Non funziona, non può funzionare. L'Europa rifà i conti, e anche il
quotidiano di Confindustria mette in discussione le politiche della
troika. Dal proprio punto di vista, ovvio!
La "scoperta" - nell'articolo che segue - è di quelle che non si
possono chiamare clamorose: l'austerità imposta dalla Troika (e dalla
Germania) ha aggravato la recessione. L'aveva riconosciuto già lo stesso
Mario Monti, rivendicando la scelta in nome di benefici futuri. Ma la
recessione ha sviluppato una dinamica negativa in una misura decisamente
superiore al previsto, segno che i criteri di misurazione usati dai
"professoroni" di Bruxelles e Francoforte fanno acqua dal punto di vista
teorico, ma anche da quello brutalmente empirico.
A tre anni dalla svolta "rigorista", che ha azzerato la Grecia - un'agenzia di rating, Mat Lystra, propone di declassarla da paese sviluppato
ad "emergente" - nessun risultato è stato raggiunto. Neppure quello
primario, la riduzione del debito, in nome del quale la "cura
chemioterapica" era iniziata. Persino la "lettera della Bce", con cui
Trichet e Draghi impostarono il programma di tagli che Tremonti e poi
Monti hanno seguito più o meno alla lettera, viene ormai considerata un
"errore". Un eccesso di rigore motivato con l'assoluta assenza di
fiducia nella creibilità e serietà dello staff berlusconiano.
L'ideologia
presa pari pari dai manuali di macroeconomia liberista, dunque, non
serve a un tubo, Anzi... Ma farsi venire un'idea è cosa più complicata.
Ora
si interrogano sulla possibilità che una politica fatta di più tagli
alla spesa pubblica, ma con una tassazione minore, avrebbe potuto
sortire effetti migliori. Ma anche questo è in dubbio (che
scientificità, signori economisti!). E si ammette con sussiego che sì,
in effetti, si è messo in moto un "moltiplicatore keynesiano" che
funziona all'incontrario. Se per il Lord inglese la maggiore spesa si
traduceva in un aumento di Pil superiore alla spesa stessa, dopo tre
anni di cura da cavallo si fanno i conti e si vede che il Pil è
diminuito più dei tagli di spesa. E siccome i parametri di Maastricht
fissano limiti di debito (e di deficit annuale) rispetto al Pil, ecco
che - se il prodotto interno lordo diminuisce - il debito pubblico
percentualmente aumenta anche se viene ridotto in cifra assoluta. Si
tratta di una banale frazione semplice, che gli econometristi dovrebbero
maneggiare fin dalle elementari...
Questa cecità rispetto alle
dinamiche dell'economia reale, ormai conclamata, rende le stesse
"previsioni" un esercizio da aruspici, anche se limitate all'anno in
corso, se poi lo sguardo vuole abbracciare il futuro più lontano, diventa semplice propaganda.
Se l'Europa scopre i propri errori
Carlo Bastasin
La logica della crisi europea è quella di decisioni minori che
all'inizio rotolano verso valle come una palla di neve. Poi diventano
una valanga. E dopo anni distruggono interi Paesi. Anche la paradossale
situazione politica italiana può essere capita risalendo a monte lungo
il tracciato della crisi europea. Risalendo, per l'esattezza, all'agosto
del 2011 con la famosa lettera della Bce al governo Berlusconi.
L
a ettera impose, oltre a un insieme ambizioso di riforme strutturali,
di anticipare il pareggio di bilancio di un anno, dal 2014 al 2013. Fu
un errore. L'eccesso di tagli di spesa e aumenti di imposte finì per
aggravare la recessione italiana e fece peggiorare il debito pubblico.
Ma
l'errore nasce da un problema di credibilità politica italiano. La Bce
era disponibile ad acquistare titoli pubblici italiani, rifiutati dagli
investitori, a patto di un serio impegno del governo in carica a mettere
in sicurezza i conti dello Stato. Ma non poteva fidarsi. Nel giugno
2011 il governo aveva infatti presentato una manovra di correzione dei
conti corposa, 47 miliardi di euro, ma rinviata a un incerto futuro.
L'80% circa delle tasse e dei tagli era infatti spostato in avanti al
biennio 2013 e 2014 e sarebbe ricaduto sulle spalle di un futuro e
ignoto governo dopo la fine della legislatura. Che cosa sarebbe successo
se il nuovo governo non avesse riconosciuto gli impegni presi? Per
questa ragione la Bce dovette imporre che la correzione di bilancio
avvenisse entro la legislatura in corso e che quindi il pareggio di
bilancio fosse raggiunto entro il 2013.
Nonostante la pressione dei
mercati, della Bce e del G-20, il governo Berlusconi non seppe
realizzare la manovra di correzione. La fiducia nell'Italia vacillava.
Il 23 novembre 2011 perfino la Germania fece fatica a collocare le sue
obbligazioni pubbliche per il solo fatto che erano denominate in euro,
una moneta il cui futuro era ormai diventato dubbio. Furono queste le
premesse della nascita del governo Monti e degli impegni ereditati.
Monti
prestò la sua credibilità europea al rispetto di impegni che erano
troppo sbilanciati dal lato del rigore e nell'emergenza aumentò la
pressione fiscale. L'Italia evitò il default e l'euro si rinsaldò grazie
alla Bce. Tuttavia gli effetti sull'economia italiana dell'anticipo del
pareggio di bilancio furono come sappiamo molto negativi.
Secondo
calcoli recenti, gli effetti sulla crescita dei tagli alla spesa, i
cosiddetti “moltiplicatori fiscali”, sarebbero stati più favorevoli di
quelli degli aumenti delle tasse. Quello che si scopre ora è però
soprattutto che l'effetto depressivo è molto superiore al previsto (e in
valore più alto di quello che si ha con politiche espansive). È
probabile cioè che anche una correzione di bilancio dal lato delle spese
non avrebbe cambiato di molto la situazione, in assenza di politiche di
crescita interne, riforme strutturali, e afflussi finanziari esterni.
L'austerità infatti sta colpendo tutti i Paesi indipendentemente dalle
loro diverse politiche. Nel corso del 2012 il debito pubblico italiano è
aumentato del 6,4% del Pil, quello francese di quasi il 5% e quello
spagnolo del 7,5%. I dati non sono ancora definitivi ed è possibile che
siano anche peggiori.
La Commissione europea prevede ora un aumento
ridotto del debito italiano nel 2013 e un ritorno alla crescita
economica nel 2014. Ma sappiamo tutti che si tratta di una speranza più
che di una previsione. Se alla fine i conti fossero rivisti al ribasso
quanto negli anni passati, l'Italia si troverebbe nel 2014 con un debito
pubblico tra il 130% e il 140% del Pil, con la Francia a non molta
distanza. Per ridurre il debito bisognerebbe avere una crescita nominale
del 3-4% e un surplus primario al livello attuale. Si tratta di uno
scenario plausibile forse nel 2016, ma se i tassi d'interesse non
scendono subito, quale sarà allora il livello del nostro debito?
A
ben vedere c'è poco di incomprensibile nell'insofferenza degli elettori
italiani nei confronti delle tasse, dell'Europa e dell'establishment. Si
tratta della conseguenza degli errori di molti anni. E soprattutto
dell'assenza di una spiegazione pubblica di quanto è avvenuto. Ci
avvitiamo in Europa tra Nord e Sud e in Italia tra ideologie e fantasie,
anziché riconoscere gli errori commessi.
Quelli italiani li stiamo
pagando in modo sproporzionato, in termini sia economici sia politici.
Gli errori commessi dall'Europa restano più nebulosi. La riduzione
contemporanea di debiti pubblici e debiti privati anziché far aumentare
il risparmio lo fa calare insieme al Pil. La riduzione dell'offerta di
credito a famiglie e imprese è il meccanismo attraverso cui il
keynesiano "paradosso del risparmio" si è perfezionato ai giorni d'oggi.
La Bce deve poter fare di più per interrompere il circolo vizioso. Non
si tratta di arrivare agli estremi della Fed, ma di prendere atto che il
credito non circola in Italia.
Da parte sua la Commissione sta
facendo primi passi incoraggianti: ha modificato la valutazione dei
disavanzi tenendo conto del ciclo e all'ultimo Eurogruppo ha proposto
l'analisi della "qualità" della spesa pubblica (una proposta che Franco
Bruni avanzò con chi scrive molti anni fa) per pesarne gli effetti sulla
crescita. Il passo successivo è facilitare quegli investimenti
essenziali alla ripresa dell'economia. Berlino e la stessa Bce si
oppongono con veemenza a scorporare gli investimenti dal disavanzo.
Temono la zona d'ombra in cui si scrive investimento e si intende spesa
pubblica. Ma di questo passo l'unico investimento accettabile sembra
quello di finire sotto a un Tir.
Questa opposizione francofortese non
può combattere la realtà senza finirne travolta essa stessa. Purtroppo
bisognerebbe fermare le palle di neve quando cominciano a rotolare. Far
risalire a monte una valanga non è mai stato facile.
da IlSole24Ore
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