Il servilismo della politica nei confronti del sistema delle imprese è cosa antica. Specie in Italia, dove per oltre un secolo lo Stato ha fatto da maggiordomo – sia durante la dittatura monarchico-fascista, sia nella democrazia repubblicana – alla principale industria del Paese: la Fiat.
Nonostante l’identità e la struttura di questa multinazionale siano cambiate più volte questo rapporto servile è rimasto intatto.
Al punto che l’erede degli Agnelli al vertice del gruppo, John Elkann, ha avuto la sfrontatezza di chiedere allo Stato di farsi garante per i 6,3 miliardi di prestito che Fca ha chiesto a Banca Intesa.
I media, specie quelli del gruppo Gedi (Repubblica, La Stampa, diversi giornali locali, ecc), di proprietà agnellica, parlano di “prestito”. E mentono.
Qualsiasi persona in questo Paese sa che “garantire” un prestito bancario verso terzi (foss’anche il proprio figlio, per l’acquisto di una casa o un pc) significa essere pronti a restituire quel prestito con i propri soldi. Nel caso di FCA, Banca Intesa non si è sentita certa che quel prestito possa rientrare – con la situazione catastrofica del mercato dell’auto in piena pandemia, è una certezza semmai il contrario – e quindi pretende che qualcun altro “garantisca” per quella somma.
A quel punto il giovane Elkann si è signorilmente girato verso l’anziano maggiordomo dicendo “Ambrogio, ci pensi tu come al solito, vero?”.
Saltiamo a piedi pari la polemichetta politica tra servi e aspiranti servi ed ex servi della Fiat, e vediamo qual è la situazione.
Fiat/FCA non è più un’azienda italiana, ma una multinazionale italo-statunitense con stabilimenti in tutto il mondo (alcuni anche in Italia), sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna (significa che paga le tasse lì, perché conviene). È oltretutto in procinto di fondersi con PSA, industria automobilistica partecipata tra l’altro dallo Stato francese (12%) e dalla cinese Dongfeng (12%).
In vista di queste nozze, oltretutto, mr. Elkann e gli altri componenti del consiglio di amministrazione hanno stabilito un maxi-dividendo straordinario da 5,5 miliardi alla holding Exor (la finanziaria “di famiglia”).
Quindi, ricapitolando: il signor Elkann prende dalla società FCA, che dirige, 5,5 miliardi e li dà (o meglio, li darà il prossimo anno, quando si celebreranno le nozze con PSA) ad un’altra società che sempre lui controlla pienamente (una finanziaria olandese). Ma siccome “c’è grossa crisi” sul mercato automobilistico chiede un prestito da 6,3 miliardi a Banca Intesa, garantiti però dallo Stato italiano (il 12% del “decreto rilancio”).
A fare l’imprenditore così siamo buoni tutti, confessiamolo... se i soldi crescono, me li prendo; se mancano, li chiedo allo Stato...
È la stessa logica illustrata, si fa per dire, da Carlo Bonomi nel suo primo discorso da presidente di Confindustria: “Più investimenti pubblici, ma no allo Stato padrone in economia”. Che tradotto significa: “dateci soldi pubblici a noi delle imprese, direttamente a fondo perduto o tramite appalti su lavori pubblici, ma non vi azzardate a gestire direttamente un’azienda; per esempio Alitalia”.
Ecco, al signor Elkann uno Stato serio – consapevole che in questo Paese ci sono parecchi stabilimenti Fiat-FCA, con decine di migliaia di dipendenti, alcune centinaia di migliaia nell’indotto e una certa quota di Pil, risponderebbe quanto meno: “Vogliamo in cambio una quota di azioni corrispondente a quella cifra e posti nel cda in proporzione”. In modo da decidere scelte industriali di lungo periodo, controllare e tutelare l’occupazione sul territorio di competenza, incassare i dividendi annuali, ecc.
Come fa la Francia con PSA, insomma.
Il resto sono chiacchiere per la distrazione di massa. Per coprire anche l’ultima truffa Fiat a spese della popolazione di questo Paese.
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