Le aziende tedesche concedono ai lavoratori premi di
produttività rilevanti. Gli aumenti salariali – contrariamente ai dogmi
della Bundesbank e della Bce – non fanno affatto ripartire l’inflazione.
Un surplus che mantiene la tregua sociale e accentua la rottura tra i
lavoratori europei.
I lavoratori del resto dell’Unione Europea languono – e
nei paesi Pigs perdono ormai più sangue e che lacrime – ma le aziende
tedesche, dove già ci sono i salari più alti della media, si apprestano a
concedere nuovi aumenti salariali.
La Volkswagen ha annunciato che verserà un premio di produzione di 7.200 euro ai suoi 100mila dipendenti. Ha chiuso il 2012 con un utile netto record di 22 miliardi di euro, eppure il premio di produzione sarà più basso di quello del 2011 che era stato di 7.500 euro. La Ig Metall, il più grande sindacato dell'industria tedesca, ha messo sul tavolo le rivendicazioni salariali per il 2013, chiedendo un aumento del 5,5%, dopo averne incassato uno del 4,3% l'anno scorso, il più alto da 20 anni. Il sindacato dei lavoratori pubblici, Verdi ha a sua volta chiesto aumenti del 6,5%, che nel resto d'Europa stanno invece perdendo pezzi rilevanti sia in termini di retribuzione che di posti di lavoro (vedi anche i recenti dati sull’Italia). Il meccanismo di consolidamento di quella che è stata definita "aristocrazia salariata" nei nuclei pulsanti del polo imperialista europeo, trova nuove conferme. Un processo che ha inevitabilmente conseguenze anche sul piano del consenso alle politiche di rigore e austerità che la Troika e la borghesia multinazionale europea impongono agli altri stati membri e ai paesi Pigs in particolare.
In Germania la prossima stagione dei rinnovi contrattuali coinvolgerà 12,5 milioni di lavoratori e nel 2013 i salari tedeschi potrebbero aumentare del 3% circa, mettendo in fila il quarto anno consecutivo di crescita, dopo il 2,6% del 2012 . Aumenti salariali che – smentendo clamorosamente i dogmi della Bundesbank e della Bce – non hanno affatto riacceso l'inflazione. In Germania i prezzi al consumo infatti sono scesi a febbraio ai minimi da due anni, all'1,5%, ben sotto il target Bce del 2%. Per circa dieci anni i salari erano rimasti fermi o quasi, in cambio della difesa dei livelli occupazionali. Contemporaneamente si è assistito al boom dei lavoretti (i mini job) sottopagati rivelatisi utili per tenere “bassa” la disoccupazione. In Italia – invece – i salari sono fermi praticamente da venti anni (quel maledetto 1992) ma con le misure adottate su mercato del lavoro, flessibilità, congelamento retributivo, pensioni, non si vede luce, anzi, incombe il buio.
La Volkswagen ha annunciato che verserà un premio di produzione di 7.200 euro ai suoi 100mila dipendenti. Ha chiuso il 2012 con un utile netto record di 22 miliardi di euro, eppure il premio di produzione sarà più basso di quello del 2011 che era stato di 7.500 euro. La Ig Metall, il più grande sindacato dell'industria tedesca, ha messo sul tavolo le rivendicazioni salariali per il 2013, chiedendo un aumento del 5,5%, dopo averne incassato uno del 4,3% l'anno scorso, il più alto da 20 anni. Il sindacato dei lavoratori pubblici, Verdi ha a sua volta chiesto aumenti del 6,5%, che nel resto d'Europa stanno invece perdendo pezzi rilevanti sia in termini di retribuzione che di posti di lavoro (vedi anche i recenti dati sull’Italia). Il meccanismo di consolidamento di quella che è stata definita "aristocrazia salariata" nei nuclei pulsanti del polo imperialista europeo, trova nuove conferme. Un processo che ha inevitabilmente conseguenze anche sul piano del consenso alle politiche di rigore e austerità che la Troika e la borghesia multinazionale europea impongono agli altri stati membri e ai paesi Pigs in particolare.
In Germania la prossima stagione dei rinnovi contrattuali coinvolgerà 12,5 milioni di lavoratori e nel 2013 i salari tedeschi potrebbero aumentare del 3% circa, mettendo in fila il quarto anno consecutivo di crescita, dopo il 2,6% del 2012 . Aumenti salariali che – smentendo clamorosamente i dogmi della Bundesbank e della Bce – non hanno affatto riacceso l'inflazione. In Germania i prezzi al consumo infatti sono scesi a febbraio ai minimi da due anni, all'1,5%, ben sotto il target Bce del 2%. Per circa dieci anni i salari erano rimasti fermi o quasi, in cambio della difesa dei livelli occupazionali. Contemporaneamente si è assistito al boom dei lavoretti (i mini job) sottopagati rivelatisi utili per tenere “bassa” la disoccupazione. In Italia – invece – i salari sono fermi praticamente da venti anni (quel maledetto 1992) ma con le misure adottate su mercato del lavoro, flessibilità, congelamento retributivo, pensioni, non si vede luce, anzi, incombe il buio.
Nessun commento:
Posta un commento