Gli Stati Uniti hanno deciso di "investire" sui cosiddetti "ribelli"
anti-Assad. Kerry sta finendo il giro tra Medio Oriente ed Europa per
mettere a punto i termini dell'offensiva, cercando di evitare che
stavolta le armi finiscano ai qaedisti (almeno così dice lui).
L'amministrazione Obama si appresta a imprimere una svolta alla
sua politica nei confronti della crisi siriana. Una svolta da tempo
nell'aria. Ora però - scrive il Washington Post - la Casa Bianca
sarebbe pronta a dare il via libera ad aiuti diretti ai ribelli, per
facilitare la caduta del regime di Bashar al Assad.
Un
cambiamento di rotta che traspare chiaramente dalle parole del
segretario di Stato Usa, John Kerry, che a Parigi - dove ha incontrato
il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius - ha sottolineato la
necessità di una ''accelerazione della transizione'' in Siria,
intensificando il sostegno a chi combatte il regime di Damasco.
In serata una fonte ben informata che ha chiesto di restare anonima ha anticipato alla Reuters che
gli Stati Uniti intendono ampliare gli aiuti ai civili siriani e
aiutare con cibo e medicinali i ribelli, senza tuttavia fornire loro
"assistenza letale", neanche giubbotti antiproiettile, veicoli blindati o
addestratori militari.
Uno dei portavoce dell'opposizione,
Riad Seif aveva detto poco prima esplicitamente che alla conferenza di
Roma, verrà chiesto un ''sostegno militare qualitativo” per arrivare a
una ''soluzione politica da una posizione di forza”. E per procedere il
presidente Barack Obama aspetta proprio il ritorno di Kerry a
Washington, dopo che il nuovo capo della diplomazia americana avrà
concluso il suo lungo giro nelle principali capitali europee e del mondo
arabo.
Con gli occhi puntati soprattutto sulla tappa romana,
dove Kerry si appresta a partecipare al meeting dei Paesi Amici della
Siria. E' a quel tavolo che molto probabilmente sarà deciso il cambio di
passo da parte non solo degli Stati Uniti, ma di tutta la comunità
internazionale, che finora ha usato mille cautele nell'affrontare la
crisi siriana.
Il piano di Washington, in particolare, prevede
di fornire direttamente ai rappresentanti della coalizione politica che
si oppone al regime di Assad materiali ed equipaggiamento civile e
militare: dunque, giubotti antiproiettile, veicoli blindati, mezzi di
comunicazione. Si prevede inoltre di organizzare, ove possibile, veri e
propri corsi di addestramento per i combattenti ribelli, oltre all'invio
di aiuti per far fronte alla gravissima emergenza umanitaria in Siria.
Niente armi però, visto che fin dall'inizio della crisi il timore della
Casa Bianca e del Pentagono è che possano finire nelle mani sbagliate.
Proprio come è accaduto con le armi provenienti dalla Libia, ora in mano
ai gruppi estremisti dell'Africa nord-occidentale.
Di un
sostegno diretto ai ribelli siriani Kerry parlerà anche col ministro
degli esteri russo, Sergei Lavrov, che incontrerà nelle prossime ore a
Berlino. ''Continueremo a offrire e aumentare l'assistenza al popolo
siriano per promuovere la transizione verso un regime post-Assad'', si è
limitato a commentare il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney.
Ma le parole del segretario di Stato sono più che chiare sulla strada
che gli Stati Uniti stanno per imboccare nel tentativo di porre fine a
una guerra civile che in due anni si calcola abbia causato oltre 70.000
vittime. ''Pensiamo che più aiuti arrivano nelle zone liberate della
Siria più la transizione si avvicini'', ha spiegato Kerry, da Parigi.
Incassando il pieno appoggio di Fabius: ''Sulla Siria la pensiamo nello
stesso modo. Bashar Al Hassad deve andare via” Piena sintonia di vedute
anche col segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che ha
incontrato a Roma.
Fonte
Come da copione, in politica estera gli Stati Uniti si conferma una potenza ingerente ed autoritaria, con buona pace dei nobel sulla fiducia che forse risparmiano la pelle a qualche marines, ma finisce lì.
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