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22/05/2020

Sciopero dei Braccianti e Nuovo Movimento Operaio

Ha avuto una buona partecipazione – almeno nelle zone più significative del super sfruttamento generalizzato del lavoro nelle campagne – lo Sciopero dei Braccianti, indetto dal settore “Lavoro Agricolo” dell’Unione Sindacale di Base.

Nella Capitanata in Puglia, in alcune zone della Calabria, della Sicilia, dell’Agro Pontino ma anche in alcuni distretti agricoli del Centro Nord la protesta dei braccianti ha costruito una mobilitazione vera grazie al diretto protagonismo dei nuovi schiavi che si spezzano la schiena nelle campagne.

Una mobilitazione che è culminata nella Manifestazione/Marcia che dal vecchio Ghetto di Rignano Garganico ha raggiunto la Prefettura di Foggia ma che è stata articolata in numerosi presidi sotto tante sedi del governo in giro per l’Italia.

Presidi che hanno raccolto adesioni di forze politiche e di movimento (Potere al Popolo, Noi Restiamo, alcune associazioni civiche e di base) le quali hanno inteso sostenere ed amplificare le ragioni della protesta di questo Sciopero riconoscendone l’ampio valore politico generale.

A tale proposito è chiaro l’atteggiamento provocatorio della Questura di Roma che, attraverso il dispiegamento di uno schieramento poliziesco spropositato, ha impedito che il Presidio di Solidarità con lo Sciopero dei Braccianti, in corso in città, portasse, simbolicamente, una semplice cassetta di frutta sotto le finestre del Prefetto della capitale.

Questa Terra non è vostra...

La giornata di lotta dei Braccianti si è mostrata, attraverso l’esercizio del sacrosanto diritto dello Sciopero, mettendo in risalto quella composizione sociale di immigrati – ma anche di tanti “proletari autoctoni” – che costituisce il primo anello della filiera agro/alimentare del nostro paese. Un autentico punto di vanto economico e di immagine del Made in Italy e dell’Azienda/Italia!

Con lo Sciopero di oggi ha alzato la testa un importante segmento di classe che viene sottoposto ad una infinita gamma di modalità dello sfruttamento.

Il micidiale ciclo della stagionalità legato alle semine, ai raccolti ed alla prima trasformazione dei prodotti della terra, le affaristiche e speculative esigenze della Grande Distribuzione Organizzata nazionale e multinazionale, l’impoverimento costante dei piccoli contadini e l’accentuazione delle dinamiche di concentrazione economica in atto nel comparto sono i principali tasselli che costituiscono il quadro reale degli enormi profitti che si celano nell’agro/business e nel suo articolato indotto legale ed illegale.

Risulta, quindi, evidente, che questa parossistica giostra infernale si fonda sulla brutale fatica di centinaia di migliaia di proletari costretti all’invisibilità sociale, privi di diritti e costantemente sotto ricatto delle varie forme di nuovo e vecchio caporalato, le quali – con buona pace delle vestali della democrazia borghese – condizionano, pesantemente, tale settore.

Questo Sciopero dei Braccianti – proclamato nei giorni della cosiddetta Fase 2 della Crisi Pandemica – costituisce sul piano della oggettiva qualità politica ma, anche, sul versante di un primo segnale di lotta e di indipendenza programmatica che proviene da un significativo settore di classe, un risultato importante verso la configurazione teorica, politica ed organizzativa di un nuovo movimento operaio adeguato alle sfide della moderna contemporaneità capitalistica.

Il risultato politico/sindacale dello Sciopero dei Braccianti non cade dal cielo ma è un prodotto – sicuramente perfettibile nel prossimo periodo – di un lavorio che l’Unione Sindacale di Base ha condotto negli ultimi anni riprendendo le lezioni politiche e l’esperienza pratica di una tradizione di lotta contadina che nel nostro paese (negli anni cinquanta e sessanta del Novecento) ha scritto pagine gloriose della lotta di classe consentendo l’emancipazione salariale e culturale di tantissimi proletari delle campagne e spezzando il dominio del latifondo e di anacronistici rapporti sociali che ancora vigevano in quel periodo e che, con l’incrudirsi della crisi, ritornano oggi prepotentemente in voga.

Del resto l’attuale interessamento dei media ufficiali che scoprono questa condizione sociale mostra una forma di stupore nei confronti di tali ingiustizie (concepite come episodi isolati e non fattori costitutivi del moderno capitalismo) che è tipica dei caratteri ipocriti dell’ideologia dominante (specie quando si declina in salsa progressista e di sinistra). Un palese elemento di mistificazione e di occultamento della radice classista, differenzialista e razziale dell’organizzazione del lavoro nelle campagne che dobbiamo combattere strenuamente.

Ed è su questo crinale della contraddizione che si scontrano le opzioni di chi, come la ex-bracciante Teresa Bellanova, intende mettere una pezza alle attuali condizioni di vita e di lavoro nei campi per meglio rifunzionalizzare ai profitti del capitalismo tricolore questa anomalia del mercato del lavoro italiano e chi – come i Comunisti – lavorano per superare in avanti la frantumazione di questi soggetti sociali per aggregarli, a pieno titolo, nello schieramento di classe e nella più generale battaglia per la trasformazione della società.

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