I migranti conducono la lotta per minare le riaperture con la resistenza!
18 maggio – Jim Farley, CEO di Ford Motors, ha dichiarato durante una recente conferenza telefonica: “L’industria automobilistica è il motore economico degli Stati Uniti. Riavviare l’intero ecosistema dell’auto è il modo in cui facciamo ripartire l’economia“. (New York Times, 18 maggio)
Ma Farley si sbaglia. Sono i 400.000 addetti alla produzione delle tre case automobilistiche di Detroit, Ford, General Motors e Fiat Chrysler (FCA), che oggi riprendono a lavorare in tutto il mondo, ad avere l’ultima parola.
Dopo una serie di scioperi a metà marzo in tutto il settore contro le condizioni di lavoro insicure, in ambienti chiusi e senza dispositivi di protezione, i lavoratori stanno rientrando al lavoro con alcune misure di protezione che li tutelano solo parzialmente. La temperatura viene loro misurata solo dopo aver concluso il giorno lavorativo e non ci sono ancora mascherine, protezioni per gli occhi e guanti a sufficienza.
Secondo il New York Times, FCA ha allestito delle tende trasparenti per impedire la trasmissione tra persone che lavorano l’una accanto all’altra e schermi per i lavoratori che installano contemporaneamente componenti sotto le vetture.
Ford ha installato lavelli portatili e dispenser per l’igienizzazione delle mani in tutti gli impianti e rubinetti e dispenser per il sapone nei bagni. General Motors inizierà con un solo turno.
Ma il sindacato United Auto Workers (UAW) ha sostenuto l’obbligo di sottoporre tutti i lavoratori a test giornalieri o settimanali mentre le tre aziende di Detroit hanno accettato di testare solo i lavoratori con sintomi. L’Autoworker Caravan, un gruppo di attivisti del gruppo “rank-and-file” dell’UAW, ha presentato una petizione per far avere ad ogni lavoratore le mascherine con filtro N95.
Il primo giorno di rientro gli autotrasportatori hanno già notato le inadempienze alle misure di salute sul lavoro: maschere non avvolte disposte sui tavoli dalle guardie che non indossano guanti, superfici non pulite da marzo, lavoratori con sintomi di virus ammessi al lavoro, ventilatori sporchi e altro ancora.
I lavoratori non sindacalizzati che producono auto per aziende straniere, per lo più del Sud, sono stati richiamati al lavoro in diverse date nel mese di maggio per assicurare una ripresa massiccia delle attività.
Alcuni attivisti hanno protestato fuori dalla fabbrica di veicoli elettrici Tesla a Fremont, in California, dove l’amministratore delegato Elon Musk ha giurato di sfidare l’ordine del governatore e di costringere i lavoratori a tornare al lavoro senza misure di sicurezza, ovviamente in funzione del profitto (da recuperare).
Le proteste dei lavoratori continuano a crescere
Payday Report ha catalogato 206 scioperi, presidi, assenze per malattia, sit-in e picchetti che richiedono condizioni di lavoro sicure in ogni angolo del Paese da quando il contagio da COVID-19 è accelerato esponenzialmente negli Stati Uniti. I numeri delle proteste sono sicuramente sottostimate poiché ci sono state decine di piccole azioni sia da parte di lavoratori non rappresentati che di membri del sindacato.
Un esempio di quest’ultimo è rappresentato dai 25 lavoratori della Hood River Distillers a Hood River, Oregon. I membri del Teamsters Local 670 hanno istituito un picchetto il 6 maggio dopo che la direzione ha fatto loro un’offerta contrattuale inerente a blandi benefits a tutela della salute e miseri aumenti salariali. (nwlaborpress.org, 13 maggio)
Inoltre, alcuni lavoratori essenziali oltre a riscontrare problemi economici, stano avendo problemi pratici nello svolgere il proprio lavoro in questo contesto pandemico. I fattorini ad esempio stanno protestando per non riuscire a trovare bagni a loro disposizione, dato che le solite sedi nei fast-food e nelle catene di fast-food come Applebees, KFC e Subway sono aperte solo per il take-away.
Un gruppo di camionisti ha fatto il giro di Constitution Avenue a Washington, D.C., il 13 maggio scorso, protestando contro i bassi salari e le condizioni di insicurezza. Quando alcuni autisti indipendenti hanno chiesto un prestito come piccole imprese, è stato detto loro che non avevano i requisiti per il finanziamento.
Per quanto riguarda i lavoratori nel settore agroalimentare, la United Farm Workers chiede a tutti i sostenitori di firmare una petizione a sostegno del progetto di legge HEROES, che include l’assistenza finanziaria per i lavoratori agricoli privi di documenti e protegge legalmente questi lavoratori essenziali dalla deportazione durante la pandemia.
Aumentano le proteste degli immigrati
Coloro che rischiano di più difendendo i loro diritti sono i lavoratori immigrati e sono proprio gli ultimi dati ufficiali che segnalano l’aumento di contagi da COVID-19 proprio tra i lavoratori agricoli migranti.
Questo non ha però impedito ai migranti messicani che raccolgono frutta nella famosa Yakima Valley, dello stato di Washington, di scioperare per rivendicare sia le misure di sicurezza necessarie a prevenire il contagio sia per l’aumento del salario dovuto ai rischi del virus. La settimana dall’11 al 17 maggio in sette siti principali si sono svolti gli scioperi e altri lavoratori di altri sei siti si sono uniti alle proteste durante il fine settimana.
E mentre si cerca di praticare il distanziamento fisico nei campi, il problema è anche rappresentato dalle soluzioni abitative fornite dai datori di lavoro – quattro lavoratori in una stanza, due in un letto. L’8 maggio, 169 dei 340 migranti con contratto H-2A provenienti dal Messico e da Haiti che raccolgono, piantano, selezionano e confezionano pomodori nella fattoria idroponica Green Empire Farms vicino a Oneida, N.Y., sono risultati positivi. Dopo essere stati messi in quarantena per due settimane, torneranno al lavoro.
Ma l’organizzatore Celso Mendoza, emigrato da Veracruz, in Messico, nel 2002, non potrà farlo. Anni fa, Mendoza è stato determinante nell’organizzare i lavoratori messicani a contratto che guadagnano 6$ l’ora in una fabbrica di pollame della Forest, Miss. Dopo che l’appaltatore che ha assunto i lavoratori ha cercato di tagliare i salari del 10%, Mendoza ha organizzato i lavoratori e nel giro di un anno si sono uniti al sindacato dei lavoratori del settore alimentare e commerciale (UFCW).
Il loro contratto prevedeva condizioni di lavoro e di retribuzione migliori – e nessun appaltatore terzo. I lavoratori del settore avicolo sono stati costretti da un ordine dell’amministrazione Trump a tornare comunque al lavoro nonostante l’epidemia. Tragicamente, la vita di Mendoza è stata troncata a 59 anni dal COVID-19.
I lavoratori immigrati intervengono sempre più spesso per proteggersi durante la pandemia. Maritere Gomez, un organizzatore del centro operaio Arise Chicago, che ha aiutato a organizzare i lavoratori messicani a contratto che producono dispositivi di protezione personale presso la LSL Healthcare vicino a Chicago, dice: “Penso che i lavoratori senza documenti debbano unirsi. Se le persone senza documenti non si difendono, nessuno lo farà, certamente non il loro capo o il governo“.
Liberamente tradotto da https://www.workers.org/2020/05/48779/
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