Tirano un sospiro di sollievo tutti i “padroni” in Italia. L’importante
precedente della condanna per omicidio volontario di un industriale che
causa con le sue omissioni la morte di sette suoi operai è caduto. Si
può ritornare a sperare nelle usuali “soluzioni all’italiana”.
Ricordo i fatti: in seguito
all’incendio divampato il 6/12/2007, sulla “Linea 5″ di ricottura e
decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino, si verificò
la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così
grave che morirono nei giorni e settimane seguenti. Si chiamavano
Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno
Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola.
Io, nel processo di primo grado, ero stato nominato Consulente Tecnico di Parte Civile, per l’associazione “Legami D’Acciaio” che raggruppava i parenti delle vittime e altri operai Thyssen. Ho depositato nel 2009 in Tribunale una relazione che è disponibile sulla mia home page del Politecnico.
La corte d’Assise d’appello, ieri, ha escluso il dolo per il principale
imputato, l’amministratore delegato Harald Espenhahn. Non fu,
dunque,omicidio volontario con dolo eventuale (come fu proposto dal pm
Raffaele Guariniello e confermato in primo grado), ma sempliceomicidio
colposo con l’aggravante della colpa cosciente. La pena è stata così
ridotta da 16 anni e mezzo a dieci anni.
Tirano un sospiro di
sollievo tutti i “padroni” in Italia. L’importante precedente della
condanna per omicidio volontario di un industriale che causa con le sue
omissioni la morte di sette suoi operai è caduto. Si può ritornare a
sperare nelle usuali “soluzioni all’italiana”. Sembrava davvero, quando
ci fu la condanna in primo grado, di essere su un altro pianeta, e non
in Italia. Adesso, ci sentiamo più “a casa”.
Guariniello ha
commentato, deluso, ma pacato: “Speravamo nel dolo, ma resta una
sentenza storica, mai in Italia sono state date pene così alte per un
incidente sul lavoro. È vero, l’aspetto storico legato al dolo è venuto
meno, ma noi comunque porteremo avanti questa tesi anche nel prossimo
grado di giudizio”.
Guariniello ha infatti promesso di non
andare in pensione con il processo “Eternit”, come aveva dichiarato, ma
di continuare a seguire questo processo Thyssen anche in Cassazione.
L’ha promesso ai familiari delle vittime e agli operai, che ieri si
sono asserragliati nell’aula di tribunale quando
hanno sentito la sentenza. Urlavano disperati e delusi: «Maledetti»,
«Che schifo», «Vergogna, non c’è giustizia». Avevano tutti le
magliette con le foto dei loro figli, fratelli, mariti morti: sono le
madri, i padri, le sorelle, le mogli di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino,
Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto
Scola.
Mentre erano asserragliati, ho parlato al telefono con
Ciro Argentino, un operaio che ha fatto della battaglia con
l’Associazione “Legami d’Acciaio” la sua grande motivazione di impegno
in tutti questi anni, un riferimento per tutti quei lavoratori. Mi ha
detto, mentre sentivo anche io le urla disperate delle madri, che quella
sentenza li aveva lasciati devastati dalla delusione, e non sarebbero
usciti dall’aula fino a che il pm Guariniello non fosse ritornato per
parlare con loro e portargli un conforto. Raffaele Guariniello non ha
mancato neppure questa volta: è tornato a parlare con loro, ed ha
promesso che combatterà anche in Cassazione.
Io – tecnicamente
parlando – non posso che riportare qui un sunto delle conclusioni della
mia Relazione. Poi ognuno si faccia l’idea che vuole. Personalmente,
anche io avrei urlato insieme a loro.
1) La linea 5 funzionava
in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli
impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio – in
costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta
oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente
costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli
estintori scarichi, eccetera.
2) La linea 5 funzionava oltre i
normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non
ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti
a turni straordinari massacranti.
3) La linea 5 presentava
evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo
tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e
meccanico.
4) I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di
lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano
ripetutamente raccomandato nel recente passato l’adozione di un sistema
automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto
previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio come
quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti
presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta,
in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro
breve.
5) La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era
peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura
entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le
frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di
guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva
con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o
spostamenti sulla linea stessa
6) Le squadre di sicurezza e
antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da
personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona)
l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di
emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza
al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.
7) Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire
con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si
formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con
il loro mansionario e le procedure.
8) In caso di incendio di
“grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei
VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della
squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con
appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento.
9) Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che
indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni
dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da
parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme. Era
fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi
problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza
non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della
produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo
dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni
incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare
situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e non in
ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate
ai lavoratori.
10) Il pulsante di emergenza non toglie
l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica , quindi l’olio rimane
sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione
dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti,
fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione,
non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.
11) I
sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento
dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili.
12) Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione
specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da
seguire in caso di un incendio di tale entità.
13) Si erano
verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri
stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a
seguito di questi incidenti sulla linea 5.
14) Alcuni sistemi di
sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria
(costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento
erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura
guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza.
15) Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi
In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale
che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale
ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in
palese violazione con ogni norma di sicurezza.
Tutto quanto era
umanamente possibile per rendere probabilissimo il disastro era stato
fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia.
Una volta partita, la dinamica dell’evento incidentale è stata
inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai, ai
quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il
posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.
Questo ho scritto nel 2009, questo continuo a pensare.
Nessun commento:
Posta un commento