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03/03/2013

Sentenza Thyssen: sospiro di sollievo per i “padroni”

Tirano un sospiro di sollievo tutti i “padroni” in Italia. L’importante precedente della condanna per omicidio volontario di un industriale che causa con le sue omissioni la morte di sette suoi operai è caduto. Si può ritornare a sperare nelle usuali “soluzioni all’italiana”.

Ricordo i fatti: in seguito all’incendio divampato il 6/12/2007, sulla “Linea 5″ di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino, si verificò la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che morirono nei giorni e settimane seguenti. Si chiamavano Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola.

Io, nel processo di primo grado, ero stato nominato Consulente Tecnico di Parte Civile, per l’associazione “Legami D’Acciaio” che raggruppava i parenti delle vittime e altri operai Thyssen. Ho depositato nel 2009 in Tribunale una relazione che è disponibile sulla mia home page del Politecnico.

La corte d’Assise d’appello, ieri, ha escluso il dolo per il principale imputato, l’amministratore delegato Harald Espenhahn. Non fu, dunque,omicidio volontario con dolo eventuale (come fu proposto dal pm Raffaele Guariniello e confermato in primo grado), ma sempliceomicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente. La pena è stata così ridotta da 16 anni e mezzo a dieci anni.

Tirano un sospiro di sollievo tutti i “padroni” in Italia. L’importante precedente della condanna per omicidio volontario di un industriale che causa con le sue omissioni la morte di sette suoi operai è caduto. Si può ritornare a sperare nelle usuali “soluzioni all’italiana”. Sembrava davvero, quando ci fu la condanna in primo grado, di essere su un altro pianeta, e non in Italia. Adesso, ci sentiamo più “a casa”.

Guariniello ha commentato, deluso, ma pacato: “Speravamo nel dolo, ma resta una sentenza storica, mai in Italia sono state date pene così alte per un incidente sul lavoro. È vero, l’aspetto storico legato al dolo è venuto meno, ma noi comunque porteremo avanti questa tesi anche nel prossimo grado di giudizio”.

Guariniello ha infatti promesso di non andare in pensione con il processo “Eternit”, come aveva dichiarato, ma di continuare a seguire questo processo Thyssen anche in Cassazione. L’ha promesso ai familiari delle vittime e agli operai, che ieri si sono asserragliati nell’aula di tribunale quando hanno sentito la sentenza. Urlavano disperati e delusi: «Maledetti», «Che schifo», «Vergogna, non c’è giustizia». Avevano  tutti le magliette con le foto dei loro figli, fratelli, mariti morti:  sono le madri, i padri, le sorelle, le mogli di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola.

 Mentre erano asserragliati, ho parlato al telefono con Ciro Argentino, un operaio che ha fatto della battaglia con l’Associazione “Legami d’Acciaio” la sua grande motivazione di impegno in tutti questi anni, un riferimento per tutti quei lavoratori. Mi ha detto, mentre sentivo anche io le urla disperate delle madri, che quella sentenza li aveva lasciati devastati dalla delusione, e non sarebbero usciti dall’aula fino a che il pm Guariniello non fosse ritornato per parlare con loro e portargli un conforto. Raffaele Guariniello non ha mancato neppure questa volta: è tornato a parlare con loro, ed ha promesso che combatterà anche in Cassazione.

Io – tecnicamente parlando – non posso che riportare qui un sunto delle conclusioni della mia Relazione. Poi ognuno si faccia l’idea che vuole. Personalmente, anche io avrei urlato insieme a loro.

1) La linea 5 funzionava in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio – in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi, eccetera.

2)  La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.

3) La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.

4) I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato nel recente passato  l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio come quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro breve.

5) La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa

6)  Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.

7) Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.

8) In caso di incendio di “grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento.

9) Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme. Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato  in modo autonomo e non in ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate ai lavoratori.

10) Il pulsante di emergenza non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica , quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti, fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione, non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.

11) I sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili.

12) Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.

13) Si erano verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a seguito di questi incidenti sulla linea 5.

14) Alcuni sistemi di sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria (costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza.

15) Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi

 In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione con ogni norma di sicurezza.

Tutto quanto era umanamente possibile per rendere probabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia.

Una volta partita, la dinamica dell’evento incidentale è stata inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai, ai quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.

Questo ho scritto nel 2009, questo continuo a pensare.

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