarismo sui corpi e nello spazio fisico e con le restrizioni adottate sulla socialità e il tempo per noi stessi, in funzione della mitologia del lavoro e della sua centralità nella vita quotidiana.

Tuttavia sono molti gli episodi di insofferenza in Europa, a partire dalla Germania da Alexander Platz a Berlino, a Francoforte, con manifestanti scesi in strada contro questo proibizionismo demente nella sua interpretazione mito-lavoristica e di azzeramento di ogni azione di socialità all’aria aperta. Sono molti i flash mob di intere categorie sindacali, professionali e sociali: con critiche che partono dalle singole specificità, ma che hanno nell’insofferenza e nella ribellione tutti i germi della critica politica e dell’inizio di ragionamenti e percorsi che vanno ben oltre la particolare rivendicazione, data la drammaticità della crisi sociale.

Più in generale, iniziano a esserci gli elementi politici e culturali per aprire finalmente la strada all’idea che il capitalismo sia incompatibile con la vita: quella della comunità umana e quella del pianeta, del suo ecosistema. Ormai sono tanti i fronti in cui la crisi dei rapporti sociali e di produzione, di sfruttamento delle risorse e del consumo è operante in senso distruttivo. Solo che dopo decenni di imbonimento anticomunista, anticollettivistico, e con i limiti e la sconfitta del socialismo reale, sino ad oggi non era riuscita a riemergere una visione alternativa a questo stato di cose. Oggi parlare di rimessa al centro dello Stato nella pianificazione dell’economia, nel welfare, nel mettere in sicurezza intere categorie sociali dalla miseria nera, nel ricostruire una rete di garanzie sociali dal lavoro salariato al piccolo commercio e all’artigianato, significa riporre le basi per una grande riflessione sociale e culturale su un cambio profondo di paradigma.

2. Il “blocchetto storico” dei cretini

Dunque, di fronte a questa percezione diffusa riguardo un intero mondo a pezzi, a ben poco serve la retorica dei balconi e dei medici “eroi” lasciati però senza presidi, attrezzature e con turni massacranti in un sistema sanitario pubblico devastato in decenni di tagli.

Oltre ai lavoratori salariati, anche i piccoli commercianti, gli artigiani sono scesi in piazza: flash mob e manifestazioni ormai non si contano più. Di fronte alla materialità e fisicità della crisi, le narrazioni dominanti saltano.

Per questo, con tutta evidenza siamo all’inizio di una battaglia sociale epocale. D’ora in poi l’egemonia la possono mantenere solo con la repressione di ogni comportamento trasgressivo e di ogni forma rivendicativa e antagonistica. Questo è il senso del grande laboratorio disciplinare di massa messo in opera in particolare in Italia e in questi ultimi cento giorni.

Ma sotto la cenere cova il fuoco. E solo dei cretini (non in senso letterale, ma intesi come affetti dal virus del cretinismo politico) come quelli dell’appello pro-governo Conte apparso su il Manifesto del 3 maggio scorso possono non accorgersi che il vaso di pandora trabocca di fascismo reale, di una veloce fascistizzazione della società mediante le biotecnologie della “cura” e i dispositivi tecnologici del controllo sociale e individuale.

E giusto sui cretini politici è doveroso aprire una parentesi, perché sono sempre loro, puntuali come le cartelle delle tasse, a fare da mosche cocchiere al capitalismo neoliberista e ai vari governi nelle varianti di “sinistra” che hanno devastato in tutti questi decenni diritti e stato sociale.

È un mini “blocco storico” che, al di là di ogni ragionevole evidenza, nell’era della pandemia e del “tutti a casa” segna l’approdo definitivo di una certa “sinistra” al sostegno attivo alle linee fondamentali di repressione di massa e all’irrigimentazione coatta per la produzione sociale del capitale.

L’appello “basta con gli agguati”, infatti non è altro che un’ignobile e fideistica adesione ideologica (senza alcuna mena critica concreta) al pensiero unico neoliberale declinato in una nuova forma di fascismo globale.

Ancora una volta coloro che per anni ci hanno decantato la possibilità di cambiare il sistema dall’interno, cercando di far ingoiare a milioni di lavoratori e cittadini la riformabilità di ciò da cui ci si può solo affrancare: la gabbia UE (e prima lo si fa e meglio è), non hanno perso l’occasione di fare il gioco delle classi dirigenti nostrane e continentali.

I firmatari di questo appello, questi soloni della democrazia astratta nella fine della democrazia liberale (un po’ come fare i marinai in montagna) non hanno nulla da dire sullo scempio che ho descritto poc’anzi.

Se estendiamo la visuale a tutto il campo della sinistra “riformista” attuale questo comportamento politico ha la sua spiegazione nell’appartenza alla classe borghese: il PD e i suoi cespugli sono infatti da sempre espressione di vari settori di borghesia, burocrati sindacali di media e piccola pezzatura, boiardi di Stato, tecnici dell’informazione coi soldi pubblici, docenti. Tutti personaggi che l’antifascismo lo vedono nelle sagre e nelle liturgie di partito, che hanno separato la loro critica sociale astratta dalla materialità concreta di chi per raccogliere i pomodori a due euro l’ora deve passare dal caporale, di chi lotta ogni giorno contro lo sfruttamento padronale.

Peccato per loro però. Perché in questo frangente di crisi pandemica vediamo a “sinistra” un’ulteriore caduta di consenso anche riguardo i ben noti e togliattiani “ceti medi”, che oggi annaspano nella battigia del “tutto chiuso” e della mancanza di risorse per far esistere le loro attività. Soggetti spesso arruolati nelle fila del populismo reazionario che sta già scaldando i motori per un certo avvicendamento al governo nelle prossime politiche quando e se ci saranno.

Ma come gli euroburocrati, queste marieantoniette delle brioches non lo capiscono. Non hanno proprio capito il dramma attuale del paese reale e pensano di comportarsi come hanno sempre fatto nelle situazioni di ordinaria e pessima politica.

3. Una bella rivolta sociale in Italia non fu mai vista, ma sarebbe ora

A tutti questi esegeti del buonismo servile va detto chiaro e forte: chi lavora per la “pace sociale”, oggi più che mai serve lo status quo, serve uno stato di cose ormai devastante. E giunti a questo punto di ben altra sinistra ci sarebbe bisogno. Il rischio con questi personaggi è proprio quello che costoro vedono come la peste: consegnare il paese alle destre dichiaratamente fasciste. Non che la cosa sia meglio o peggio. Perché il peggio è in realtà la grande confusione sul che fare in questo vuoto di prospettive, al quale si aggiunge la confusione su cui giocano i cretini politici sinistrati: far credere alla massa e al suo immaginario, con stereotipi un po’ retrò, che la sinistra siano loro. Il nulla pseudo-riformista e post-socialista senza i valori di uguaglianza sociale, di solidarietà, senza conflitto di classe, lotta alle ingiustizie per una società liberata dallo sfruttamento.

Ma intanto l’ingegneria sociale messa in moto “grazie” ai governanti a cui questi euroriformisti plaudono, ritesse la trama della redistribuzione iniqua della ricchezza sociale, riporta al centro il peggiore lobbismo dei comitati d’affari del capitale. Con il darwinismo sociale neoliberista del più forte che schiaccia il più debole, ai milioni di salariati senza lavoro e reddito si aggiungono i milioni di piccoli commercianti che non hanno i mezzi e le possibilità di riaprire rispettando i criteri imposti. E dall’altra imperano i  grandi gruppi industriali e commerciali: il piccolo commercio muore e la grande distribuzione, così come i colossi del commercio elettronico, si afferma senza concorrenza e lavora per riplasmare le modalità del consumo distanziale e su ordinazione. La shock economy del capitalismo non fa prigionieri e questa devastazione economica ha il carattere di un vero e proprio processo di proletarizzazione di interi strati sociali, in particolare dei ceti medi: commercianti, autonomi, professionisti che andranno ad accrescere la massa precaria oggi ancora più precaria. Un processo sociale pre-esistente alla pandemia, ma che con la pandemia ha avuto un’accelerazione esponenziale.

Questa è la realtà che stiamo vivendo oggi: una polveriera. E tutto perché i ceti dominanti stanno cercando di rideterminare le logiche economiche e le dinamiche di governance neoliberiste, producendo una situazione peggiore di prima. Questo è anche ciò che percepisce sempre più gente, finita in un incubo dall’oggi al domani. E vista così, si riesce a comprendere il perché di questo passaggio disciplinare e repressivo totalizzante. Così la brutalità idiota della divisa che ti ferma e ti sanziona al parco assume una connotazione telica, un ruolo molto più funzionale a ciò che ci stanno preparando, basato sulla consapevolezza di battere sul tempo la conflittualità sociale montante.

La crisi d’egemonia ha bisogno di un controllo pervasivo: questa è la scommessa che le classi dirigenti fanno nella loro indisponibilità a cambiare.

Per questo, alla brutta piega che ha preso la situazione, sarebbe preferibile una rivolta sociale generalizzata: anche sorda, istintiva e spontanea, mal dotata di una coscienza politica sviluppata e orientata a dovere. Un tumulto trasversale a più settori sociali che finalmente sarebbe il primo in Italia dopo la guerra di Liberazione e dopo la guerra civile a bassa intensità che mise in campo la grande minoranza gioiosa e antagonista degli anni ’70.

E visto che sul terreno del conflitto siamo ancora indietro soprattutto per identità di classe, chiarezza del nemico e solidarietà sociale, c’è da auspicarsela sul serio una bella rivolta di massa, che provenga dal profondo della pancia del paese: precari, salariati o autonomi, dipendenti del sommerso, disoccupati, popolo delle saracinesche abbassate.

Altro che pace sociale! Sarebbe comunque taumaturgica e liberatoria perché aprirebbe a questioni sociali dirimenti e non più rinviabili. La gabbia che ci hanno costruito attorno, da Bruxelles alle nostre periferie metropolitane, va rotta.

E quella sinistra che ancora tiene alta la bandiera della rivoluzione sociale, dell’anticapitalismo, smetterebbe di parlarsi addosso, dato che sarebbe costretta a confrontarsi con una prassi antagonista spontanea, data dal momento contingente. Del resto la classe e le sue avanguardie imparano solo nel fuoco della lotta. Da qui si vedrà chi saprà costruire egemonia. Chi avrà più tela tesserà.

Mario Monicelli aveva ragione: quella che è mancata sin’ora al nostro paese è una bella rivoluzione. L’importante è aprire le danze.

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