Gli apprendisti stregoni scoprono sempre dopo che le loro soluzioni
"intelligenti" provocano problemi più irrisolvibili di quelli
precedenti. Sulle pensioni è ormai l'orgia del dilettante.
Dobbiamo dar atto al Sole24Ore di essere un giornale coerente,
che sa persistere nell'errore anche quando si è dimostrato catastrofico.
Tutto sta nel sapere "per chi" è catastrofico.
Il ragionamento sulle
pensioni è sempre identico da 19 anni a questa parte: se non ci
mettiamo mano salta tutto il sistema del loro finanziamento. Allora si
enfatizzava la "gobba" che sarebbe arrivata a metà di questo decennio.
E' stata spianata con una serie di "riforme", da quella Dini in poi, che
praticamente hanno cancellato questo istituto di minima civiltà per le
generazioni che sono entrate nel mondo del lavoro negli ultimi venti
anni.
Con la "riforma Fornero" si pensava di essere arrivati al
capolinea. Età pensionabile a 70 anni (dal 2021) e prolungamento
progressivo della permanenza sul lavoro; metodo contributivo per tutti
in modo da abbattere anche il livello dell'assegno da erogare...
L'economia
mette sempre lo zampino nelle grandi costruzioni cartacee che non ne
tengono conto. La crisi economica ha sconvolto tutti i calcoletti di
questi bocconiani senza cultura (che credono davvero nelle loro
proiezioni sul futuro, come se la storia andasse avanti linearmente,
senza mai sconvolgimenti e crisi). Con il risultato che alcune centinaia
di miglia di lavoratori "over 55", che dovevano nelle previsioni essere
inchiodati ai loro posti fin che morte non sopraggiunga (o quasi) sono
stati buttati fuori dalle aziende e ora - a breve - anche dal pubblico
impiego. Esodati o cassintegrati, vanno comunque coperti con assegni e
contributi. Per quanto da fame possano essere, moltiplicati per
centinaia di migliaia di volte diventano cifre ragguardevoli. Specie se,
com'è ovvio, riducendosi l'occupazione effettiva, e soprattutto quella
"buona" (con contributi previdenziali "elevati"), diminuisce
drasticamente anche il flusso di entrate negli istituti previdenziali.
Da un precario, in termini di contributi, "ci tiri fuori poco".
Come si risolve il problema?
Facilissimo,
spiega Confindustria e quindi il suo giornale: facciamo lavorare di più
gli over 55 (fino ai 67-68 anni, aggiunge ad un certo punto).
A
parte le considerazioni di giustizia sociale (quanto cazzo deve lavorare
un essere umano prima di aver diritto di tirare il fiato?), che
avanziamo noi inguaribili "umanisti comunisti", restano quelle
banalmente empiriche: dove sono tutti questi posti di lavoro cui legare
questi nonnetti scansafatiche? Quali aziende - oggi, nel 2013 - sono
disposte a prendere un "anziano" piuttosto che un giovane di mezza età
con contratto egualmente precario? Per quali mestieri? Capiamo benissimo
che un giornalista over 60, possibilmente un esperto di questioni
economiche al Sole24Ore, possa magari dare il meglio di sé proprio in
età avanzata, ma all'Ilva di Taranto? E nella manutenzione delle
ferrovie? E nella movimentazione bagagli di un aeroporto? O addirittura
come hostess?
Chiacchiere e distintivo. Questo il modo di risolvere i problemi sociali da parte degli ideologi delle imprese...
*****
Lavoro, più occupazione per gli over 55 altrimenti salta il sistema delle pensioni
Davide Colombo
I
dati mensili sulle forze di lavoro di Istat ed Eurostat enfatizzano,
giustamente, il livello raggiunto dalla disoccupazione giovanile. A
gennaio le persone tra i 15 e i 24 anni in cerca di lavoro erano
655mila, pari al 10,9% della popolazione in questa fascia di età, mentre
il tasso di disoccupazione, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul
totale degli occupati o di coloro che si dichiaravano in cerca di
lavoro, è arrivato al 38,7%. Tutti gli altri indicatori "forti",
occupazione e tasso di inattività, riguardano invece l'intera
popolazione in età da lavoro, ovvero tra i 15 e i 64 anni, in linea con
le strategie di analisi statistica dei principali istituti
internazionali e delle banche centrali.
Ma
per paesi come l'Italia, dove entro pochissimi anni (il 2021) l'età di
pensionamento di vecchiaia non potrà essere inferiore ai 67 anni, quelle
informazioni statistiche non bastano più. Serve un nuovo "segnale
stradale" per dirci, mese dopo mese, se la direzione in cui si muove il
mercato del lavoro è compatibile con la tenuta del sistema
pensionistico. L'indicatore migliore è il tasso di occupazione (T.O.)
della classe di età 55-64 anni, fermo al 41,1% nel 2012 (51,2 per gli
uomini, 31,7 per le donne) contro il 56,6% dell'intera popolazione
compresa tra i 15 e i 64 anni (66,1% per gli uomini, 47,1 per le donne).
Perché la crescita degli occupati anziani che deve proseguire
Soprattutto
per effetto delle riforme che sono state varate dal '92 e che nel '95
hanno portato l'Italia nel ristretto club dei sistemi contributivi puri
(il cosiddetto nonfinancial defined contribution pension scheme,
Ndc; adottato finora solo in Svezia, Polonia e Lettonia ma studiatissimo
da un gran numero di altri paesi, a partire dalla Cina) il tasso di
occupazione di queste coorti di lavoratori in età avanzata è cresciuto
molto rispetto al 29,8% del 1993 (15,4% le donne, 41,5% gli uomini). Ed è
cresciuto con una certa rigidità negli ultimi vent'anni, nonostante la
debolissima crescita economica, proprio per i successivi innalzamenti
dei requisiti di pensionamento che hanno trattenuto molti lavoratori dal
ritiro anticipato. Oggi però quella dinamica è sottoposta a torsioni
inedite, frutto di una recessione profonda, quei 13 trimestri con un Pil
in calo registrati negli ultimi 5 anni che hanno prodotto una perdita
di valore aggiunto superiore al 6% cumulato.
Come
in tutte le grandi storie, siamo a un punto di svolta sorprendente ma
al tempo stesso inevitabile. E proprio in questo contesto difficilissimo
è necessario accendere un riflettore sul tasso di occupazione degli
over 55enni (anzi, sarebbe il caso di portare le rilevazioni fino a
67-68 anni). Bisogna farlo per una serie di ragioni non più rinviabili.
Perché solo un'attenzione costante su questa parte del mercato del
lavoro può indurre i policy maker ad attivare tutte le politiche
possibili per aumentare l'occupabilità dei più anziani (nel 2012 il T.O.
italiano tra 60 e 64 anni era al 20%, contro il 40% della Germania, il
30% dell'Ue-27 e il 60% della Svezia). Ma anche perché questo nuovo
monitor servirà per gestire al meglio i difficili anni che ci aspettano,
con risorse decrescenti per finanziare gli ammortizzatori sociali in
periodi di disoccupazione che saranno prolungati e per coorti più ampie.
Il nodo produttività e le responsabilità delle parti sociali
Pur
con tutte le flessibilità possibili, le sperimentazioni in part-time e
part-pension, un ripensamento in sede di contrattazione collettiva sulla
struttura dei salari (perché ancora gli scatti di anzianità dei vecchi
tempi?) non si potranno più "esodare" lavoratori senza almeno aver
tentato coraggiose politiche di re-impiego. E non si potrà più rinviare
il problema nazionale della bassa occupazione femminile (il T.O. delle
donne tra i 55 e i 64 anni in Italia è passato dal 15% del 2001 al 25%
del 2010, mentre in Germania nello stesso decennio è salito dal 30 al
50%). Ancora, sarà indispensabile che la formazione continua non si
riduca a un opzional fasullo ma diventi una costante per tutti, ben
monitorata e di qualità, come fanno notare i migliori economisti del
lavoro. Altrimenti tra pochi anni, anche considerando l'inevitabile
spiazzamento tecnologico, avremo un quarto degli occupati a bassa
produttività, con tutte le conseguenze immaginabili sul Pil.
Nel
2009, due anni prima della riforma Fornero quindi, l'età di
pensionamento effettivo è stata di 60,5 anni per gli uomini (contro i 65
anni di vecchiaia già previsti per legge) e di 59,5 anni per le donne
(contro il vecchio requisito dei 60 anni). E' un gap che va chiuso,
altrimenti il sistema non reggerà dopo il pensionamento degli ultimi
babyboomers. E nel 2009, è bene ricordarlo, un uomo che è andato in
pensione quattro anni prima dell'età prevista per la vecchiaia aveva
un'aspettativa di vita residua ancora di 21 anni.
da IlSole24Ore
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